di Ilvio Pannullo

Quando si finisce di vedere Zero si rimane quasi impietriti. Ci si riscopre persi tra l’incredulità per quello che si è visto e l’impotenza di reagire. Quando si finisce di vedere Zero si riscopre la voglia di parlare, di confrontarsi, ma è l’angoscia a dominare la scena. L’angoscia di quanti si fermano a ragionare sulle conseguenze di una simile affermazione: quanto ci è stato detto dalla commissione ufficiale sui fatti dell’ 11/9 è un falso. E’ questa, infatti, la dura realtà dei fatti che siamo chiamati ad affrontare. E questo non certo per quello che il film dovrebbe lasciar intendere attraverso supposizioni e teorie, secondo quanto sostenuto da quanti sono soliti abdicare ad un vaglio attento delle critiche semplicemente nascondendosi dietro il termine “complottisti”, ma quanto piuttosto per le ineludibili certezze scientifiche che sono emerse dopo oramai quasi 7 anni di lavoro. Dopotutto è stato lo stesso George J. Tenet, direttore della CIA dal 1997 al 2004, a dire: “Solo un ingenuo può credere che gli attentati dell’11/9 siano stati opera di 19 dirottatori suicidi”.

di Michele Paris

Stanno suscitando non pochi malumori tra i suoi sostenitori le recenti prese di posizione di Barack Obama su alcune questioni al centro del dibattito politico statunitense, questioni che sembrano delineare una svolta moderata in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Che la nuova strategia del Senatore dell’Illinois, peraltro già difficilmente inquadrabile in rigidi schemi ideologici, segua l’esempio di molti dei precedenti candidati democratici alla Casa Bianca, quasi costretti a fare appello agli elettori di centro durante la campagna elettorale una volta conquistata la nomination del proprio partito, è fuori discussione. Tuttavia, le sue recenti dichiarazioni sull’Iraq, sulle sentenze della Corte Suprema circa il possesso di armi e la limitazione della pena di morte, nonché il suo avvicinamento agli evangelici, rischiano di far affievolire almeno in parte l’entusiasmo che era riuscito a sollevare nella prima fase delle primarie, soprattutto tra i giovani americani sedotti dalla promessa di cambiamento.

di Michele Andalini

“Io penso che non debba essere rilasciato perché è stato un alto funzionario e leader nel regime della ex Kampuchea Democratica. La gente vuole che venga processato. Se ha commesso dei crimini, è legittimo che sia giudicato”. Sono i giovani studenti universitari che, insieme a gente comune, protestano e si accalcano al di fuori dei locali del Tribunale per i crimini dei Khmer Rossi vicino Phnom Penh. Ieng Sery, 82 anni, ex Ministro degli Esetri dei Khmer, tramite i suoi avvocati ha fatto sapere di non essere processabile in quanto già graziato dal Re Norodom Sihanouk nel 1996, e dunque il suo sarebbe un caso di “double jeopardy”, di un reato già giudicato. Accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, Sary si è dichiarato anche malato e i suoi avvocati si sono appellati al giudice della corte perché sia liberato il prima possibile. Certo che di anni ne sono passati e l’età di questo criminale è indiscutibile; ma liberare quest’uomo - che ha ricevuto la grazia secondo il codice cambogiano per aver spinto i suoi sostenitori e compagni Khmer ad unirsi alle forze governative - agli occhi di molti appare come una sconfitta del diritto internazionale ed un fallimento della Corte voluta dall’Onu.

di Eugenio Roscini Vitali

La campagna militare dell’esercito etiope in Ogaden si sta ormai trasformando in una vera e propria persecuzione contro la popolazione di etnia somala: rapimenti, torture ed esecuzioni arbitrarie, una crisi umanitaria di vastissime proporzioni che minaccia la sopravvivenza di migliaia di nomadi. E’ questo l’allarme lanciato da Human Rigth Watch (HRW), l’organizzazione internazionale che si batte per la difesa dei diritti umani e che chiede alla comunità internazionale di intervenire affinché il governo di Addis Abeba ordini la fine delle violenze. L’operazione militare, iniziata nel giugno dello scorso anno in seguito alle incursioni dei guerriglieri del Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden (Onlf) contro le installazioni petrolifere presenti nella regione, è una delle tante fasi di un conflitto che va avanti da anni e che, a causa delle restrizioni imposte dal governo etiope sull’informazione, rimane ai più praticamente sconosciuto. Non è così per le autorità governative internazionali che secondo Georgette Gagnon, direttore dell’agenzia Africana di Human Rights Watch, ignorano volontariamente sia i crimini sia le violazioni contro i diritti umani che sconvolgono la regione etiope dell’Ogaden.

di Mariavittoria Orsolato

Molti erano già pronti a gustarsi la serata: Berlusconi nel salotto di Matrix a giustificarsi con gli italiani per le sue smargiassate telefoniche. E’ vero, finora nessuno sa quale sia il contenuto esatto delle intercettazioni nelle mani della Procura di Napoli, ma da quello che è trapelato, pare che il premier - oltre che disquisire sulle sue disfunzioni risolte con un farmaco sperimentale e sulle soubrettes posizionate strategicamente in Rai - si sia sbottonato sulle vicende che riguardano un’ex starlette poi diventata ministro. Il fedele Fedele aveva proposto la diretta con Mentana ma poi è giunta notizia che i nastri della vergogna sarebbero andati distrutti in quanto irrilevanti ai fini dell’indagine; così il cavaliere ha dato ascolto all’altro fedele (leggi Gianni Letta) e per una volta ha messo da parte le sue doti di grande comunicatore, limitandosi a berciare contro la solita magistratura rossa e la solita opposizione giustizialista e persecutrice.


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