La nostra Costituzione compie 70 anni e abbiamo ritenuto di celebrarli riproducendo il discorso di Pietro Calamandrei agli studenti universitari di Milano nel 1955. Sono parole ancora attuali, pronunciate con la passione ed il rigore di cui avremmo bisogno. Vi auguriamo una buona lettura.

Il racconto del Moro di Venezia, di quell'Otello drammatico, accecato dalla gelosia e pronto ad uccidere la sua amata Desdemona e se stesso, cambia completamente il punto di vista dello spettatore con lo spettacolo portato in scena dalla brava Marina Massironi.

 

Attrice di teatro e cinema, doppiatrice e presentatrice, Massironi porta al Teatro Secci di Terni l'esilarante Ma che razza di Otello?, mettendo ironicamente in discussione uno dei classici del teatro internazionale.

 

Se a raccontarci l'Otello è Shakespeare ci troviamo di fronte a una tragedia. Se ce lo narra Verdi in musica, è un melodramma, dove la differenza non la fa il colore della pelle, ma solo la contrapposizione tutta musicale, tra baritoni e tenori.

 

Se invece a portarlo in scena è un’attrice comica come Marina Massironi, allora la tetra vicenda di Otello diventa una divertente storia fatta di passioni e intrighi del Cinquecento e dell'Ottocento, con inaspettate e pungenti irruzioni e allegri cortocircuiti con l’attualità. Dai riferimenti alla politica xenofoba di certi partiti, fino ai riferimenti a una generazione sempre più connessa ai social e ai cellulari e poco attenta, forse, a tutto il resto.

 

La riscrittura si avvale della narrazione per ripercorrere in modo ironico la storia dell’impresa verdiana, la musica dal vivo ripropone arie, recitativi e fantasie di temi per un trio di musicisti - pianoforte, clarinetto e violino - che evoca i colori dell’orchestra.

 

In questo modo si mixano registri differenti, che vanno dal recitato al suonato o cantato, con l'attrice che restituisce al pubblico il triangolo Otello-Iago-Desdemona attraverso un umorismo che spiazza e diverte lo spettatore, portando quasi in una dimensione altra.

 

Risate, musica, pensieri e parole si intrecciano e si confondono ed Otello si avvicina un po' di più all'attualità dei nostri giorni.

La foto vincitrice del primo premio per il National Geographic Traveler Contest nel 2015, è una riproduzione subacquea con cetacei e delfini scattata nelle acque profonde intorno a quattro isole vulcaniche che formano l'arcipelago Revillagigedo, in Messico: San Benedicto, Socorro, Roca Partida, Clarion.

 

A 240 miglia da Baja California, in pieno oceano Pacifico, il santuario marino quasi ignoto ai più e disabitato, cui è stato dato l’appellativo di “Galapagos del Nord America”, è luogo di straordinarie biodiversità, patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2016.

 

Complessivamente pari a 57.000 miglia quadrate di oceano (150.000 kmq), Revillagigedo era sede, fino a poche settimane fa, di una piccola riserva marina non in grado di preservare proporzionatamente la varietà di specie sulla traiettoria dei pescatori, lasciando squali, razze, balene, vittime di catture commerciali e bersaglio di pesca illegale.

 

Durante una spedizione d’accertamento condotta nella zona del Mar Pristine nel marzo 2016, Eric Sala, esploratore del National Geographic, afferma di non aver mai visto mante, testuggini, squali, cernie, tonni di tali dimensioni, forse i più imponenti del pianeta. “Da ciò che abbiamo visto e appurato è come se le Galapagos - le isole di Charles Darwin, regno indiscusso d’ecosistemi e specie diverse - avessero aperto una filiale in Messico. Questo è il sito più selvaggio dell’America Nord tropicale”.

 

Sulla terraferma, a ridosso delle quattro isole, nidificano uccelli marini e terrestri, trovano il loro habitat ideale rettili endemici e piante uniche al mondo. Ma non basta: a circa 300 piedi dalla superficie, grazie a un DeepSee e un Drop-cam remoto, il team scientifico di Pristine Seas ha potuto esaminare una “cresta” sui fondali e qui, giardini incantati ricoperti di coralli, gorgonie, spugne, granchi, una moltitudine di pesci. Nell'insieme, 400 specie diverse, scaturiscono e dipendono dai nutrienti estratti in un biosistema fra mare e terra.

