di Lidia Campagnano

E’ commovente il fatto che la manifestazione contro la violenza sessuata (la violenza del genere maschile contro le donne), prevista a Roma per sabato 24 novembre sia stata lanciata dalle giovani. A commuovere è il fatto che, in tempi di politica dal fiato corto e dai ritmi e dalle agende mutuate dal mercato, ci sia chi si propone una rivoluzione. Perché di questo si tratta. Stupri e botte, torture e morte inflitti da uomini a donne costellano la storia dell’umanità, certamente con pause e recrudescenze, speranze di progresso e arretramenti, ma mai avviandosi alla sparizione, quantomeno come proposito, speranza, programma. Perciò dire basta a questo, che costituisce uno stile nei rapporti tra i sessi, significa proporsi di rivoluzionare un orizzonte mai risanato. Le statistiche ci dicono che questa forma di violenza si affianca sul piano quantitativo alle morti sul lavoro e dunque, se le morti sul lavoro sono il marchio dello sfruttamento, le morti da violenza sessuata sono il marchio della convivenza mancata tra uomini e donne, il marchio di una barbarie radicale dalla quale l’umanità non si libera. Lo sguardo miope della politica vede solo le violenze di strada, le violenze nelle plaghe dell’emarginazione, e ne fa oggetto di provvedimenti relativi all’ordine pubblico. Uno sguardo fresco, acuto e rivoluzionario si accorge invece dell’immensità dell’iceberg sottostante, quello costituito da miliardi di vite private devastate dall’orrore. E prende coscienza di come la violenza degli uomini sulle donne, di fatto e perfino contro la volontà di certi uomini e contro i desideri di tante donne, costituisca una struttura portante della società e ne determini la corrente culturale dominante, segnando di sé, se non altro come un’allusione costante, anche le biografie più specchiate, anche i sacri testi di ogni cultura. E’ un veleno che scompagina l’intero orizzonte dei valori, è in grado di inquinare ogni aspirazione a un mondo migliore. E’ l’ombra che avvolge la virilità.

La pesantezza di questo tratto della storia umana deve diventare senso comune e come tale deve segnare di sé non qualche proposito di correzione ma un grande progetto di cambiamento, coinvolgente come una necessità e come un sogno di quelli che danno senso alla vita di ciascuno e di ciascuna: occorre pensare ancora e ancora un’altra relazione tra donne e uomini, un altro patto di civiltà. E un impegno esplicito e comunicabile per arrivarci. Come?

Sostenendo la ribellione delle donne con ogni mezzo, senza dubbio, perché la rassegnazione e l’umiliazione sono sempre in agguato. La società ha un debito con le vittime designate: offrire il proprio coraggio collettivo a sostegno del coraggio individuale, difficilissimo da coltivare nella solitudine e nella vergogna delle vite private. Ma anche seminando speranza. La speranza che le relazioni d’amore, d’amicizia, di collaborazione tra uomini e donne si realizzino, finalmente, come splendido impegno alla portata di tutti e tutte, come il terreno fertile della costruzione di sé come persone felici, generose, curiose dell’umanità dell’altra e dell’altro, il luogo della creatività sentimentale e perciò razionale.

Il luogo dove radica la politica come arte preziosa della convivenza umana nella sua radice primaria: la convivenza tra i sessi. L’esperienza della fine di quella paura ancestrale dove l’ordine patriarcale oppone un sesso all’altro come per una condanna biblica, una condanna che annulla il valore stesso della storia come ricerca di civiltà. Se è questo lo spessore della questione, che la questione venga affrontata dalle giovani è una promessa politica di altissima qualità e va accolta, protetta, fatta propria, ricambiata. Da parte di tutte. E, si spera, di tutti, un giorno non lontano.

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