di Michele Paris

Le elezioni presidenziali americane sono regolate dal secondo articolo della Costituzione e si fondano sul concetto di “Collegio Elettorale”. Esso consiste in una delegazione di 538 rappresentanti eletti direttamente dai cittadini in ognuno dei 50 stati degli USA e nel District of Columbia, i quali a loro volta, pur essendo teoricamente liberi di votare per un qualsiasi candidato alla presidenza del paese, si esprimono in accordo alla decisione presa dagli elettori. Il candidato che riceve la maggioranza dei voti elettorali (270) viene così eletto presidente degli Stati Uniti. Ogni singolo stato assegna un certo numero di voti elettorali in relazione al numero di propri parlamentari presenti al Congresso, attribuzione a sua volta determinata in base al numero di abitanti. In seguito alla ratifica del 23esimo emendamento nel 1961, anche al District of Columbia – il distretto federale che ospita la capitale Washington – sono stati garantiti 3 voti elettorali, pari al numero di quelli assegnati dagli stati meno popolosi. Alla luce di questo sistema elettorale, la conquista del voto popolare su base nazionale da parte di un singolo candidato alla presidenza risulta meno importante rispetto alla conquista di un numero di voti elettorali tale da permettergli di raggiungere la soglia di 270, necessaria a garantirsi il successo. L’esempio più recente della conquista di un candidato della maggioranza dei voti espressi, ma della minoranza dei voti elettorali, è stato nel 2000 (dopo che in precedenza era accaduto solo nel 1876 e nel 1888). In quell’occasione il democratico Al Gore ottenne oltre 500.000 voti in più di George W. Bush su scala nazionale (il 48,4% contro 47,9%), ma quest’ultimo si garantì 271 voti elettorali che gli consentirono di prevalere. Teoricamente, è possibile che due candidati possano chiudere la tornata elettorale in una situazione di perfetta parità (269 / 269). In tal caso, la soluzione dell’impasse spetta alla Camera dei Rappresentanti.

Quarantotto stati e il District of Columbia adottano un sistema maggioritario integrale (“winner-take-all”), secondo il quale il candidato che ottiene almeno la metà più uno dei voti popolari si aggiudica l’intera posta in palio. Gli stati del Maine e del Nebraska – il primo dotato di 4 voti elettorali, il secondo di 5 – assegnano invece una parte dei rispettivi voti elettorali in base al voto popolare di ogni singolo distretto elettorale, mentre al candidato che ottiene il maggior numero di preferenze nell’intero stato viene premiato con altri 2 voti elettorali. Tale sistema – definito “Congressional District Method” – fa in modo che, ad esempio, in uno stato solidamente repubblicano come il Nebraska, per i democratici vi siano buone probabilità di conquistare comunque un voto elettorale, quello assegnato cioè dal distretto che comprende la città di Omaha, in genere di tendenze meno conservatrici.

Negli ultimi decenni, la competizione elettorale per le presidenziali americane è stata decisa da una serie di stati tradizionalmente in bilico tra i due partiti (“swing states”, “battleground states” o “tossup states”). Mentre la maggior parte degli stati nord-orientali e della costa occidentale sono in genere favorevoli al Partito Democratico (“blue states”), i repubblicani si sono quasi sempre assicurati quelli del sud, della regione dei Monti Appalachi, delle grandi pianure centrali e del sud-ovest (“red states”). Una serie di cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella composizione sociale di molti stati solidamente repubblicani, assieme al disappunto provocato dalla presidenza Bush e al deterioramento della situazione economica, ha permesso però ai democratici di allargare il loro consenso in numerosi stati nei quali avevano spesso faticato a conquistare deputati e senatori da inviare al Congresso, per non parlare dei voti elettorali nelle presidenziali.

La formidabile organizzazione costruita da Barack Obama nel corso delle primarie, resa possibile da una ineguagliata disponibilità finanziaria, ha così determinato nelle elezioni del 2008 un parziale sconvolgimento, almeno secondo i sondaggi, di questa consolidata mappa elettorale. Le risorse a disposizione dello staff del senatore dell’Illinois e in molti casi l’entusiasmo suscitato in alcune fasce di popolazione solitamente restie a recarsi alle urne – giovani e afroamericani – hanno finito per rimettere in discussione importanti stati che nel 2004 avevano premiato il candidato repubblicano. I casi più eclatanti sembrano riguardare la Virginia, la North Carolina, la Florida, il Colorado, il Nevada, il New Mexico e l’Iowa.

Secondo i dati accorpati a circa una settimana dal voto dal sito web Pollster.com in base alla media dei sondaggi nazionali, gli stati conquistati da Bush quattro anni fa e oggi in bilico tra i due candidati o trasferiti con un certo margine di sicurezza nella colonna democratica – per un totale di 147 voti elettorali – sono i seguenti:























Voti elettorali Vincitore 2004 Previsione 2008
Colorado 9 Bush +4,7% Obama +6,7%
Florida 27 Bush +5,0% Obama +2,2%
Georgia 15 Bush +16,6% McCain +4,0%
Indiana 11 Bush +20,7% Obama +0,1%
Iowa 7 Bush +0,7% Obama +12%
Missouri 11 Bush +7,2% Obama +1,6%
Montana 3 Bush +20,5% McCain +2,7%
Nevada 5 Bush +2,6% Obama +3.2%
New Mexico 5 Bush +0,8% Obama +6,5%
North Carolina 15 Bush +12,4% Obama +2,6%
North Dakota 3 Bush +27,4% Obama +3,6%
Ohio 20 Bush +2,1% Obama +4,4%
South Dakota 3 Bush +21,5% McCain +7,5%
Virginia 13 Bush +8,2% Obama +8,1%




