di Giovanni Gnazzi

Nove e quindici di un mattino qualsiasi, in un autogrill vicino Arezzo, in una maledetta domenica. Si dice che fosse in corso una rissa tra ultras laziali e bianconeri. Non si sa, nulla è chiaro. Quello che invece è chiaro è che una pattuglia della polizia stradale, che si trova dal lato opposto della carreggiata, in un altro autogrill, a 70 metri di distanza, probabilmente richiamata dalla lite, decide d’intervenire. Lo fa nel modo peggiore. Dapprima correttamente, aziona le sirene, ma subito dopo uno degli agenti decide di esplodere dei colpi di pistola “in aria”, dicono, per “sedare la rissa”. I proiettili, come in numerosi altri casi, invece che andare in aria vanno nel corpo del malcapitato, Gabriele Sandri. Che si trova in un auto la quale, oltre ad essere ad un metro e ottanta o o poco più di altezza e non in aria, secondo le diverse e contrastanti versioni, è ferma o sta lasciando l’autogrill. Dunque: se la rissa è in corso fuori, non si capisce perché i colpi vengono esplosi contro una vettura parcheggiata. Ma quello che più sconcerta è la meccanica degli avvenimenti, cioè la dinamica dell’azione-reazione. Non siamo ancora sicuri che la rissa ci fosse stata (visto che nessuno dei frequentanti dell’autogrill se la ricorda) e, tanto meno, se al momento dell’intervento degli agenti fosse già terminata. Ma in corso o terminata, la domanda che dovrebbe porsi è la seguente: da quale manuale di pubblica sicurezza si evince che le risse si sedano sparando?

di Elena G. Polidori

E’ sconcertante, in queste ore, il silenzio che sta eludendo una riflessione collettiva ben più urgente delle svolte legalitarie e razziste conseguenti al brutale omicidio di Giovanna Reggiani. Mentre le ronde fasciste mettevano in atto la più squallida delle vendette nei quartieri periferici della Capitale, picchiando selvaggiamente quei “diversi da sé” che altra colpa non hanno se non quella di essere dei poveracci alla ricerca spasmodica di una vita migliore, altre due donne venivano selvaggiamente brutalizzate in due diverse regioni d’Italia senza che questi atti potessero in alcun modo essere ricondotti a questioni di stampo razziale. A Perugia, una giovanissima studentessa è stata uccisa nella sua stanza da letto, sgozzata probabilmente da qualcuno che lei conosceva bene e al quale, come di prammatica, ha aperto la porta della sua casa. Poche ore prima, a Cagliari, un’altra giovane ha chiesto un passaggio ad un uomo, forse anche quello un amico o forse un semplice conoscente, ed è finita in coma all’ospedale, pestata, violentata e poi gettata dall’auto. Tre donne, in poche ore, che vanno ad allungare il doloroso elenco della violenza sessuale che supera di gran lunga, nei numeri, quello dei morti sul lavoro. ma nessuna convocazione urgente del Consiglio dei Ministri é stata annunciata.

di Sara Nicoli

C’è voluta la brutale aggressione di una donna a Roma ad opera di un delinquente, forse la più crudele degli ultimi tempi, per far alzare al governo il piede dal freno e varare un decreto che rendesse immediatamente operative misure sul fronte della lotta alla criminalità. Che il Decreto sia utile e non risponda invece a pulsioni lo si verificherà. Diciamo subito che la legislazione d’emergenza, come tutte quelle normative che si varano sull’onda dell’emozione di un momento, non ci piacciono. Così come lascia non meno perplessi il grottesco tentativo dei Circoli delle Libertà, capitanati da Michela Vittoria Brambilla, di voler superare il decisionismo del governo, spinto da un sindaco di Roma sempre più premier e meno sindaco, e dichiarare di voler organizzare ronde di accoliti, muniti di torce, telefonini e chissà quant’altro, per “vigilare” su una Capitale che, da ventiquattrore a questa parte, sembra diventata la patria della malavita di stampo rumeno. Se non ci fosse stata l’aggressione di una comune e inerme cittadina ad opera di un rumeno, probabilmente questo decreto che dà ai prefetti la possibilità di espellere dal Paese anche cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza, sarebbe forse rimasto un disegno di legge destinato a non essere convertito per evidenti motivi di lontananza di vedute tra i diversi partiti della coalizione di maggioranza. Ora si può dire che la caccia all’immigrato, anche comunitario, è ufficialmente aperta. E in modo legale. Senza che il problema di fondo, quello della gestione dei flussi migratori sia quantomeno affrontato, per non dire quello dell’integrazione possibile.

di Sara Nicoli

Quella che è ormai una certezza per tutti, adesso ha avuto anche una certificazione dall’alto. A distanza di ventiquattr’ore, prima il governatore della Banca D’Italia, Mario Draghi, poi il presidente di Confindustria, Montezemolo, ci hanno raccontato, dall’alto dei loro scranni e dei loro stipendi, che se noi non riusciamo ad arrivare alla fine del mese la colpa non è solo nostra o dell’euro al quale non ci siamo ancora abituati. E’ che in Italia i salari sono troppo bassi rispetto agli altri paesi dell’Ue. E siccome non abbiamo soldi, non ne spendiamo neppure, così anche l’economia ristagna, i consumi languono e la produttività ne risente. Per non parlare, poi, del precariato giovanile che paga – parole di Draghi – tutto il prezzo della famigerata flessibilità del lavoro. Una situazione che, come si diceva, appare talmente chiara agli italiani medi da far risultare quasi offensivo che, dopo anni, due dei principali protagonisti dell’economia di questo Paese scoprano lo status quo e lo spaccino come un allarme sociale a cui il governo dovrebbe mettere mano immediatamente, ben sapendo che questo, ora come ora, non è possibile.

di Giovanna Pavani

Certe cose si devono vivere sulla propria pelle, altrimenti non le capisci. Puoi anche essere stato povero un tempo, ma poi gli agi della vita da ricco ti fanno dimenticare subito cosa vuol dire non avere nulla in cui sperare, non solo per te ma anche per i tuoi figli. Ci si adatta, per carità, ad avere il portafogli sempre vuoto e a considerare che si può fare a meno di tante cose, talvolta anche dell’essenziale, perché tanto non si ha scelta. Ma non è giusto. A meno che, un giorno, il tuo datore di lavoro, uno con tanta grana in tasca, che va in giro in Mercedes e che spende quello che tu guadagni in un mese solo per gli sfizi, non venga improvvisamente fulminato da un’idea destinata a cambiare la sua vita e anche la tua, che lavori per lui. Capita nelle favole, ma la realtà, talvolta, sorprende. E in positivo. E’ successo in un paesino vicino ad Ascoli Piceno, Campofilone, non meglio noto alle cronache se non per il fatto che lì c’è una fabbrichetta di pasta all’uovo, nulla di particolarmente grande: il fatturato non supera i due milioni di euro.


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