L’ennesima orrenda strage seguita a una sparatoria in una scuola negli Stati Uniti ha riacceso le solite polemiche sulla facilità con cui in America è possibile entrare in possesso di armi da fuoco. Lo stesso presidente Biden ha tenuto una conferenza stampa di una decina di minuti martedì alla Casa Bianca per denunciare la “lobby delle armi” a Washington, lasciando intendere che leggi più restrittive sulla vendita e il possesso sarebbero in grado di risolvere magicamente la piaga della violenza che attraversa la società americana.

 

Ci sono pochi dubbi che il proliferare di armi anche pesanti negli USA contribuisca al verificarsi di episodi tragici come quello accaduto martedì nella scuola di Uvalde, in Texas. Associazioni come la NRA (“National Rifle Association of America”), per quanto reduce da una pesante crisi finanziaria, esercitano un’influenza spropositata su buona parte dei membri del Congresso, precisamente per impedire l’approvazione di misure legislative più severe, a cominciare dalla verifica approfondita dei precedenti di quanti intendano acquistare un’arma da fuoco.

È vero anche che i democratici “moderati” e, soprattutto, la grande maggioranza dei repubblicani utilizzano il tema del libero possesso di armi, presumibilmente garantito dalla Costituzione, come uno strumento per fare leva a fini politici su sentimenti libertari e, spesso, ultra-reazionari. Proprio in Texas, ad esempio, la scorsa estate il governatore repubblicano Gregg Abbott aveva firmato una legge che consente di portare con sé liberamente e ovunque una pistola senza bisogno di ottenere un permesso dalle autorità. Tra pochi giorni, poi, la NRA ha in programma il proprio congresso annuale a Houston, sempre nello stato del Texas.

Il problema, decisamente una peculiarità degli Stati Uniti, non spiega tuttavia la gravità della situazione e il ripetersi quasi quotidiano di stragi che si risolvono con bilanci di vittime più o meno pesanti. Anche se ogni episodio ha la sua storia, determinata dalle circostanze specifiche della vita del responsabile o dei responsabili delle sparatorie, è evidente che le dimensioni del problema indicano ragioni di carattere più ampio, da ricondurre a una società impregnata di violenza e brutalità, elementi a loro volta veicolati dalle politiche in ambito domestico e internazionale della classe dirigente americana.

Tornando ai fatti di martedì in Texas, l’assalitore è stato identificato nel 18enne Salvador Ramos, residente di Uvalde, una cittadina di 16 mila abitanti a circa 120 chilometri dal confine con il Messico. Gli investigatori non hanno ancora stabilito le possibili motivazioni del gesto, ma Ramos avrebbe preannunciato sui social media la sua intenzione di compiere una strage nella Robb Elementary School, dove aveva studiato e che ospita quasi 600 studenti fino ai 10 anni, in larga misura di origine latino-americana. Sempre in rete sarebbero state postate immagini delle armi utilizzate per la strage, acquistate legalmente in occasione del suo 18esimo compleanno.

Dopo avere sparato alla nonna, sopravvissuta e attualmente ricoverata in ospedale, poco dopo le 11.30 Ramos si è schiantato con la propria auto a breve distanza dalla scuola, per poi entrare armato nell’edificio facendo fuoco classe per classe. Un residente del quartiere ha subito avvertito la polizia, mentre due agenti che si trovavano nelle vicinanze hanno scambiato colpi di arma da fuoco con l’assalitore rimanendo feriti. Poco dopo sono intervenuti uomini della polizia di frontiera e una squadra speciale anti-terrorismo. Un agente di polizia è invece entrato nella scuola senza attendere rinforzi e, una volta all’interno, avrebbe sparato e ucciso Salvador Ramos.

Alla fine, i morti sono stati 21, di cui 19 giovanissimi studenti e due insegnanti. La stampa americana ha raccontato di momenti drammatici durante e dopo la sparatoria, con i genitori fuori dalla scuola in attesa di sapere se i propri figli erano sopravvissuti o meno alla strage. Pesante è anche il bilancio dei feriti. La Associated Press ha parlato di almeno 13 bambini trasportati solo in un ospedale di Uvalde. In un’altra struttura sarebbe inoltre ricoverata una donna di 66 anni in condizioni critiche.

A rendere ancora più inquietante l’accaduto è la vicinanza temporale con i fatti di Buffalo, nello stato di New York, dove appena una decina di giorni fa un attacco di un simpatizzante neo-nazista in un supermercato aveva fatto dieci vittime, tutte afro-americane. L’altro episodio maggiormente citato dai media è il massacro di 20 bambini e 6 adulti nel dicembre del 2012 alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, nel Connecticut, dopo il quale si era verificata una certa mobilitazione a favore di regole più restrittive per l’acquisto di armi da fuoco. L’allora presidente Obama aveva cercato di promuovere una serie di misure di questo genere, ma tutte si erano arenate al Congresso di Washington.

