Si è formalmente aperta la campagna elettorale in Nicaragua. La destra civica schiera i suoi migliori candidati, mentre quella golpista grida ai quattro venti che le elezioni non vanno riconosciute dalla comunità internazionale. Affermano che l’inchiesta della magistratura nicaraguense, che ha scardinato l’organizzazione golpista che dal 2018 ad oggi obbedisce ai diktat statunitensi per rovesciare il governo sandinista, renderebbe impossibile partecipare al voto. Dicono il falso.

Che non vi sia nessun nesso tra inchiesta giudiziaria e campagna elettorale lo testimonia il fatto che non già a seguito di questa inchiesta, bensì sin dal 2011, la destra golpista dell’oligarchia chiede il non riconoscimento del governo e della sua istituzionalità, preferendo invocare sanzioni, invasioni e aggressioni.

Con le elezioni federali del fine settimana si è ufficialmente chiusa in Germania la lunghissima era della cancelliera Merkel. Ciò che seguirà resta per il momento tutt’altro che chiaro, ma il dato che è emerso in base ai risultati non ancora definitivi è la tendenza alla disintegrazione anche a Berlino del sistema politico tradizionale, anche se, almeno per il momento, decisamente meno marcata rispetto ad altri paesi occidentali. Le opzioni per la prossima coalizione di governo restano aperte, con i Socialdemocratici (SPD) in vantaggio sui Cristiano Democratici e sui Cristiano Sociali (CDU/CSU) che hanno fatto segnare la peggiore prestazione dal dopoguerra a oggi.

Obiettivo Iran. Le guerre infinite, come quella tra Usa-Israele e Iran, in realtà non solo non finiscono mai ma cambiano gli scenari con le tecnologie che trasformano i possibili campi di battaglia in poligoni di tiro dove i killer non sono più di carne e ossa ma diavolerie elettroniche

La guerra diventa “pulita” pur restando sporca assai. La morte israelo-americana adesso arriva comandata da un sistema satellitare a migliaia di chilometri di distanza, con i droni ma anche con robot killer, programmati nei minimi dettagli, quasi infallibili. Le guerre infinite, come quella tra Usa-Israele e Iran, in realtà non solo non finiscono mai ma cambiano gli scenari con le tecnologie che trasformano i possibili campi di battaglia in poligoni di tiro dove i killer non sono più di carne e ossa ma diavolerie elettroniche.

Le scene della guardia di frontiera statunitense che a cavallo frusta i migranti haitiani rimanda all’Alabama degli anni ’50, quando un nero era solo un “negro”, il cui valore era inferiore a quello di un animale. L’essenza più profonda del fascismo americano ha così avuto eco sui media anche in questa occasione, esibendo concretamente la autentica concezione dei diritti umani che gli uSA sbandierano strumentalmente contro i loro avversari politici.

Biden si era dichiarato apertamente amico del popolo haitiano “senza se e senza ma”. E lo aveva fatto con parole toccanti dicendosi rattristato dal devastante terremoto che aveva colpito Haiti ad agosto. Ma buona parte dei suoi elettori ha perso fiducia nel presidente e nella sua vice dopo essersi accorti che hanno detto bugie da far impallidire persino Donald Trump.

È possibile che gli Stati Uniti siano andati vicini a lanciare un attacco militare contro la Cina nelle ultime settimane trascorse da Donald Trump alla Casa Bianca? L’ipotesi potrebbe sembrare inverosimile, ma le anticipazioni di un nuovo libro in uscita in America hanno rivelato che almeno due soggetti, con una prospettiva a dir poco privilegiata sugli eventi di Washington, ritenevano questa eventualità tutt’altro che fantasiosa nei frenetici giorni delle elezioni presidenziali e della transizione alla guida del paese.

Nel volume “Peril” (“Pericolo”), i giornalisti del Washington Post Bob Woodward, noto per l’indagine sullo scandalo del Watergate negli anni Settanta del secolo scorso, e Robert Costa hanno raccontato come i timori per un’azione disperata di Trump, con l’obiettivo di rimanere alla Casa Bianca, fossero nutriti seriamente sia dal governo di Pechino sia dal capo dello Stato Maggiore militare americano, generale Mark Milley.


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