La visita di martedì a Pyongyang di una delegazione di alto livello del governo sudcoreano ha portato apparentemente a un miglioramento delle prospettive di pace di fatto senza precedenti nell’ultimo decennio. Lo stesso leader nordcoreano, Kim Jong-un, è stato protagonista di un lungo incontro con gli inviati di Seoul e le dichiarazioni ufficiali che sono seguite hanno evidenziato un possibile significativo cambiamento delle posizioni del regime, i cui effetti saranno da verificare soprattutto a Washington.

La decisione presa settimana scorsa dal presidente americano Trump di imporre pesanti tariffe doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio ha scatenato una valanga di critiche sul fonte domestico e internazionale, così come una serie di minacce di ritorsioni, anche da parte di paesi alleati di Washington, che prospettano lo scatenarsi a tutti gli effetti di una pericolosissima nuova guerra dei dazi su scala globale.

Dima Hasan è una ragazza siriana. Agronoma, interessata all’ecologia, internazionalista, lavora come educatrice. Il 5 marzo, Dima si recherà con altri coetanei all’ambasciata della Repubblica bolivariana del Venezuela a Damasco, per rendere omaggio a Hugo Chávez, che tanto lavorò contro le guerre imperialiste. Come quella che, per procura, continua a devastare la patria di Dima, dal 2011.

Di prove concrete dell’esistenza e dell’impiego di armi chimiche da parte di Assad in Siria non vi è tuttora traccia, ma il governo di Damasco e, in seconda battuta, quello di Mosca sono comunque responsabili di attacchi presumibilmente condotti con sostanze proibite contro i civili nel paese mediorientale in guerra.

 

Questa è in sostanza la posizione dell’Occidente in un frangente forse cruciale del conflitto, sempre più simile alle fasi che precedettero l’invasione dell’Iraq nel 2003 sulla base di accuse fabbricate dell’esistenza in questo paese di “armi di distruzioni di massa”.

Una causa attualmente all’attenzione della Corte Suprema americana minaccia di ridurre in modo drastico le entrate dei sindacati del settore pubblico negli Stati Uniti, restringendone ulteriormente il peso e l’influenza dopo anni di guerra condotta dagli ambienti della destra americana contro i presunti rappresentanti dei lavoratori.

 

Il caso - “Janus contro AFSCME” (Federazione Americana dei Dipendenti di Stati, Contee e Municipalità) - ruota attorno alla costituzionalità delle cosiddette “agency fees”, cioè le quote raccolte dai sindacati tra quei lavoratori non iscritti ma che godono ugualmente dei benefici derivanti dalla loro attività di contrattazione.

 

Questa forma di contributo da destinare ai sindacati è prevista in una ventina di stati americani. Varie iniziative di legge, quasi sempre repubblicane, hanno invece abolito altrove l’obbligatorietà della pratica e privato le stesse organizzazioni dei dipendenti pubblici di decine di milioni di dollari in entrate.


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