di Carlo Benedetti

MOSCA. E’ una America tutta da scoprire questa che si presenta al grande pubblico della Russia con il volto elettorale dei due candidati, Barack Obama e John McCain. Perchè mai come questa volta la competizione americana ha coinvolto il cittadino-medio, portando la vita d’oltreoceano (Atlantico o Pacifico) nelle case di una Russia abituata - sin dai tempi sovietici - a reagire solo sulla base delle indicazioni dall’alto. Questa volta non è così. Perchè prima di riferirsi alle notazioni geopolitiche del Cremlino e degli ambienti collegati è necessario stabilire il grado di “partecipazione” della popolazione russa nei confronti di un risultato che potrebbe influire sulla stessa vita del loro paese. Ed ecco che agli occhi dell’opinione pubblica locale scompaiono, gradualmente, gli stereotipi di un tempo relativi allo Zio Sam e alle sue malefatte. Esce di scena anche quell’immagine fissata dalla foto dei soldati russi ad americani che si stringono le mani sulle rive dell’Elba quando, per dirla con il poeta Evtuscenko, la vodka brindava con il wisky... Ora i tempi sono cambiati e grazie alla diffusione delle informazioni senza controllo, al vertiginoso aumento di chi legge in inglese e alle antenne paraboliche, i russi sono sempre più in grado di conoscere (a distanza, certo) quell’America che era sempre e comunque dall’altra parte.

E così, a livello d’impatto popolare, valgono soprattutto le immagini, le visioni. Barack Obama conquista i giovani locali e molti “nuovi russi”. L’immagine che entra nelle case è quella di un personaggio moderno, spensierato, sorridente. Diverso, tanto per intenderci, da un Putin paludato, ben tirato a nuovo e sempre pronto a rispondere come uno studente modello. In Obama i russi vedono l’altra faccia del potere. Ma per molti - e questo non va taciuto - è proprio il colore del volto che a molti non va giù. Non ci dimentichiamo, infatti, che in Russia viene sempre più avanti un movimento di neonazisti skinhead che non manca di bollare il nero Obama come una “ciornaja abesjana” - una scimmia nera...

Più sfortunato è McCain che, quanto ad immagine, ricorda ai russi (più anziani) il freddo Cernenko o l’impassibile lettone che rispondeva al nome di Arvid Pelsce. Analogie a parte questo McCain non gode, qui in Russia, di buona stampa.
Ma passiamo - dalla realtà sociale di un’opinione pubblica che per la prima volta si sfoga nelle previsioni - ai giudizi che vengono espressi negli ambienti più raffinati della politologia russa. Ed ecco subito un osservatore come Vitali Tretjakov che offre alcuni giudizi pur cercando di non sbilanciarsi.

Dice infatti che “le relazioni con l’America non diventeranno migliori perchè gli Stati Uniti fanno amicizia solo con chi si sottomette al loro volere al cento per cento.. E la Russia, quindi, non accetterè mai questo tipo di gioco...Hanno paura di noi - prosegue Tretjakov - perchè siamo una potenza nucleare e quindi una minaccia reale. E benchè noi non pensiamo mai di adoperare questa potenza ci temono egualmente. Ci guardano come si guarda ad un male che bisognerebbe minimizzare. Appunto per questo tutti gli specialisti manifestano un certo scetticismo nei risultati di queste elezioni... Sappiamo che gli americani non vogliono dei partner, ma dei vassalli. E la Russia non si sottometterà mai a nessuno...”. Un giudizio, quindi, netto. Senza appello.

Più moderati e pragmatici invece i giudizi che giungono da altri ambienti della politologia russa. In particolare dagli studiosi che fanno capo al Club “Svobodnoje slovo”, di Valentin Tolstich o dall’istituto “Otkritij forum” di Mark Urnov dove l’atteggiamento è più favorevole alle scelte di Obama. In questi centri si avanzano così previsioni che penalizzano McCain ritenuto “colpevole” di non aver saputo cavalcare la domanda di novità e di cambiamento andando ad identificarsi come troppo vicino a George Bush.