 

C’è da dire che la convenzione delle Nazione Unite si pone l’obiettivo di tutelare il 10% degli oceani del mondo entro il 2020. Tuttavia, secondo biologi ed ecologi, la finalità più appropriata si aggirerebbe intorno al 30% contro lo sfruttamento intensivo e i danni, per una logica più accettabile. A oggi, il numero è notevolmente in ribasso: solo il 6% degli oceani è stato preservato in aree marine, o destinato a futura protezione.

 

E mentre Donald Trump, leader degli inquinatori globali, valuta allegramente un limite rilevante di tutela per i santuari nel Pacifico sotto giurisdizione americana - Rose Atoll, altre isole remote, insieme ai Canyon e alle catene montuose del Nordest o lungo la costa del New England - (fonte, Washington Post), il Messico si unisce a Cile, Nuova Zelanda e Tahiti e crea, viceversa, la più grande riserva oceanografica del Nord America tropicale.

 

Così, secondo il nuovo statuto emanato dal presidente Enrique Peña Nieto, l’arcipelago di Revillagigedo sarà soggetto a salvaguardia totale. Sulla terraferma, verranno precluse estrazioni di risorse naturali ed edificazioni d’infrastrutture alberghiere, anche se la Marina Messicana manterrà una sua presenza costante.

Ministero dell’Ambiente e Marina svolgeranno attività di controllo e sorveglianza in un’area molto vasta (come abbiamo detto, per 57.000 miglia quadrate d’oceano).

 

Le attività comprenderanno attrezzature, monitoraggio remoto in tempo reale, addestramento, educazione ambientale anche verso i pescatori. Per i trasgressori sono previste sanzioni severissime e dunque, in difesa dell’ambiente, arriva dal governo messicano “una mossa senza precedenti”, come afferma Maria Josè Villanueva, direttrice del WWF.

 

Ancora, Alejandro Del Mazo Maza, membro della Commissione nazionale messicana delle aree naturali protette, afferma che “per garantire massima protezione in questo sito del Patrimonio Mondiale, sarà applicata la categoria di conservazione più forte della nostra legislazione e categoricamente proibite tutte le forme di pesca…”.

 

Parole che non lasciano adito a dubbi; nondimeno le critiche non si sono fatte attendere: gli interessi in gioco sono tanti, quelli della pesca commerciale e flotta tonniera in primis, con l’espansione del sette per cento in meno nella gamma del Pacifico. Un ritorno economico si presume nella quantità di turismo subacqueo con le barche che partono dalla famosa Cabo San Lucas, relativamente vicina alle isole del Revillagigedo, un’attività che già fattura quindici milioni in dollari l’anno.

 

Quanto vale la vita di una manta gigante per l’economia messicana? Cinquantasette volte in più rispetto a una catturata tra le reti dei pescatori (di frodo) e rivenduta a pezzi sui famigerati mercati asiatici. Proteggere la fauna selvatica e acquatica non è solo un’urgenza etica e dovuta, ma economicamente sostenibile e produttivo. La riserva della biosfera dell’arcipelago Revillagigedo, sotto l’egida della Commissione Nazionale delle Aree Naturali e Protette è di fatto operativa e non un “parco su carta” come preme ribadire lo stesso ministro Del Mazo.

 

Fin da ora le prime organizzazioni private e agenzie governative di Stati Uniti e Messico, fra cui il Fish and Wildlife Service (statunitense), il Cornell Lab of Ornithology e l’Audubon Society, si stanno muovendo in uno sforzo comune per ripristinare l’habitat idoneo ad accogliere miriadi d’uccelli marini che troveranno casa nell’impervio paradiso del Pacifico senza temere caccia o inquinamento, lo stesso dicasi per quei cetacei nel blu profondo, straordinariamente immortalati in una foto da primo premio.

Sono ancora una volta gli ultimi, i più fragili ma, forse, quelli con una umanità più marcata, ad attrarre il racconto e la penna di Ascanio Celestini, che torna a teatro con Pueblo. Accompagnato dalle musiche originali composte da Gianluca Casadei, Celestini crea un nuovo ritratto dei margini della società e invita lo spettatore a identificarsi con i suoi protagonisti.

L’accordo per l’acquisizione del gruppo editoriale Time Inc., sottoscritto questa settimana negli Stati Uniti, da parte di un altro colosso dell’editoria, Meredith Corporation, ha confermato la costante tendenza alla concentrazione dell’industria dei media nelle mani di un numero sempre più ristretto di gruppi privati e grandi “investitori”.


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