Nel suo secondo intervento davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite, martedì il presidente americano Trump ha sostituito la Corea del Nord, al centro di un bellico discorso nel settembre dello scorso anno, con l’Iran come bersaglio della politica estera del suo governo, improntata sempre più al confronto diretto con i propri principali rivali strategici.

 

Gli attacchi contro la Repubblica Islamica dalla pedana del Palazzo di Vetro erano attesi e si inscrivono in un’escalation di minacce e iniziative provocatorie inaugurate con la decisione, presa dalla Casa Bianca la scorsa primavera, di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA), sottoscritto a Vienna nel 2015.

 

Trump ha cercato di usare la sua apparizione di fronte ai leader di tutto il mondo non tanto per raccogliere consensi attorno a una nuova offensiva internazionale contro l’Iran, quanto per intimidire gli altri paesi e convincerli ad assecondare le decisioni di Washington. Infatti, sull’Iran gli USA sono in sostanza isolati a livello globale e i paesi o le compagnie che si adeguano alle sanzioni unilaterali americane lo fanno esclusivamente in conseguenza delle pressioni esercitate da Washington grazie al peso della propria economia e della propria moneta.

 

Il presidente americano ha parlato della “dittatura corrotta” che guida la Repubblica Islamica e che utilizza i proventi dell’accordo sul nucleare per finanziare una campagna terroristica destabilizzante per l’intero Medio Oriente. Attribuendo alcune delle azioni tipiche degli Stati Uniti, Trump ha poi accusato l’Iran di non rispettare “la sovranità delle nazioni”.

 

Malgrado le scintille tra i leader dei due paesi, alla vigilia dell’annuale Assemblea Generale era circolata la notizia di un possibile incontro tra Trump e il presidente iraniano Rouhani. L’ipotesi era legata però a un’eventuale riapertura delle trattative tra Washington e Teheran, teoricamente per trovare un’intesa diplomatica che sostituisca quella di Vienna. Da parte iraniana, questa proposta americana più o meno esplicita è stata respinta seccamente e lo stesso Rouhani ha chiesto un ripensamento da parte di Trump sul JCPOA prima di prendere in considerazione l’idea di un vertice bilaterale a qualsiasi livello.

 

Il 4 novembre prossimo torneranno comunque in vigore a tutti gli effetti le sanzioni americane che erano state sospese con l’accordo di Vienna. Il settore petrolifero iraniano sarà al centro delle misure punitive, come conferma l’intenzione dichiarata degli USA di azzerare l’export di greggio del paese mediorientale.

 

I leader della Repubblica Islamica hanno da parte loro giudicato impossibile, oltre che assurda e illegale, l’applicazione di un embargo totale alle proprie esportazioni di petrolio. Se ciò dovesse accadere, in ogni caso, Teheran ha minacciato gravi ritorsioni, come ad esempio la chiusura al traffico navale dello stretto di Hormuz.

 

L’obiettivo principale dell’amministrazione Trump è di mettere in ginocchio l’economia iraniana, così da convincere la leadership del paese ad ammorbidirsi e accettare le richieste americane, oppure per cercare di alimentare il malcontento interno e favorire un colpo di mano contro l’attuale regime.

 

I diktat di Washington restano totalmente inaccettabili per l’Iran. Lo stop al programma missilistico difensivo e l’abbandono delle ambizioni da potenza regionale, ovvero, nel gergo americano, del proprio comportamento “maligno” in Medio Oriente, sono presupposti irrinunciabili, oltre che legittimi, per un paese che deve fare i conti da quasi quattro decenni con la minaccia degli USA e dei loro alleati.

 

Le posizioni americane, delineate dal discorso di Trump all’ONU, confermano dunque le pericolose tendenze ultra-nazionaliste dell’amministrazione repubblicana e il ritorno anche formale a una gestione unilaterale degli affari internazionali, senza vincoli d’alcun genere.

 

La dimostrazione di ciò si osserva proprio in relazione all’Iran con l’abbandono dell’accordo sul nucleare nonostante gli altri paesi firmatari (Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania) e le stesse Nazioni Unite abbiano finora sempre certificato il totale rispetto delle sue condizioni da parte della Repubblica Islamica.

 

Proprio il crescente isolamento che implicano gli sforzi di Trump per provare a conservare la posizione internazionale degli Stati Uniti stanno suscitando polemiche e accese critiche da parte di commentatori ed esponenti di altre fazioni dell’apparato di potere americano. Pur condividendo in generale la necessità di contenere la “minaccia” iraniana in Medio Oriente, in molti a Washington temono che un confronto diretto con Teheran, derivante dall’affondamento deliberato di un trattato che include anche alcuni alleati cruciali, possa incrinare seriamente le relazioni con questi ultimi.

 

I timori in questo senso hanno trovato una nuova conferma lunedì. Presso la sede dell’ONU, i ministri degli Esteri di Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania, assieme alla responsabile degli Affari Esteri dell’Unione Europea, Federica Mogherini, hanno rilasciato una dichiarazione che annuncia il loro impegno per la creazione di un “meccanismo legale” che consenta di proseguire gli scambi commerciali con l’Iran anche dopo l’entrata in vigore delle sanzioni “secondarie” americane.

 

Questi paesi hanno ribadito il rispetto degli impegni internazionale dell’Iran e, nel concreto, proveranno a studiare un mezzo per facilitare le transazioni finanziarie con questo paese, in modo da proteggere le compagnie coinvolte dalle misure punitive decise da Washington. I dettagli dell’operazione non sono noti, visto che gli stessi paesi che l’hanno presentata sostengono che il funzionamento del meccanismo allo studio sarà sviluppato nel corso di altri vertici nel prossimo futuro.

 

Per alcuni commentatori una delle idee percorribile potrebbe essere quella del pagamento del petrolio e del gas iraniani non con denaro ma con merci, così da aggirare il sistema bancario. L’efficacia dell’eventuale provvedimento che potrebbe essere adottato sarà tutta da verificare. In molti continuano a essere scettici in questo senso, a cominciare da un certo numero di grandi compagnie che erano tornate a fare affari in Iran dopo l’accordo di Vienna ma che hanno deciso in questi mesi di rinunciare per non essere penalizzate dalle sanzioni americane.

 

Più che l’incisività dell’iniziativa dei firmatari del JCPOA, sembra essere per il momento l’aspetto simbolico quello più significativo. Soprattutto i paesi europei coinvolti e la stessa UE hanno cioè deciso, almeno come principio, di non assecondare gli alleati americani nella loro strategia iraniana, aggiungendo così un altro fronte all’escalation di tensioni transatlantiche registrate dall’inizio del mandato di Donald Trump.

 

Nonostante gli avvertimenti, il pericolo di un conflitto rovinoso e il deteriorarsi dei rapporti anche con partner e alleati, la Casa Bianca sembra essere intenzionata a proseguire sulla strada dello scontro con Teheran. Anzi, le provocazioni saranno a tutto campo e, oltre che sul fronte del nucleare, continueranno a consumarsi principalmente nel teatro di guerra siriano.

 

Infatti, sempre questa settimana il consigliere per la Sicurezza Nazionale, il falco “neo-con” John Bolton, ha assicurato che il contingente militare americano, stanziato illegalmente in Siria, non lascerà il paese in guerra nemmeno dopo la sconfitta definitiva dello Stato Islamico (ISIS), ma rimarrà fino a quando le truppe di Teheran, o le formazioni armate a esse affiliate, saranno impiegate al di fuori dei confini iraniani.

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