Alla morte per complicazioni da COVID-19 dell’ex segretario di Stato americano, Colin Powell, è seguita sui media ufficiali e tra la classe politica di Washington una prevedibile ondata di cordoglio infarcito di elogi indiscutibilmente fuori luogo per una delle personalità più compromesse con i crimini dell’imperialismo USA degli ultimi decenni. Dalla guerra del Vietnam all’Iraq, l’ex generale ha infatti collaborato attivamente all’esecuzione e alla pianificazione di sanguinosi massacri e alla distruzione di interi paesi.

Il suo contributo al sistema di potere di cui ha fatto parte è stato però inestimabile, soprattutto per via del presunto esempio che avrebbe offerto alla comunità afro-americana e, ancora di più, per avere puntualmente proposto una finta immagine di moderazione e di dedizione ai principi democratici nonostante l’impegno instancabile nel perseguire gli interessi predatori del capitalismo a stelle e strisce.

Il comportamento della Turchia sul fronte siriano appare sempre più intrecciato alle dinamiche dei rapporti con le due potenze attorno alle quali stanno evolvendo le priorità strategiche di Ankara, ovvero Russia e Stati Uniti. Le decisioni di Erdogan continuano ad alternare messaggi indirizzati di volta in volta a Mosca e a Washington che, in ultima analisi, rivelano un conflitto di fondo sugli indirizzi fondamentali di una politica estera tutt’altro che risolta, ostaggio delle contraddizioni e delle ambizioni in larga misura sfumate dello stesso presidente turco.

Considerando la popolazione dell'area, stimata in circa 7 milioni di persone, la guerra nel Tigray presenta dati terribili:150.000 morti; 2 milioni e 200 mila sfollati; 60.000 rifugiati in Sudan (un terzo dei quali sono bambini); 5 milioni e 200 mila persone che necessitano di assistenza alimentare; 350.000 lottano contro la fame.

Questo genocidio viene portato avanti dall'Etiopia da quasi un anno con uccisioni di massa, distruzione delle strutture sanitarie, devastazioni di campi e magazzini di cibo, stupri.

Le crescenti divergenze strategiche tra Stati Uniti ed Europa sono ormai un elemento acquisito nella realtà delle relazioni internazionali, ma alcuni eventi delle ultime settimane sono sembrati accelerare questo processo, mettendone in evidenza le implicazioni soprattutto per quanto riguarda l’approccio alla “questione cinese”. Il fattore più rilevante è stato l’accordo relativamente a sorpresa tra USA, Regno Unito e Australia (“AUKUS”) per la fornitura di sommergibili nucleari a quest’ultimo paese. Accordo che ha spiazzato in particolare la Francia, protagonista a sua volta questa settimana di una diatriba con Washington al Fondo Monetario Internazionale (FMI) che solo per poco non è sfociata in uno scontro aperto tra i due alleati.

Dopo quasi due decenni di abusi, torture e detenzione in stato di isolamento, l’ex sospettato di terrorismo Abu Zubaydah continua a essere rinchiuso arbitrariamente dal governo americano nel lager di Guantanamo. Il suo caso è oggetto di un procedimento legale transnazionale, in questi giorni all’attenzione della Corte Suprema degli Stati Uniti, che sta sollevando questioni spinosissime e imbarazzanti per Washington, a cominciare dall’assunzione di responsabilità per i metodi brutali e totalmente illegali con cui nella prima fase della “guerra al terrore” erano stati trattati i detenuti sospettati di appartenere ad al-Qaeda.


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