Direbbe Wittgenstein che il linguaggio è sempre il frutto di una determinata attività (di pensiero, ndr) e, dunque, se ne potrebbe dedurre che la responsabilità del progressivo imbarbarimento linguistico sia da ricercarsi nel sistema sociale. In quella recente tendenza, tutta italiana, alla semplificazione del pensiero, indi del lessico: poche espressioni, allusive o patetizzanti, possono controllare le emozioni, proprie e altrui, diventando più tranquillizzanti.

Tra gli ultimi irritanti giudizi sulle donne primeggia quello dell'eurodeputato polacco Janusz Korwin Mikke, il quale durante un dibattito in riunione plenaria al Parlamento europeo sul divario retributivo tra uomini e donne, aveva affermato che siccome "le donne sono più deboli, meno intelligenti, devono guadagnare meno". Sicuramente se l’avesse avuto di fronte, Aleksandra Kollontaj non gli avrebbe risparmiato una mazzata tra capo e collo, come usa dire.

BERLINO. A dieci anni dalla morte i tedeschi si chiedono ancora se Heinrich Graf von Einsiedel, pronipote del cancelliere Otto von Bismarck, debba essere considerato un traditore o un eroe. E’ un tormentone che in Germania si trascina da più di quarant’anni. Infatti risalgono al 1973, in piena guerra fredda e con il paese diviso in due parti, le sei pagine che il settimanale Die Zeit dedicò alla questione, la quale non si è ancora conclusa e ogni tanto riaffiora.

di Liliana Adamo

Come un sociopatico al cospetto d’atti violenti sia capace perfino a provare dei sentimenti, così Michael Slezak (columnist di The Guardian, fra più preparati e agguerriti sulle tematiche ambientali), è riuscito quanto basta ad avere reazioni emotive dinanzi al pericolo soverchiante dei cambiamenti climatici. Dopo cinque anni ad acquisire conoscenze scientifiche in base a un fenomeno complesso dagli esiti tuttora imprevedibili, il suo distacco professionale si è finalmente trasformato in panico.

C'è chi cerca un banco vicino alla finestra per guardare fuori e sognare di essere in un altro luogo; chi si mette in prima fila, rassegnato per il suo destino di 'primo banco' e chi, invece, ha lo spirito del buon samaritano e cerca sempre di sobbarcarsi tutti i problemi. Sono solo alcuni degli alunni tipo che il professor Ardeche (un bravo Fabrizio Bentivoglio) si trova di volta in volta di fronte.

Caratteristiche che può riscontrare ogni anni anche se i ragazzi cambiano. L'ora di ricevimento diretto da Michele Placido e andato in scena al teatro Secci di Terni, narra le gesta di un professore di lettere che insegna nell'esplosiva e multietnica banlieue di Les Izards, ai margini dell'area metropolitana di Tolosa. La scolaresca che gli è stata affidata quest'anno è ancora una volta un mix di culture che con non poca fatica l'insegnante dovrà far combaciare.

Ed è proprio durante l'ora di ricevimento con i genitori che verranno fuori tutte le difficoltà, le paure e i luoghi comuni che caratterizzano le varie culture e religioni, spinte forse un po' troppo all'eccesso. “Un incalzante mosaico di brevi colloqui con questa umanità assortita di madri e padri, che prende vita sulla scena l'intero anno scolastico della classe Sesta sezione C. Sullo sfondo, dietro una grande vetrata, un grande albero da frutto sembra assistere impassibile all'avvicendarsi dei personaggi, al dramma dell'esclusione sociale, ai piccoli incidenti scolastici di questi giovani apprendisti della vita”, afferma Stefano Massini, autore del testo.

Si ride ma allo stesso tempo si riflette, guardando scorrere sul palcoscenico i genitori dei diversi alunni, che non vengono mai mostrati, ma che sembra di conoscere e quasi di vedere nelle descrizioni fatte dall'insegnante. Un mondo quasi parallelo quello che si vive all'interno della scuola, ma che inevitabilmente influenzerà e sarà a suo volta influenzato dall'esterno, in un gioco di ruoli e di destini incrociati.



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