Le sparatorie nelle scuole americane stanno avvenendo in questo 2022 quasi al ritmo di una a settimana, anche se non tutte hanno fortunatamente un bilancio come quello di martedì. Lo stato del Texas ha da parte sua una lunga serie di precedenti raccapriccianti, come i dieci morti dopo una sparatoria in un liceo vicino a Houston nel 2018 o la strage a sfondo razzista di 23 persone l’anno successivo in un negozio di Walmart a El Paso.

Con il ripresentarsi puntuale di stragi come quella di martedì, negli Stati Uniti riparte anche il dibattito politico sulla legislazione in questo ambito. Tra i tentativi più recenti, nel 2021 la Camera dei Rappresentanti aveva approvato di stretta misura due provvedimenti per istituire controlli obbligatori sui precedenti dei potenziali acquirenti, ma nessuno dei due ha superato l’ostacolo del Senato, dove democratici e repubblicani detengono lo stesso numero di seggi (50-50).

Con una mossa propagandistica, il leader democratico di maggioranza al Senato, Chuck Schumer, martedì sera ha rimesso in calendario la discussione sulle due proposte di legge. Le possibilità che vengano approvate restano però molto scarse, visto che nemmeno il sostegno dei democratici “centristi” appare certo. I repubblicani, da parte loro, hanno subito respinto qualsiasi legame tra le stragi e la facilità nell’accedere alle armi da fuoco. Il senatore dell’Oklahoma, Jim Inhofe, ha ad esempio affermato che “nessuna legge sarebbe in grado di impedire un attacco come quello di Uvalde”.

Quest’ultima dichiarazione, sebbene frutto di calcoli puramente politici, contiene una certa verità. Se l’impossibilità di disporre liberamente di armi potrebbe in teoria evitare sparatorie con uccisioni di massa, sono soprattutto i meccanismi sociali e le condizioni psicologiche dei singoli soggetti a determinare fatti come quello di martedì. Se per queste ultime poco o nulla si conosce ancora in merito al caso di Salvador Ramos, riguardo ai primi le prove sono molteplici e ben note.

Da un certo punto di vista, anzi, le polemiche che scoppiano nei confronti della lobby delle armi e del Partito Repubblicano immediatamente dopo le notizie di sparatorie sembrano avere lo scopo di creare confusione circa le vere cause di simili esplosioni di violenza. Nella conferenza stampa dopo i fatti di martedì, lo stesso Biden si è a un certo punto chiesto correttamente perché “questo genere di sparatorie di massa accadano raramente in altre parti del mondo”. La risposta che il presidente finisce per offrire, così come la classe politica e i media ufficiali, non dice però nulla su questo fenomeno tutto americano, ma lo riconduce soltanto alla carenza di restrizioni sulla vendita di armi oppure alla natura imperscrutabile del “male” che si manifesta in occasione di massacri simili.

Se, come già spiegato, le condizioni famigliari o psicologiche dei responsabili delle sparatorie aiutano a comprendere le ragioni dei gesti commessi, questi fattori si sovrappongono appunto a quelli di carattere sociale che descrivono un paese, come gli Stati Uniti, nel quale la violenza è insita nelle politiche e nelle azioni della classe dirigente. Basti pensare agli oltre mille omicidi commessi ogni anno dalle forze di polizia americane, così come alle disparità economiche e sociali, oggettivamente oscene, che alimentano frustrazione e odio.

Un ulteriore discorso merita l’uso sistematico della forza per regolare le controversie internazionali, ovvero per promuovere gli interessi del capitalismo USA. Anche solo limitandosi agli ultimi due decenni, dietro la retorica della democrazia e della difesa dell’ordine mondiale, gli americani hanno vissuto in uno stato di guerra praticamente continuo, caratterizzato dalla normalizzazione di iniziative che hanno causato la distruzione letterale di interi paesi, così come di omicidi mirati di presunti terroristi, spesso poi rivelatisi civili innocenti, di sanzioni economiche che hanno affamato o provocato la morte di milioni di persone e, da ultimo per quanto riguarda l’Ucraina, del sostegno a un regime dominato da neo-nazisti.

Poche ore prima della strage di Uvalde e della conferenza stampa improvvisata alla Casa Bianca, il presidente Biden era stato protagonista di un vertice a Tokyo con i leader di Giappone, India e Australia, il cui scopo ultimo è stato di coordinare gli sforzi per la pianificazione di una guerra rovinosa contro la Cina. Ciò, oltretutto, nel pieno di un’offensiva anti-russa che sta inondando l’Ucraina e l’Europa di armi e soldati.

Quella americana è in definitiva una società profondamente malata perché espressione di un sistema di potere degenerato basato sulla violenza, sia essa economica o militare, ed è da questa realtà, sia pure nella diversa storia personale dei singoli responsabili, che emergono con una frequenza sempre più preoccupante episodi di sangue come quello registrato martedì in una scuola elementare nello stato del Texas.

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