di Fabrizio Casari

Ingrid Betancourt è libera. Dopo più di sei anni di prigionìa nella giungla colombiana, la senatrice pacifista e ambientalista, divenuta da anni una icona della lotta per una Colombia diversa, è tornata ad abbracciare i suoi cari e quanti, in questi anni, per la sua liberazione si erano battuti senza sosta. Un’operazione d’intelligence dell’esercito colombiano ha riportato a casa lei ed altri quattordici ostaggi in mano alle Farc, tra i quali tre militari statunitensi e dieci militari colombiani. La liberazione di Ingrid Betancourt è una di quelle notizie che fanno bene. A tutti coloro che credono che qualunque conflitto non possa avere come vittime principali gli innocenti, a coloro i quali ritengono che il sequestro di chi a quella guerra è estraneo sia solo una odiosa manifestazione di debolezza isterica e, soprattutto, a quanti pensano che anche la più dura delle guerre dovrebbe avere delle regole comportamentali, prima fra tutte quella di saper distinguere tra belligeranti e testimoni, tra colpevoli e innocenti, tra nemici e vittime.

di Michele Paris

Con un’altra decisione che ha profondamente diviso i suoi 9 membri, dopo aver decretato qualche settimana fa la legittimità del metodo dell’iniezione letale nella procedura di condanna a morte, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha spazzato via la legge sul bando delle armi da fuoco per uso personale nel District of Columbia, stabilendo invece, per la prima volta nella storia del Paese, che il Secondo Emendamento garantisce tale diritto. La decisione ha così posto fine a decenni di dibattute sentenze nei vari tribunali locali, negando che l’emendamento approvato oltre due secoli fa stabilisca qualche relazione tra il diritto al possesso di un’arma al servizio svolto in una milizia o in un esercito regolare, come suggerisce invece il suo dettato.

di Eugenio Roscini Vitali

Malgrado gli appelli e il boicottaggio della comunità internazionale, l’ex eroe anticolonialista Robert Mugabe ha vinto; il segreto del successo è stata la brutale repressione elettorale messa in atto dalla leadership militare che ha costretto Morgan Tsvangirai, vincitore del primo turno, a ritirarsi dalla corsa presidenziale. Dall’ambasciata olandese della capitale Harare, Tsvangirai ha chiesto al mondo di non riconoscere il risultato di questa “farsa” e ha denunciato le intimidazioni a cui è stata sottoposta la popolazione. Metodi che ricordano i sistemi applicati nelle peggiori dittature: poliziotti paramilitari che lavorano al servizio del regime; Forze Armate che pattugliano le strade della capitale; militanti dello Zimbabwe African National Union-Patriotic Front (Zanu-Pf), il partito che sostiene Mugabe, che hanno scortato gli elettori ai seggi e minacciato chi protestava contro il regime. Questa è la fotografia dello Zimbabwe, questo è il vero volto di Robert Mugabe, un dittatore che da 28 anni tiene in mano le redini di un potere che non ha nessuna intenzione di cedere e che difficilmente qualcuno riuscirà a strappargli.

di Luca Mazzucato

Dopo settimane di trattative, giovedì scorso Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha sospeso i raid nella Striscia e Hamas si é impegnato a fermare il lancio di razzi artigianali su Sderot; tutte le fazioni palestinesi hanno accettato la tregua, limitata a Gaza e non estesa alla West Bank. L’ala armata di Fatah rischia di rompere la tregua lanciando due Qassam e Hamas dichiara per la prima volta che “il lancio dei Qassam danneggia l’interesse nazionale palestinese.” Il negoziato tra Olmert e Hamas rappresenta il definitivo fallimento della linea dura della “dottrina Bush” in Medioriente, che predica l’isolamento dei movimenti “radicali” di resistenza quali Hizbullah in Libano e i sunniti in Iraq.

di Carlo Benedetti

All’inizio della storia c’è il periodo sovietico. Un matrimonio gestito tra Mirafiori e il Cremlino con uomini che si chiamavano Piero Savoretti (“senza di lui - disse una volta Agnelli - questo accordo con i sovietici non ci sarebbe stato”) e Aleksej Kossighin, benedetti anche da quel Pci delle Botteghe Oscure che aveva tutto da guadagnare dall’affare del secolo. Nasceva l’avventura dell’auto di massa in un paese immenso che conosceva solo pochissime automobili e tutte malmesse. Strade zero e benzina a 70 ottani. Eppure si stava per compiere il miracolo, una svolta storica. Tutto doveva avvenire sulle rive del Volga dove accanto all’azienda “made in Fiat” nasceva una città “made in Urss”. E per mettersi in buona luce con il Pci, il nome della città fu quello di “Togliatti”, “Gorod Togliatti”. La fabbrica si chiamò subito “Vaz” Volkskij avtomobilnij zavod. Era il 1967 e si muovevano già le prime utilitarie “Zhiguli” e “Lada” prodotte sul modello della Fiat 124. E il simbolo fu quello di una imbarcazione tipica del Volga dove, appunto, si snodava la città del futuro. Si puntava a conservare una propria riconoscibile identità.


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