Al contrario, tra gli stati conquistati da John Kerry per i democratici nel 2004, quest’anno il solo New Hampshire appare essere relativamente in equilibrio. Questo stato del New England assegna 4 voti elettorali e quattro anni fa il senatore democratico del Massachusetts vinse con un margine dell’1,4%. Le rilevazioni statistiche per il 2008 lo assegnano a Barack Obama, il quale avrebbe su McCain, molto popolare in New Hampshire dove ha vinto le primarie repubblicane quest’anno e nel 2000, un vantaggio di poco inferiore ai 6 punti percentuali.

I rimanenti stati sembrano invece già assegnati ad uno dei due candidati, tanto che Obama viene accreditato di 268 voti elettorali praticamente certi, contro i 139 quasi sicuri per McCain:














































Voti elettorali Vincitore 2004 Previsione 2008
Alabama 9 Bush +25,6% McCain +22,2%
Alaska 3 Bush +25,6% McCain +15,3%
Arizona 10 Bush +10,5% McCain +9,8%
Arkansas 6 Bush +9,8% McCain +11,8%
California 55 Kerry +9,9% Obama +16,6%
Connecticut 7 Kerry +10,4% Obama +15,0%
Delaware 3 Kerry +7,6% Obama +15,7%
District of Columbia 3 Kerry +79,8% Obama +69,0%
Hawaii 4 Kerry +8,7% Obama +33,6%
Idaho 4 Bush +38,1% McCain +32,6%
Illinois 21 Kerry +10,3% Obama +25,4%
Kansas 6 Bush +25,4% McCain +16,1%
Kentucky 8 Bush +19,9% McCain +13,5%
Louisiana 9 Bush +14,5% McCain +15,0%
Maine 4 Kerry +9,0% Obama +15,2%
Maryland 10 Kerry +13,0% Obama +18,0%
Massachusetts 12 Kerry +25,2% Obama +21,8%
Michigan 17 Kerry +3,4% Obama +15,9%
Minnesota 10 Kerry +3,5% Obama +8,8%
Mississippi 6 Bush +19,7% McCain+9,5%
Nebraska 5 Bush +33,2% McCain +22,3%
New Jersey 15 Kerry +6,7% Obama +11,9%
New York 31 Kerry +18,3% Obama +23,3%
Oklahoma 7 Bush +31,1% McCain +30,6%
Oregon 7 Kerry +4,2% Obama +13,4%
Pennsylvania 21 Kerry +2,5% Obama +12,5%
Rhode Island 4 Kerry +20,7% Obama +17,3%
South Carolina 8 Bush +17,1% McCain +11,8%
Tennessee 11 Bush +14,3% McCain +15,0%
Texas 34 Bush +22,9% McCain +14,2%
Utah 5 Bush +45,5% McCain +34,3%
Vermont 3 Kerry +20,1% Obama +23,1%
Washington 11 Kerry +7,2% Obama +9,6%
West Virginia 5 Bush +12,9% McCain +9,1%
Wisconsin 10 Kerry +0,4% Obama +9,6%
Wyoming 3 Bush +39,8% McCain +23,2%



Le elezioni del 4 novembre 2008 stabiliranno il nome del 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Oltre ai due candidati principali, il democratico Barack Obama e il repubblicano John McCain, saranno presenti sulle schede elettorali, per lo meno in alcuni stati, anche altri quattro nomi di aspiranti alla Casa Bianca, ovviamente senza alcuna concreta possibilità di vittoria: Bob Barr (Partito Libertario), Ralph Nader (Indipendente), Chuck Baldwin (Partito della Costituzione) e Cynthia McKinney (Verdi).

All’indomani della Guerra Civile Americana (1861-1865), i due partiti più importanti, quello Democratico e quello Repubblicano, hanno iniziato ad assumere la fisionomia che si può osservare oggi, con il primo formato da una coalizione di forze liberali e il secondo di quelle conservatrici. Da allora democratici e repubblicani si sono spartiti senza eccezione la più alta carica del paese, anche se non sono mancati negli ultimi 150 anni candidati di un terzo partito capaci di raccogliere un consistente numero di voti.

Nelle elezioni del 1912 addirittura, l’ex presidente ed ex repubblicano Theodore Roosevelt, in corsa per il “Bull-Moose Party” (o Partito del Progresso), ottenne 88 voti elettorali piazzandosi alle spalle del presidente eletto Woodrow Wilson (democratico) e davanti al repubblicano William Taft. Più recentemente, furono Ross Perot e Ralph Nader a raccogliere una fetta più o meno consistente di consensi condizionando verosimilmente l’esito delle presidenziali del 1992 e del 2000. Il primo, miliardario texano presentatosi come indipendente, prese il 19% del voto popolare penalizzando fortemente il presidente uscente George H. W. Bush nei confronti di Bill Clinton. Nader invece, in corsa otto anni fa sotto la bandiera dei Verdi, si fermò al 2.7% su base nazionale risultando però decisivo nel sottrarre consensi al democratico Al Gore in Florida.

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