A giudicare dalla campagna orchestrata negli ultimi mesi dalla classe politica e dai principali media dell’Australia, il paese del continente oceanico sarebbe niente meno che sul punto di diventare una sorta di colonia cinese. L’operazione di propaganda in atto ha raggiunto livelli simili a quelli registrati negli Stati Uniti riguardo le presunte interferenze russe e, in maniera preoccupante, come quest’ultima campagna anche quella australiana affonda le proprie radici principalmente nei preparativi di guerra del governo di Washington contro i propri principali rivali strategici internazionali.

Nonostante il glorioso passato imperiale, gli inglesi non hanno mai avuto alcuna possibilità di vincere questa battaglia. Infatti l’hanno persa. L’accordo raggiunto fra il governo britannico e l’Ue per chiudere la fase uno della trattativa sulla Brexit, quella dedicata ai termini del divorzio, si è risolto in una disfatta per Londra. Dopo nove mesi di negoziati, la premier Theresa May ha dovuto cedere su tutta la linea. A cominciare dal Brexit bill, il conto della separazione.

La decisione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) di bandire la Russia dai prossimi giochi invernali in Corea del Sud è la dimostrazione di come l’isteria anti-russa, che sta agitando l’establishment politico e mediatico negli Stati Uniti, continui a sconfinare assurdamente anche nell’ambito sportivo. La squalifica senza precedenti annunciata martedì a Losanna dovrebbe punire la Russia per il presunto programma di doping di stato emerso qualche anno fa e impedirà agli atleti di nazionalità russa di partecipare sotto la bandiera del proprio paese alle Olimpiadi in programma a Pyeongchang tra il 9 e il 25 febbraio 2018.

Non ci sono dubbi sul “se”, solo sul “quando”. Così il portavoce di Trump aveva descritto la decisione del suo presidente di voler trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv e Gerusalemme. Poche ore dopo essa è stata ribadita dallo stesso Trump nel corso di un colloquio telefonico con Abu Mazen, che lo ha fortemente (ma inutilmente) sconsigliato dal prendere una simile iniziativa nei confronti della quale anche Hamas ha avvertito che darà vita ad una nuova Intifada.

Proprio quando sembrava aprirsi all’orizzonte un possibile sbocco pacifico del sanguinoso conflitto in corso da oltre due anni in Yemen, la già drammatica situazione nel paese arabo è tornata a precipitare in seguito al fallimento delle ultime manovre dei regimi del Golfo Persico, sfociate lunedì con l’uccisione dell’ex presidente, Ali Abdullah Saleh.


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