Un anno fa, i primi medici cubani venuti a prestare soccorso, lasciavano il Nord Italia. La missione era stata svolta con efficacia, restava solo una parte di quei 53 fratelli in camice bianco. Sembra passato un secolo, ormai ci si sente rientrati nella normalità, ma proprio per questo ha ancor più valore ricordare cosa successe.

Siamo oggi quasi tutti in zona bianca, ma un anno fa, di questi tempi, il mutare dei colori non era in scena. Non c’erano il bianco, il giallo, l’arancione e il rosso a decifrare l’espandersi del contagio. Il colore era la paura: la speranza di un evento che invertisse un destino amaro risultava fuori luogo, appariva come un eccesso di ottimismo. Tutta Italia era in nero, coperta da lutti sui quali un giorno, forse, sapremo di più di quel che sappiamo ora. E in mezzo a tanto dolore e a tanta incertezza, venne allo scoperto il significato dell’aggettivo “alleati”, con scene di furti di mascherine a noi destinate da parte dei nostri partners europei.

Il ben noto ideologo del neoliberismo Friedrich Hayek affermò, durante una sua visita in Cile a sostegno di Pinochet nel 1981, che era totalmente contrario alle dittature come istituzioni a lungo termine, ma che una dittatura poteva risultare necessaria durante un periodo di transizione e che, in ultima analisi, era preferibile un dittatore liberale a un governo democratico illiberale.

Raramente fu espressa con tanta chiarezza e spudoratezza la contraddizione tra neoliberismo economico e democrazia politica. Quest’ultima, per quanto sbandierata molte volte a sproposito, come caratteristica identitaria di fondo delle sedicenti democrazie occidentali, viene rapidamente abbandonata al suo destino se viene in qualche modo messo in discussione il regime economico dominante.

Lo schiaffo rimediato da un attivista di estrema destra da Emmanuel Macron in campagna elettorale è sembrato essere poca cosa rispetto alla batosta incassata dal suo partito LREM (“La République En Marche”) nel primo turno delle elezioni amministrative francesi. I risultati sono stati condizionati in parte da livelli stratosferici di astensionismo, che la dicono lunga sulla predisposizione degli elettori nei confronti della politica d’oltralpe, ma la pessima performance dell’inquilino dell’Eliseo, assieme a quella non molto più esaltante dei neo-fascisti di Marine Le Pen, potrebbe aprire scenari inaspettati nelle presidenziali del prossimo anno.

Da quando i sandinisti hanno vinto le elezioni del 2006, le loro politiche anti-povertà hanno avuto un enorme successo. Il Nicaragua è autosufficiente al 90% per quanto riguarda il cibo. Il novantanove per cento della popolazione ha l'elettricità nelle sue case, generata per il 70 per cento con energia verde. Le istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca Mondiale, la Banca Internazionale di Sviluppo e la Banca Centroamericana di Integrazione Economica, lodano il Nicaragua per la sua eccellente ed efficiente realizzazione di progetti.

L’elezione di Ebrahim Raisi alla carica di presidente dell’Iran è stata accolta in Occidente con l’avvertimento di un imminente peggioramento dei rapporti con la Repubblica Islamica. Raisi viene infatti ricondotto alla fazione dei “conservatori” che prediligono la linea dura nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente in genere, ma, se è vero che con ogni probabilità non ci saranno sorprese clamorose sul fronte diplomatico, una lettura forse più corretta dell’esito del voto di venerdì scorso lascia piuttosto intravedere un riaggiustamento delle decisioni di politica estera, con l’accordo sul nucleare (JCPOA) non più al centro delle priorità iraniane.


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