Analoghe analisi vengono avanti anche in alcune “Fondazioni” che si occupano di politica estera e di questioni militari a livello internazionale. E qui si parla con molto rispetto della politica che potrebbe venire fuori da una amministrazione guidata da Obama. Vengono ricordate alcune rilevazioni fatte su segmenti di popolazione che indicano come il giovane senatore nero sia in vantaggio in tutte le classi sociali e demografiche. Ma ci sono anche altre considerazioni a livello di istituti di politologia come “Missione liberale” (diretto da Evghenij Jasin) e da quel think-tank costituito da Sergej Karaganov, Aleksandr Zipko e Vjaceslav Nikonov. Qui si parla apertamente dei problemi che Obama incontra a livello della società americana. E cioè il fattore razziale, l'inesperienza. E, soprattutto, la questione legata alle tasse che, secondo i repubblicani, è il tallone d’Achille di Obama. Dal momento che è proprio lui a volerle aumentare al fine di portare avanti una politica economica “socialista”. Originata da quella espressione usata nell’ormai famoso incontro con Joe, l'idraulico dell'Ohio, relativa alla “necessità di distribuire la ricchezza».

Tornando alla fortezza del Cremlino sia Putin che Medvedev, comunque, non vogliono sbilanciarsi. E la loro sfida al colosso americano, per i prossimi tempi, sarà solo quella relativa alla costruzione di una “armatura energetica” e di una “rete economica” capace di contenere l’identità e la stabilità interna. Quindi nessuna azione di ripicca e nessuna forma di sanzioni. Tanto più che a Mosca e in tante parti della Russia sono più che mai attive filiali di imprese e di uffici studi americani. E tutti questi enti svolgono liberamente azioni di monitoraggio sull’economia e sulla vita russa. Non solo, ma molti critici dell’amministrazione di Putin e di Medvedev sono al servizio di istituzioni americane. Liberi di pubblicare quel che scrivono, tenere conferenze e viaggiare. (E questo dimostra chiaramente che la Russia di oggi, nonostante tutti i suoi difetti, non è decisamente un paese “neostalinista”).

Detto questo va rilevato che Mosca non vuole accentuare la sua critica e la sua distanza dalle scelte americane. Perchè le cattive notizie compaiono ovunque e non solo negli Usa dove le prospettive per l'economia locale sono deboli e dove la ripresa – come sostengono le fonti dell’Fmi - "inizierà dalla seconda metà del 2009, ma sarà più graduale di quelle precedenti a causa della natura eccezionale dell'aggiustamento dei prezzi azionari che si sta verificando". E si sa che la fase di contrazione per Mosca e per Washington è già iniziata e che solo nel 2010 le cose torneranno alla stabilità.

E intanto, la crisi finanziaria americana continua mietere vittime nel mercato del lavoro. Con la banca d'affari Goldam Sachs che ha intenzione di tagliare oltre tremila posti di lavoro, una cifra pari al dieci per cento del personale. Ma se gli Usa piangono, Mosca non ride. Perchè anche in Russia sono molte le banche che chiudono le porte. E non è un caso se a livello di popolazione si fa la coda per ritirare i depositi e per prendere d’assalto i Bancomat.

Il liquido torna in casa. Intanto mentre i russi fanno i conti con le previsioni elettorali gli Stati Uniti annunciano che un vertice G20 - per discutere la crisi economica - si terrà il 15 novembre nell'area di Washington. L'obiettivo è "esaminare i progressi fatti per fronteggiare l'attuale crisi finanziaria", nonché "approfondire una comprensione comune delle sue cause".

Tutto sta a significare (è quanto si dice a Mosca negli istituti della politologia più vicini alla sede del ministero degli Esteri) che l’America di Obama o di McCain è un'America costretta a interrogarsi sul futuro della sua economia e del suo stesso ruolo nello scacchiere internazionale. E da Mosca, è ovvio, non arriverà nessun paracadute per aiutare i concorrenti. La crisi economica è mondiale e i russi non vogliono cadere nel vuoto delle dichiarazioni pre-elettorali. Sanno bene che dovranno fare i conti con le banche americane e non tanto con la Casa Bianca. E anche la minaccia iraniana, che nelle prime battute della corsa elettorale si era affacciata alla ribalta, è passata in secondo piano. Tutte queste tematiche, funzionali ai repubblicani e su cui George W.Bush aveva costruito il consenso quasi plebiscitario al suo secondo mandato, sbiadiscono di fronte all'urgenza di una risposta alla crisi.

Intanto l’allarme lanciato dal Regional Economic Outlook del Fondo monetario internazionale (Fmi) non lascia adito a facili speranze: i livelli di incertezza e volatilità restano molto alti e le autorità, nonostante gli interventi, "debbono navigare in un ambiente pieno di sfide". Le elezioni americane, pertanto, vedono delinearsi sempre più all’orizzonte una lunga fase di recessione globale. Ed è anche questo aspetto che induce il Cremlino alla prudenza. E questo vorrà dire che Obama e McCain restano senza l’elettorato russo.

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