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di Rosa Ana De Santis
L’appuntamento per la canonizzazione dei beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II è per il 27 aprile. Piazza San Pietro diventerà il set di un cinema: trentaquattro telecamere, nove satelliti, riprese in HD. Un santo a tempo di record, Wojtyla, morto nel 2005 e beatificato nel 2011. L’altro, morto nel 1963, è diventato beato soltanto nell’anno giubilare 2000, scontando, non si capisce bene il perché, più Purgatorio. L’evento sarà storicamente unico: 2 papi viventi per 2 papi santi, in una scenografia tecnologico-mediatica impressionante.
A Roma si attendono 5 milioni di pellegrini e l’evento è già tutto tranne che un appuntamento religioso. Media e albergatori saranno i protagonisti, la Giunta Marino in fibrillazione e la reazione di una città che sarà letteralmente assediata. A fare gli onori di casa sarà Papa Bergoglio, Pontefice in carica, e forse anche Ratzinger, Pontefice dimesso e in autoprigionia nel Vaticano, avrà un qualche ruolo “emerito”. Chissà.
Un marketing che fa tornare alla memoria la macchina che si mobilitò per il Giubileo del 2000 e che Giovanni Paolo II seppe condurre con la disinvoltura di chi durante tutto il proprio pontificato era riuscito a padroneggiare e a servirsi benissimo dei media e del loro potere di diffusione. Era stata questa la chiave del successo di Wojtyla nel mondo giovanile, basta pensare al fenomeno goliardico, a tratti stucchevole, dei “papa boys”.
La sua fama era stata possibile grazie ad un' attenzione spasmodica - per la prima volta nella storia della Chiesa - al linguaggio giovanile, cogliendo l'opportunità storica di porsi come leader, prima ancora che come papa, fornendo una risposta al bisogno di aggregazione di una generazione orfana di idee nuove, che pativa una crisi identitaria determinata dalla fine dell'ideologia del cambiamento.
Insieme alla propria azione temporale e politica contro il comunismo e l’URSS, l’icona di un uomo vecchio e malato sotto il peso della croce é stato il suo lascito simbolico, l'ultima grande mossa mediatica. Ma nessuna innovazione giunse da Woytila, uomo dell’establishment. Mai pontificato, infatti, fu più dogmatico e conservatore di quello polacco.
Dalla condanna della teologia della liberazione fino all’abbandono di uomini santi come Monsignor Romero, dal silenzio su traffico di armi e dittature sudamericane all’inasprimento di una certa morale dogmatica, Woytilaa scelse di puntare il dito contro le istanze della chiesa degli umili, imponendo un ulteriore giro di vite al conservatorismo su Chiesa e sacerdozio.Decisamente un papa diverso e per i suoi tempi di rottura, Giovanni XXIII, che riuscì a organizzare un Concilio Vaticano II a tempi di record e che non si fece scrupolo di rompere alcuni formalismi, di utilizzare un linguaggio emotivo e intimo verso la comunità dei fedeli, intercettando un bisogno di novità e un modo diverso di esser vicini ai fedeli.
Per i tempi, una straordinaria innovazione nella comunicazione che oltrepassava la comunità cattolica e arrivava anche ai non credenti, comunque ammirati da quel papa buono e dalla sua capacità di entrare in sintonia con le sofferenze di tutti. Un papa che apriva le braccia invece di puntare il dito.
C’è in questo, in papa Giovanni XXIII, un tratto di affinità con Papa Francesco: comprendere e accogliere tutti, rispettare il senso più profondo dell'esercizio pastorale originario, i sentimenti in luogo della solennità nel rispetto assoluto della lettera e dello spirito del Vangelo.
Queste le due Chiese che il 27 aprile si daranno appuntamento sotto la Cupola di San Pietro. Una è quella di Papa Wojtyla, vicina ai movimenti, alle lobby della religione, ad un potere molto temporale; l’altra è quella dell’Ospedale da campo, come l’ha definita Bergoglio all’inizio del suo Pontificato. Quella in cui c’è posto per una carezza del papa da portare ai bambini, come disse Papa Roncalli nel famoso “Discorso della luna”, l’11 ottobre del 1962.
Un dualismo che continua a tradire le contraddizioni di un‘istituzione troppo umana. Talmente umana da aver portato un papa tedesco a dimettersi come un capo di stato qualsiasi per drammi, omertà e abusi, storici e vicini, come quelli sui bambini: ombre e vittime non gradite nel grande reality show della Santità.
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di Tania Careddu
Sono ragazzi, in qualche caso bambini. Partono dai loro Paesi d’origine, Somalia, Gambia, Egitto, Siria, Eritrea, Senegal, Costa d’Avorio e Mali, che offrono condizioni di vita difficili, senza coinvolgere i propri famigliari. Soprattutto se la mamma è vedova o hanno dei fratelli più piccoli verso i quali nutrono la responsabilità di farsi carico del mantenimento. Oppure per il rischio di essere arruolati nell’esercito, circostanza piuttosto frequente in seguito a insuccessi scolastici. Viaggiano (anche per due anni) non accompagnati, senza adulti di riferimento, subendo spesso violenze e detenzione nei Paesi di transito.
