di Stefania Pavone

La riapertura dell’inossidabile enigma israelo-palestinese nel gioco diplomatico mondiale, da sempre ottimisticamente convinto di poter mettere d’accordo le due parti, ha avuto una accelerazione politica con l’arrivo, ieri, di George Mitchell, inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente. Il diplomatico americano è sbarcato al Cairo, sull’onda delle speranze lanciate nel mondo dalla presidenza di Obama, per incontrare Hosni Mubarak prevedibilmente nella giornata di oggi. Ma a guastare le attese fiduciose e gli slanci c’è l’ennesimo bollettino di morti e feriti. Nel triste gioco di cupe e dolorose vendette che copre come una nube il cielo del lager Gaza, la fragilissima tregua già vacilla. Infatti, Israele ha sigillato di nuovo la Striscia con una rappresaglia conclusasi nella serata di ieri. Nella mattinata,un attacco palestinese contro una pattuglia di soldati israeliani aveva provocato l’uccisione di un militare. Tre i feriti, uno molto grave. La risposta di Israele non si è fatta attendere: nell’incursione nella Striscia sono stati uccisi due palestinesi. Sui dettagli del fatto, fonti palestinesi testimoniano che un gruppo di miliziani avrebbe sparato un razzo anticarro contro una jeep militare. La reazione israeliana è stata immediata: fuoco su fuoco, mentre un’unità di fanteria è entrata nel territorio palestinese, con la copertura aerea di elicotteri, addentrandosi per circa un chilometro a sud del valico di Kissufim alla ricerca degli autori dell’attacco. I valichi che, soli, rendono possibile il palpito vitale di Gaza, sono stati di nuovo chiusi. Blocco degli aiuti umanitari, dunque: è tutto qui il visibile, incessante martirio di un popolo che nessuno al mondo vuole aiutare. “Intollerabile”, ha urlato Ehud Barack a proposito dell’azione dei miliziani di Gaza. E ha aggiunto che Israele reagirà nei modi che riterrà opportuni.

Il gioco delle accuse e delle recriminazioni rimbomba nell’arena della politica. Hamas e Jihad islamica si sono dichiarati estranei all’attacco, ma non hanno mancato di denunciare Israele per aver ripetutamente violato il “ cessate il fuoco” imposto dalla fine delle operazioni di “piombo fuso”. Inoltre, un missile israeliano avrebbe centrato uno scooter all’interno della Striscia, nella località di Khan Yunis, nell’ambito della rappresaglia israeliana in corso dopo l’attacco. Feriti un passante e un giovane che era alla guida dello scooter. E mente succede questo e altro nella turbolenta Striscia, all’aeroporto del Cairo, Mitchell incrocia l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Javier Solana, in missione nella diplomazia d’Egitto. Il clima di fiducia che avvolge l’arrivo di Mitchell si dipana all’insegna del prolungamento del cessate il fuoco proclamato unilateralmente da Israele il 18 gennaio scorso.

Intanto, il lavorio diplomatico del Cairo pare ottenere dei risultati significativi. Sviluppi positivi sono emersi dal dialogo della delegazione della Jiad islamica e del Fronte democratico di Liberazione della Palestina. Secondo il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, “un cessate il fuoco permanente potrebbe essere instaurato nella prima settimana di febbraio per garantire l’apertura dei passaggi”. Il fronte arabo moderato che si raccoglie attorno alla diplomazia del Cairo fa intravedere spiragli significativi quando annuncia che le date del 5 febbraio e del 22 febbraio sarebbero state indicate dalle fazioni palestinesi per un “cessate il fuoco” e per l’avvio della agognata quanto tortuosa riconciliazione palestinese. “ Ci sono preparativi per la riconciliazione palestinese e l’invito dei gruppi al dialogo - ha detto il ministro degli Esteri - e speriamo di accordarci per la terza settimana del prossimo mese”. Al centro dei colloqui ci sarà il dossier per la ricostruzione di Gaza. Il processo di pace riprenderà con slancio: ne fa fede l’arrivo di Mitchell. Ma come guarda ora l’America il Medio Oriente?

Gli Usa sono un paese trascinato nel fondo di una profonda crisi morale e di fiducia, ma è dagli americani che il mondo attende le parole che contano nei dossier che scottano. Obama non può ignorare il pandemonio israelo-palestinese. Ma alla Casa Bianca la questione è oramai una pedina di un piccolo mosaico regionale in gioco più grande che indica come priorità la partita con l’Iran e Pakistan/Afghanistan. Arma atomica, energia, Israele: l’America tocca tutto ciò che conta nel cuore del grande Medio Oriente. Il fumo della battaglia di Gaza e l’avvento di un nuovo leader a Gerusalemme illumineranno l’approccio di Obama al problema. Una speranza si può aprire, forse, per non archiviare la questione palestinese nei cassetti della storia.

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