di mazzetta

I bookmakers danno Obama vincente 1 a 7, McCain sta combattendo in difesa in quegli stati che erano parte dello zoccolo duro di Bush e rischia anche nel suo stato, l'Arizona. L'ultima settimana di campagna è stata un disastro per McCain e non solo perché è a corto di soldi. La macchina elettorale di Obama è decisamente più prestante di quella repubblicana, ha raggiunto aree mai toccate prima dalle campagne e gode del sostegno di migliaia di attivisti, molti di più di quanti ne siano schierati sul fronte avverso. McCain sembra un generale senza esercito e il partito repubblicano sta tentando l'impossibile per salvare i seggi al Congresso, minacciati come mai prima da una vera e proprio disfatta elettorale. Poco possono i tentativi di giocare sporco in un'arena mediatica ormai profondamente influenzata da Internet e ancora meno i tentativi di diffamare gli avversari. Quando i repubblicani hanno provato a giocare sporco i tentativi si sono rivelati immediatamente controproducenti. Nel caso di Ashley Todd, un'attivista repubblicana che aveva denunciato di essere stata aggredita da un enorme e feroce nero che voleva derubarla e che poi ha voluto punirla per la sua fede politica incidendole una B (come Barack) sulla guancia, c'è stato appena il tempo per i repubblicani di rendere pubblica la denuncia, che già il caso gli era scoppiato tra le mani coprendoli di vergogna.

Non sono mancati i colpi bassi, specialmente negli ultimi giorni, ma la regia della campagna di McCain non è mai sembrata in grado di mordere veramente. Sembrava una missione impossibile, ma va detto che senza l'esplodere della crisi economica gli uomini di Karl Rove, lo stratega elettorale di Bush, sembravano in grado di contendere il trofeo agli avversari. La campagna repubblicana scontava il fallimento di Bush che, nonostante il parere contrario di Berlusconi, gli americani continuano a ritenere il peggior presidente di sempre. Le sue percentuali di sgradimento sono impressionanti, la credibilità della sua amministrazione è a zero e tutti attendono con ansia il momento nel quale uscirà dalla Casa Bianca, molti sperano per prendere la strada di un tribunale.

Con queste premesse non era facile e non si poteva nemmeno usare l'arma della paura, la specialità dei neoconservatori. L'unica paura a disposizione era quella dell'uomo nero, ma negli Stati Uniti chi tocca la razza muore, diversamente che da noi. Hanno provato con la paura del socialismo e del comunismo, ma nemmeno i cubani della Florida hanno risposto all'appello. Sono tutti stanchi di fare la guerra al mondo, anche gli avanzi anticomunisti cubani. Il calo dell'entusiasmo tra la base ha imposto a McCain di pagare le migliaia di “volontari” schierati per contattare gli elettori e chiamarli al seggio, riducendo ancora il denaro disponibile per guerra televisiva. Il soccorso di organizzazioni esterne non è servito a molto, gli attacchi ad Obama per la frequentazione del “terrorista” Ayers o dell'”estremista islamico” Khalidi, si sono rivelati meno di niente.

I repubblicani con il trascorrere della campagna si sono radicalizzati, un po' perché c'è stata una robusta fuga dal campo, un po' perché l'avvicinarsi della sconfitta spinge spesso a sorpassare i limiti. Una vera e propria emorragia di celebri repubblicani ha lasciato il partito per accamparsi sotto le tende di Obama, che già godeva di un gradimento esagerato nella società dello spettacolo e che aveva avuto, per la prima volta, anche il sostegno dei campioni sportivi che tradizionalmente non si esprimono sulla politica. Repubblicani che saltano sul carro del vincitore, ma anche repubblicani convinti che il bene del paese non contempli la sopravvivenza dell'amministrazione Bush sotto la presidenza McCain.

La banda neo-conservatrice è sembrata così virare verso un obiettivo secondario: il mantenimento del controllo del partito. La scelta di Palin è sicuramente diretta a galvanizzare la base bianca, provinciale e religiosa e forse non è un caso che si parli del suo futuro di leader repubblicana più che delle sue possibilità come Vice Presidente. Lo schema è sempre quello, riconoscibilissimo, del gruppo: un candidato telegenico e fedele e dietro tutta la banda unita come un sol uomo nel sacco del bilancio statunitense. Reagan, Bush Jr e Palin condividono la condizione di leader eterodiretti e troppo deboli politicamente per essere considerati i veri responsabili delle loro amministrazioni.

Il futuro del partito repubblicano può attendere, quello degli Stati Uniti si deciderà invece tra poche ore. Nella probabile ipotesi di una vittoria di Obama si potrà festeggiare lo scampato pericolo e la definitiva sconfitta di un fronte ideologico selvaggiamente liberista ed arrogante, che lascia il mondo intero sulle ginocchia. Non ci sono ricette per uscire dalla crisi e non le hanno nemmeno quelli che per anni hanno diretto dall'alto l'economia mondiale verso il disastro, ma sembra evidente che l'America di Obama non potrà proseguire nell'arrogante unilateralismo fondato sull'aggressione militare e sulla pretesa di imporre la propria volontà in nome di Dio o dei profitti.

Restano gli ultimi fuochi di una campagna che è stata una totale disfatta per McCain; soffocato dall'abbraccio mortale di Rove non è riuscito a essere McCain e sta chiudendo in tristezza. Al grande e decisivo evento, un comizio da tenersi a Defiance (che si traduce evocativamente “sfida”), non è andato nessuno, tanto che dei seimila presenti ben quattromila erano scolari delle scuole circostanti portati con gli autobus. Per niente positivo il sostegno pubblico espresso da Dick Cheney, Obama aveva già nel cassetto lo spot che lega definitivamente McCain per l'occasione, nel quale si dice che si guadagnato l'appoggio di Bush e Cheney votando il 90% dei provvedimenti sostenuti dall'amministrazione.

Forse gli Stati Uniti non sono pronti per il primo presidente nero, ma sembra chiaro che al di là delle discrete qualità di Obama, siano ancora meno pronti per un terzo mandato consecutivo alla banda di Rove e Cheney. La demolizione degli Stati Uniti, dall'economia fino all'immagine internazionale, è sotto gli occhi di tutti e morde tutti gli americani, che hanno appena perso mediamente il 40% dei loro risparmi, potere d'acquisto, accesso al credito, e valore immobiliare. Anche i pensionati hanno visto la previdenza privata andare a fondo insieme alle borse, ma nessuna risposta é giunta loro in soccorso dai custodi dell'ortodossia liberista o dal peggior presidente di sempre.

Dalle macerie fumanti dell'America di Bush nascerà l'America di Obama, che non potrà certo puntare solamente a fare meno peggio di Bush, se vorrà provare a risollevare il paese e a lasciare un segno con la sua presidenza. Tuttavia non è bene attendersi troppo: Obama non è un rivoluzionario e non si conoscono ancora la sua capacità e volontà di trainare il partito verso obiettivi non scontati o in direzioni che rappresentino davvero una novità. Avrà inoltre grossi handicap nell'essere un presidente al tempo della crisi e avrà sempre il fiato dei neo-conservatori sul collo, pronti a fare fuoco e fiamme con il nulla. Quale che sia il futuro di Obama, il pianeta tirerà un epocale sospiro di sollievo se arriverà l'annuncio della sua affermazione. Non resta che da incrociare le dita.

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