di Alessandro Iacuelli

Tra i paesi non aderenti al Protocollo di Kyoto figurano gli USA, cioè quel Paese che da solo è responsabile del 36,2% del totale delle emissioni. Eppure, l'11 dicembre 1997, alla fine della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenuta nella città giapponese, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo ed aveva poi confermato l'adesione durante gli ultimi mesi del suo mandato. George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, come uno dei primi atti della sua amministrazione, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta. Erano gli anni di una delle più famose frasi negativamente celebri di Bush: "Lo stile di vita non è negoziabile". La scusa addotta dall'Amministrazione Bush fu il ritenere non provata la relazione tra emissioni di CO2 e riscaldamento globale; in seguito da Washington hanno aggiustato il tiro, dichiarando come motivazione la perdita di competitività dovuta ai costi necessari per ridurre le emissioni di anidride carbonica rispetto a Cina ed India, che invece non sono obbligate dal protocollo a limitare le proprie emissioni in quanto Paesi Emergenti. Da un punto di vista tecnico e scientifico, l'atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate di CO2, il Protocollo di Kyoto prevede che i paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Ma il mondo complessivamente immette 6.000 megatonnellate di CO2, di cui 3.000 dai Paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyoto, se ne dovrebbero immettere 5.850 anziché 6.000. Ad oggi, i 174 Paesi che hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra. Manca la quota di emissione degli USA per superare il 97% delle emissioni.

All'interno degli USA non é mancato il dissenso circa questa scelta di non adesione e non ratifica del protocollo, ma è rimasto confinato a livello locale, spesso con la partecipazione attiva delle amministrazioni di singole città. E' il caso di Chicago e Los Angeles, che stanno studiando la possibilità di emettere provvedimenti che permettano a livello locale di applicare il trattato. Non è roba da poco: anche se il provvedimento riguardasse solo una parte del paese, non sarebbe un evento insignificante, visto che alcune singole regioni industrializzate degli USA da sole producono tanto biossido di carbonio quanto un grande paese industrializzato europeo come la Germania.

Con Obama alla Casa Bianca, gli USA potrebbero addirittura riprendere la leadership della battaglia climatica, tornando all’esempio politico di Al Gore. Obama infatti investirebbe 150 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni per promuovere le energie alternative. Entro il 2015 vorrebbe avere 1 milione di autoveicoli ibridi sulle strade. È favorevole al sistema di tetti alle emissioni di CO2 e sottoscrive l’obiettivo di ridurle entro il 2050. Introdurrebbe anche una tassa sui profitti delle compagnie petrolifere, derivanti dalle impennate del prezzo del greggio.
Così, Obama durate un comizio dichiara esplicitamente: "Ritengo che tutti i nostri accordi commerciali debbano prevedere delle misure efficaci da applicare in favore dei lavoratori e dell’ambiente. Ma, fino ad ora, non siamo stati molto bravi nell’esecuzione di questi accordi". Suona come una dichiarazione d'intenti, quella di dare un taglio netto alla politica ambientale di Bush. McCain dal canto suo pensa la stessa cosa, con un occhio verso la bolla economica del futuro, quella del green business.

Chiaramente, in una campagna elettorale particolarmente accesa, tutti possono sembrare “ecologisti”, ma c'è anche un interesse reale nella popolazione: il dibattito sui cambiamenti climatici divide la maggioranza degli elettori americani. Il rapporto Transatlantic Trends del 2008 rivela che i sostenitori di Obama sono più sensibili al problema del surriscaldamento globale rispetto a quelli di McCain, che sono invece più preoccupati dal terrorismo, le armi nucleari e il fondamentalismo. L’82% dei cittadini europei si preoccupa del surriscaldamento globale e sia Obama che McCain devono mettere il cambiamento climatico tra le loro priorità: il 41% degli americani vede i cambiamenti climatici come il problema più urgente dopo il terrorismo, a fronte del 42% degli americani che al secondo posto mettono invece la crisi economica.

Altro elemento di difficoltà sta nel fatto che si vota il 4 di novembre, praticamente alla vigilia della conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Poznan, in Polonia, dall’1 al 12 dicembre. Il quadro normativo che emergerà da Poznan dovrà rimpiazzare quello di Kyoto, che decadrà nel 2012. Il nuovo Presidente statunitense tuttavia non si insedierà fino a gennaio 2009 e ciò vuol dire che al tavolo delle trattative in Polonia siederà ancora l’amministrazione Bush. Il che potrebbe mettere in una posizione realmente scomoda la prossima amministrazione, se dovesse essere presieduta da Obama.

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