di Alessandro Iacuelli

"Si riconosce a tutti i lavoratori che svolgono lavoro notturno, anche chi fa 64 notti l'anno, il beneficio di una anticipazione del diritto al pensionamento". Chi ha un minimo di cultura ed esperienza sindacale sa che questa frase è stata attesa per anni, sa che tante sono state le battaglie, spesso perse, per avvicinarsi ad un piccolo grande traguardo. Questa frase è contenuta nel decreto legislativo che il Governo sta preparando per esercitare la delega sui lavori usuranti, delega che scade il 31 marzo. La legge 247 del 24 dicembre 2007, che ha recepito le norme attuative del protocollo sul welfare, prevede che il governo emani, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi per consentire il pensionamento anticipato ai lavoratori dipendenti che svolgono compiti particolarmente usuranti. Quindi, ancora pochi giorni di tempo. Pochi giorni per attuare qualcosa che va nella direzione del superamento di una storia infinita, proprio quella dei lavori usuranti, per tutelare chi fa lavori più faticosi o malsani rispetto alla generalità dei lavoratori.

di Alessandro Iacuelli


Ottocentonovantanove milioni di euro. Una cifra che l'intera famiglia di nessun lavoratore, dipendente o autonomo che sia, probabilmente guadagnerà in tutta la propria vita, pensione compresa. E' l'importo della pesante multa inflitta dalla Commissione Europea a Microsoft, il gigante mondiale dell'informatica. La supermulta europea è strettamente legata a quella precedente, inflitta al colosso di Redmond nel 2004, per un importo di 497 milioni di euro. Il motivo di quella multa fu l'abuso di posizione dominante, la prima volta che commissione UE inflisse una multa per mancato rispetto di una decisione antitrust. La nuova multa è motivata in modo molto secco da parte di Neelie Kroes, commissario UE alla concorrenza: "Microsoft ha continuato ad abusare della sua posizione dominante anche dopo la condanna della Commissione Ue nel marzo del 2004". Come se non ci fosse stata la precedente sanzione. Altrettanto secca la replica da Redmond: "Questa multa si riferisce quindi a una questione passata che è stata risolta", ma a Bruxelles non sono molto d'accordo.

di Francesco Peluso

In Italia e negli Stati Uniti entrano nel vivo le campagne elettorali nel segno del web 2.0. In questi ultimi mesi assistiamo ad un uso considerevole di YouTube, Blog e Network sociali da parte dei politici dei due Paesi. L’ingresso nell’era del web 2.0 -battezzata come una nuova visione di Internet - e la rivalutazione di concetti come “condivisione” e “partecipazione”, porta a dei radicali cambiamenti anche nei linguaggi e negli strumenti della comunicazione politica. Sembra lontano il ricordo della campagna elettorale del 2004 di Howard Dean. Probabilmente era convinto di parlare con il mondo intero attraverso il suo blog. La blogosfera lo adorava, si registrarono punte di 120 mila visitatori al giorno e il passaparola dei blogger gli procurò sia fondi per la campagna elettorale che una ottima copertura mediatica. In realtà si trattava semplicemente di poche persone realmente coinvolte e partecipi, quelle maggiormente interessate alla sua politica che, conversando in continuazione tra di loro, crearono un’illusoria amplificazione. Il risveglio fu brusco. John Kerry stava raccogliendo molti più fondi di Dean e gli elettori moderati di entrambi gli schieramenti si dimostrarono diffidenti e lontani da questo tipo di politica 2.0.

di Maura Cossutta

In pochissimi giorni sono già 40.000 le firme su una petizione di cui non è dato trovar traccia sui quotidiani né tanto meno sui media. L’ha promossa un gruppo di donne, da Margherita Hack a Cristina Comencini, da Lidia Ravera a Fiorella Mannoia, da Rossana Rossanda ad Adriana Cavarero. Con tante altre ancora. Si intitola “Liberadonna” e parla ovviamente dell’aborto, della legge 194, ma non solo. Si tratta infatti di una presa di posizione politica e che alla politica intende rivolgersi, proprio nel bel mezzo della campagna elettorale. E’ rivolta a Veltroni, a Bertinotti e a tutti i leaders di quello che ormai fu il centrosinistra. “Ora basta!” la petizione comincia proprio così, gridando quello che ognuno di noi avrebbe voluto gridare in queste settimane e che avrebbe soprattutto voluto sentire dalla voce autorevole di chi si candida al governo del paese, “nell’interesse del paese”. Una richiesta chiara di uno stop che sia definitivo, senza tentennamenti. Un punto e a capo, insomma. Archiviato, rimandato al mittente, irricevibile. “L’offensiva clericale contro le donne - continua la petizione - ha raggiunto livelli intollerabili e intollerabile è la mancanza di reazione della politica”. Per la prima volta nella storia della Repubblica l’attacco alla legge 194 è diventato obiettivo dichiarato e diviene persino l’esclusivo programma elettorale di un partito che non c’è.

di Maura Cossutta

Gli orrori che sono stati evocati sono infine comparsi, dentro un ospedale pubblico, in un reparto di maternità, a Napoli, nell’anno 2008 dopo Cristo. Tutto è partito da una denuncia anonima, che ha scomodato direttamente un magistrato, che a sua volta ha coinvolto le forze dell’ordine, per indagare su un “feticidio”. Così è stato detto, così è stato denunciato. Ed ecco quindi i poliziotti armati sulla “scena del crimine”, che in questo caso è la sala operatoria dove si effettuano le interruzioni volontarie di gravidanze, nel rispetto della legge 194. Soprattutto, nel rispetto (dovrebbe almeno importare a qualcuno) di quelle donne che decidono di abortire. Si trattava di un aborto tardivo, cosiddetto “terapeutico”, che avviene cioè dopo i 90 giorni, quando la salute psico-fisica di una donna è a rischio a seguito della diagnosi di malformazione grave al feto che porta in grembo. In questo caso, come in tutti i casi di aborti terapeutici, si trattava di una gravidanza desiderata, cioè di una donna che voleva quel figlio, che l’ha desiderato, amato, immaginato. Un aborto insomma che è ancora più drammatico, perché quella donna si sentiva già madre.


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