di Giuseppe Zaccagni

Per Napoleone valeva il motto “l’intendenza seguirà”. Per gli americani vale invece quello del “Prima i bombardamenti” e poi arriveranno gli affari. Ed è quello che si sta realizzando nell’Iraq a partire dal 20 marzo 2003, inizio dell’aggressione-occupazione. Ora il grande capitale, che ha appoggiato tutte le iniziative americane, presenta il conto. E nella lista di chi parteciperà al grande banchetto della ricostruzione c’è anche l’Italia. Lo annuncia il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. E’ lui che parla della volontà di rilanciare la partecipazione delle imprese italiane alla ricostruzione dell'Iraq. E rende noto l'impegno di convocare per il prossimo autunno la prima riunione di una "Commissione mista" allargata alle aziende. Comincia il grande gioco economico e il giro è di miliardi. Una manovra ben congegnata.

di Mario Braconi

La FNMA (Federal National Mortgage Association) e la FHLMC (Federal Home Loan Mortgage Corporation sono Government-sponsored enterprise (GSE), ovvero “imprese patrocinate dal Governo”. A suo tempo, il Congresso degli Stati Uniti le istituì per aiutare i cittadini americani che volevano acquistare casa. Fannie Mae (nome creativo con cui ci si riferisce a FNMA), fondata in pieno New Deal con lo scopo sociale di rendere liquido il mercato dei mutui ipotecari, è nel 1968 che perde il suo status di garante governativo del debito dei cittadini e viene trasformata in una società di diritto privato. Per assicurare al mercato secondario dei mutui un adeguato livello di concorrenza, nel 1970 il governo istituisce la FHLMC, anch’essa conosciuta con un nomignolo: Freddie Mac.

di Valentina Laviola

A distanza di una settimana o poco più dall’annuncio dell’intenzione del Tribunale penale internazionale di incriminare Omar al-Bashir per crimini di guerra, arriva la risposta eclatante e spavalda di Khartoum: il Presidente ha organizzato una visita in Darfur, uno spettacolo tutto ad uso mediatico. Non è bastato, infatti, respingere con fermezza le accuse e delegittimare il tribunale dell’Aia; al-Bashir è consapevole che, dal momento in cui le accuse saranno ufficiali, la sua immagine di fronte al mondo sarà irrimediabilmente compromessa per sempre. Così, per scongiurare l’inizio della propria fine politica, ha orchestrato una dimostrazione pubblica, assicurandosi che tutti gli interessati fossero presenti ad assistere. Assieme alla delegazione governativa, scortata da un elicottero e veicoli dotati di mitragliatrici, l’hanno seguito numerosi giornalisti e diplomatici sia arabi che occidentali, tra cui l’ambasciatrice inglese e un delegato statunitense. Lo scopo è chiaramente di mostrare una situazione ben migliore di quella reale, di minimizzare i danni, trasmettere un senso di serenità e assicurare a tutti che verrà avviato un nuovo processo di pace, dall’interno, di cui il Sudan stesso si assumerà la responsabilità.

di Michele Paris

A pochi mesi dalla scadenza del suo secondo mandato presidenziale, George W. Bush sta inviando significativi segnali di un cambiamento di rotta nella politica estera e nella gestione dei rapporti con i paesi già facenti parte del famigerato “asse del male”. A differenza di quanto affermato con forza dallo stesso presidente americano fino a pochi mesi fa, nelle ultime settimane gli USA stanno infatti intraprendendo importanti azioni, sia pure molto caute, volte ad avviare un dialogo con i governi di Corea del Nord e Iran. E lo stesso atteggiamento intransigente in relazione alla presenza militare statunitense in Iraq sta mostrando le prime crepe sull’onda delle pressioni esercitate dal governo di Baghdad per ottenere la fine dell’occupazione in tempi ragionevoli. Se l’ammorbidimento di un presidente uscente al termine del proprio mandato sui temi degli affari internazionali ha degli illustri precedenti negli Stati Uniti, la nuova e a tratti sorprendente strategia della Casa Bianca rischia però di mettere in serio imbarazzo il candidato repubblicano John McCain, il quale ha investito gran parte delle proprie speranze di vittoria su una gestione intransigente della politica estera americana, modellata in gran parte sull’impronta data ad essa negli ultimi sette anni dal vicepresidente Dick Cheney.

di Carlo Benedetti

Le lingue minori partono all’attacco. Alzano la testa - con una pluralità di posizioni - e chiedono riconoscimenti planetari. E’ il caso di quanto avviene in Europa dove si fa sentire la voce delle popolazioni ugro-finniche che trovano una sponda ideale in Russia e precisamente in Siberia. E’ qui, infatti, che si danno appuntamento per un congresso dei loro popoli. La sede prescelta è nella zona occidentale e precisamente nella città di Khanty-Mansiysk, abitata da popolazioni ugro-finniche: Khanty e Mansi. Si avvia, pertanto, un dialogo interculturale che risulta subito essere anche un importante strumento per il superamento dell’estremismo e dell’intolleranza religiosa. Tutto ciò riveste - per la stessa Russia - un significato particolare tenendo conto che nel paese convivono più di 160 popoli diversi. E proprio grazie a questo spirito unitario la nazione russa è riuscita a superare le tante prove della sua storia.


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