“Non si tratta di fiducia. Ma dei nostri interessi e della verifica di questi stessi interessi”. In questa frase pronunciata da Joe Biden dopo il faccia a faccia con Vladimir Putin è riassunto in sintesi il senso del vertice di mercoledì a Ginevra. A spiegare l’incontro, voluto dalla Casa Bianca, è in altre parole l’ipotesi di una svolta tattica da parte americana per congelare o, quanto meno, attenuare lo scontro con Mosca, liberando risorse ed energie da dedicare a più gravi minacce “sistemiche”. In questa prospettiva, per comprendere le implicazioni del summit, è fondamentale collegarlo ai precedenti appuntamenti in Europa del presidente democratico, impegnato in sede di G7 e NATO a compattare il fronte degli alleati in funzione anti-cinese.

Quello che è nato domenica in Israele è probabilmente il governo sulla carta più debole dell’intera storia dello stato ebraico. Oltre a poter contare su una maggioranza minima, sul fronte interno saranno numerose le questioni spinose con cui l’esecutivo si troverà a dover fare i conti nell’immediato, mentre su quello regionale e internazionale il fattore più delicato da considerare sarà il rapporto che il neo-premier, Naftali Bennett, e il ministro degli Esteri, Yair Lapid, saranno in grado di stabilire con il presidente americano Biden.

Lo scenario della prima visita in Europa da presidente degli Stati Uniti di Joe Biden è cambiato nella giornata di lunedì dalla spiagge della Cornovaglia alla sede della NATO di Bruxelles, ma in cima alla lista delle priorità di Washington resta il nodo della competizione con la Cina. Se il metro di paragone deve essere la precedente amministrazione Trump, apparentemente l’inquilino democratico della Casa Bianca ha ottenuto un qualche successo nel tentativo di ricompattare gli alleati occidentali attorno alla linea americana. Dietro le apparenze, persistono tuttavia profonde divisioni tra le due sponde dell’Atlantico, così come all’interno della stessa Europa, sull’approccio alla “minaccia” cinese, tanto da mettere subito in forte dubbio gli impegni presi nel fine settimana dal G7, sempre meno in grado di modellare priorità e obiettivi di un pianeta indirizzato inesorabilmente verso il multipolarismo.

I provvedimenti giudiziari a carico di alcuni esponenti del golpismo hanno messo in allarme tutto il bouquet dei mandanti statunitensi ed europei e la campagna mediatica e politica internazionale ha preso il via. I media fanno il loro sporco lavoro di sostegno all’impero e quelli italiani sono in prima fila. E’ una campagna strumentale, perché i provvedimenti arrivano in applicazioni di leggi dello Stato e non vi sono motivi per ritenerli un abuso.

Due commissioni del Senato americano hanno pubblicato questa settimana il primo rapporto ufficiale sui fatti del 6 gennaio scorso, quando una folla di sostenitori del presidente uscente Trump assediò per ore l’edificio che ospita il Congresso degli Stati Uniti a Washington. L’indagine ha avuto un carattere bipartisan e, anche per questa ragione, le conclusioni a cui i senatori sono arrivati non fanno luce in nessun modo sulle vere cause e responsabilità di quello che è stato a tutti gli effetti un tentativo di colpo di stato. Dal rapporto sono comunque emersi nuovi particolari sugli eventi di quel giorno, che confermano come l’assalto sia stato reso materialmente possibile da una serie di falle clamorose all’interno delle varie agenzie incaricate di garantire la sicurezza.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy