Alla vigilia del sesto round di colloqui, voluti dal presidente americano Trump, per la revisione del Trattato di Libero Scambio Nord Americano (NAFTA), il governo canadese ha inviato segnali piuttosto chiari sullo stato dei negoziati, lasciando intendere un sempre più probabile ritiro di Washington dall’accordo entrato in vigore oltre due decenni fa.

A sette anni dalla rivoluzione in Tunisia che ha rovesciato il regime del presidente Zine El Abidine Ben Ali, il paese nordafricano è di nuovo scosso da movimenti di protesta, diretti oggi contro il governo formalmente democratico. Le ragioni dell’esplosione del malcontento sono legate alle “riforme” economiche dettate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dai creditori internazionali di Tunisi, anche se le dimostrazioni esprimono la persistente ostilità popolare nei confronti di un sistema che poco o nulla ha fatto per affrontare le questioni irrisolte del periodo post-rivoluzionario.

I primi colloqui diretti tra i rappresentanti delle due Coree dopo più di due anni rappresentano una tenue speranza per una possibile soluzione pacifica della crisi in Asia nord-orientale. Per il momento, il vertice bilaterale ha affrontato concretamente la sola questione della presenza di atleti nordcoreani alle prossime Olimpiadi invernali di PyeongChang, mentre eventuali ulteriori progressi dovranno misurarsi sia con le decisioni americane sia con il ruolo e le concessioni che le potenze coinvolte nella crisi intenderanno riconoscere al regime di Kim Jong-un.

La violentissima polemica scatenata a Washington dalla pubblicazione del libro del giornalista Michael Wolff sull’esperienza alla Casa Bianca dell’ex consigliere di Trump, Stephen Bannon, è continuata a infiammare il panorama politico americano nel fine settimana nonostante la parziale marcia indietro di quest’ultimo sulle accuse al presidente e al suo staff.

Il principale social network disponibile in rete sembra essere sempre più una sorta di esecutore delle politiche di censura promosse da alcuni governi occidentali e dai loro alleati. Questa impressione è stata nuovamente rafforzata nei giorni scorsi, quando Facebook ha dovuto ammettere di avere cancellato un certo di numero di account dei propri iscritti su richiesta dei governi di Stati Uniti e Israele.


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