di Eugenio Roscini Vitali

In un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano Haaretz, il giornalista e scrittore israeliano Akiva Eldar parla del suo incontro con il docente di filosofia e rettore dell’Università Al-Quds di Gerusalemme, Sari Nusseibeh. Nell’intervista il professore palestinese commenta l’attuale situazione politica e spiega che gli Accordi sottoscritti ad Oslo non hanno più alcun significato. Nusseibeh imputa il fallimento ai fatti accaduti in questi quindici anni, alla profonda frattura ideologica che ha travolto il popolo palestinese e alla spinta del fronte sionista che di fatto ha bloccato l’applicazione della Dichiarazione di Principi firmata il 20 agosto 1993 da Yasser Arafat e Shimon Peres. Quindici anni di trattative che si possono riassume con alcune semplici richieste israeliane: annessione del sette percento della Cisgiordania in cambio di un’area del Negev che corrisponde a poco più del cinque percento del territorio acquisito; rifiuto di trattare sulla questione dei rifugiati e del loro diritto al ritorno; rinvio di qualsiasi accordo sullo status di Gerusalemme; implementazione del processo di pace a condizione che Hamas, il movimento islamico che ha vinto le elezioni politiche del 25 gennaio 2006 ed ha ottenendo la maggioranza del Consiglio Legislativo Palestinese con 76 seggi su un totale di 132, perda il controllo della Striscia di Gaza.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Mentre l’attenzione è rivolta ad un’altra regione del Caucaso, quella georgiana dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, la Cecenia si ripresenta alla ribalta della Russia. Si torna a parlare – in questa polveriera millenaria - delle lotte dei clan, del conflitto con il Cremlino e della resa dei conti che agita sempre le questioni locali. E si “scopre” che la guerra tra Mosca e Tbilisi sull’Ossezia del Sud e l’Abkhazia ripropone con forza la questione delle frontiere e, ancor più, il problema della coabitazione di una grande varietà di popoli e di minoranze etniche, linguistiche e religiose. Ma c’è soprattutto – in questa conflagrazione generale - un fatto che è ancor più pericoloso e tragico. Ed è che il Cremlino - ieri di Putin, oggi di Medvedev – mostra di non aver capito che nel Caucaso c’è una eterogeneità e complessità di popolazioni. Perchè accanto ai tre popoli dominanti - georgiani, armeni e azeri - coesistono nazionalità e minoranze che superano il centinaio come adighei, abkhazi, cabardini, circassi, caratini, ceceni, ingusci, psciavi, nogai, talisci, curdi yazidi, assiri, osseti, calmucchi, tatari, agiari, baschiri, lazi, svani, khevsuri, tati ecc. Una vera “polveriera” dove, tra l’altro, convivono scosse e convulsioni politiche, ripicche familiari, rese dei conti, lotte per l’egemonia.

di Luca Mazzucato

Era l'epoca degli accordi di Oslo firmati da Rabin e Arafat, un'onda di speranza si allargava nel Medioriente: ma tutto finì nel sangue una sera di novembre del 1995, quando un estremista di destra ultra-ortodosso sparò a distanza ravvicinata e uccise il premier israeliano, ad una manifestazione pacifista nella piazza centrale di Tel Aviv, uccidendo insieme a Rabin le prospettive di convivenza tra israeliani e palestinesi. Quattordici anni dopo, torna lo spettro del terrorismo di destra: una bomba piazzata davanti alla sua porta di casa ha colpito Ze'ev Sternhell, professore, giornalista di Ha'aretz e membro di Shalom Ahshav (Peace Now). Il professore se l'è cavata con qualche ferita alle gambe e molto spavento: ma la polizia e il governo dichiarano che la bomba mirava ad un nuovo assassinio politico. In un paese stanco e assuefatto alla guerra, l'assassino di Rabin è ancora in carcere, pericoloso nemico dello stato per i più. Ma per l'estrema destra israeliana e i coloni (con malcelate simpatie nella destra istituzionale), è un eroe che ha salvato Israele dalla svendita al nemico arabo.

di mazzetta

Un funzionario egiziano ha dichiarato che l'esercito egiziano e quello sudanese, nel corso di un'operazione congiunta, hanno liberato in Ciad i turisti rapiti il 19 settembre nell'alto Egitto. Cinque tedeschi, cinque italiani, un rumeno e otto egiziani tra guide ed autisti del gruppo sono ora in viaggio verso casa. La metà dei rapitori avrebbe trovato la morte nel corso dell'operazione, a questi vanno aggiunti altri sei appartenenti al gruppo uccisi un paio di giorni prima dalle forze sudanesi. All'operazione avrebbero contribuito anche i servizi segreti italiano e tedesco. Grande disagio è trapelato dal governo del Ciad, che ha negato decisamente che i rapitori siano stati intercettati in territorio ciadiano. La circostanza è significativa, poiché molte fonti avevano indicato i rapitori in uno dei numerosi gruppi operanti in Sudan (il JEM) e supportati dal dittatore del Ciad Idriss Deby Itno. Non è chiaro se siano gli stessi autori del rapimento o se quelli li abbiano poi ceduti a questi, ma la traiettoria dei loro spostamenti è significativa. Ben difficilmente dei criminali egiziani sarebbero scappati verso il Ciad.

di Giuseppe Zaccagni

Le opposizioni sino ad ora parlano di “iniqua campagna elettorale” e molti media occidentali di ispirazione americana sostengono che il paese è nelle mani dell’ultimo dittatore d’Europa. Si riferiscono all’“autocrate” che occupa la poltrona presidenziale di Minsk e tutto questo va nel conto del personaggio – il presidente Lukascenko - che l’ovest contesta e attacca in modo particolare mentre la Bielorussia va al voto per il rinnovo del Parlamento: 282 i candidati per 110 seggi. La contestazione locale, comunque, non è nuova, perchè la dissidenza continua a farsi forte dell’appoggio degli Usa, del miliardario Soros e di tutte quelle organizzazioni cosiddette umanitarie spesso collegate direttamente ed indirettamente alla CIA, tramite il National Endowment for Democracy, che è una potente organizzazione statunitense creata nel 1983, con lo scopo di “rafforzare le istituzioni democratiche nel mondo mediante azioni non governative”.


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