Prima di raggiungere l’Europa (l’Italia), infatti, effettuano varie tappe in Africa, dove, ai confini dei vari Stati, militari in pianta stabile, qualche volta, sparano e uccidono. Pagano i trafficanti per superare i campi profughi adibiti alla loro accoglienza ma del tutto inospitali. Talvolta vengono ridotti in prigionia, subendo torture a suon di scariche elettriche.
Quando riescono a liberarsi, a fronte di un pagamento o lavorando in schiavitù e se hanno la fortuna di non essere detenuti dai trafficanti in luoghi isolati, stipati per mesi in quaranta in una singola stanza, intraprendono il viaggio in mare. Che costa dai tremila a più di quattromila dollari, dura dieci giorni, pochi viveri a disposizione, chiusi in una stiva senza sapere dove verranno portati.
Quando ( e se) arrivano all’agognata meta, i luoghi di accoglienza, principalmente in Sicilia, sono del tutto inadeguati e non possono sostenere la permanenza prolungata dei minori migranti. Mancano gli standard essenziali di accoglienza, soprattutto per il lungo periodo, a causa della carenza di servizi igienici e letti, e le misure minime di protezione dagli adulti. Sono vittime, anche, di gravi carenze a livello sanitario: tanti minori non sono stati visitati dai medici nonostante le condizioni di salute precarie.
Spesso, all’arrivo, non vengono nemmeno foto segnalati, anche perché alcuni si rendono irreperibili per la paura che le procedure di identificazione non vadano a buon fine, impedendo il proseguimento e l’attuazione del loro progetto migratorio che consiste nella ricerca di un futuro e di una identità in Nord Europa, dove, probabilmente, raggiungeranno alcuni famigliari.
Una difficoltà che l’operazione Mare Nostrum ha cercato di superare avviando sulle navi stesse le operazioni di identificazione e accertamento dell’età dei minori, che però rischia di non garantire pienamente la tutela dei loro diritti. Il trasferimento dei bambini non accompagnati nelle comunità per minori tende a essere lento per l’insufficienza di risorse economiche a disposizione delle comunità stesse, con il conseguente risultato che si allontanino prima del loro collocamento e prima della nomina di un tutore o senza l’ottenimento del permesso di soggiorno.“Siamo sconcertati di fronte a questa situazione”, commenta la direttrice Programmi Italia e Europa di Save the Children, l’associazione che ha redatto il dossier Minori migranti in arrivo via mare 2013, Raffaella Milano. Che continua: “Apprezziamo l’impegno dello Stato italiano nel cercare di evitare nuove tragedie in mare attraverso l’impiego delle navi della marina militare. Allo stesso tempo, non riteniamo accettabile che, dopo lo sbarco, sia solo l’Ufficio dei Servizi Sociali di Augusta a farsi carico della prima accoglienza dei minori arrivati da soli, in condizioni di particolare vulnerabilità, dovendo provvedere da solo a fornire beni e servizi primari e a occuparsi anche di reperire posti di accoglienza sul territorio nazionale. Il tutto in mancanza di risorse adeguate”.
Prosegue la direttrice Milano: Questo avviene perché oggi manca in Italia un sistema nazionale di accoglienza e protezione per i minori stranieri non accompagnati. E’ questo il punto principale della proposta di legge elaborata da Save the Children e deposta alla Camera il 4 ottobre scorso da parte di deputati esponenti di diversi partiti politici e il cui iter è iniziato il 23 dicembre con l’assegnazione alla Prima Commissione Affari Costituzionali. Riteniamo indispensabile che si giunga a una rapida approvazione della legge per superare, una volta per tutte, questa gestione emergenziale del tutto inadeguata rispetto a un flusso costante di arrivo di minori che, viaggiando senza adulti di riferimento, in mancanza di una rete di accoglienza e protezione, si trovano esposti a gravi rischi anche una volta giunti in Europa”. E sono tanti: novecentoottantotto, solo dal primo gennaio al 19 marzo 2014.
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di Maria Rosaria De Falco
Il 5 marzo, giunge notizia dell'ennesimo tentativo di suicidio: nel modenese, una 15enne ha tentato di suicidarsi sui binari. Grazie al lesto istinto del macchinista, il treno si ferma in tempo e la ragazza viene portata via dalla mano di un passante. Il motivo sarebbe quello dei brutti voti a scuola e, probabilmente, la delusione che è costretta a portare a casa.
Si sa che l'autolesionismo è il gesto più estremo che segue alla disperazione e alla depressione, ma i brutti voti a scuola non sembrano decisivi per indurre al suicidio. Che sia o no questo il caso, è opportuno riflettere sui dati forniti dall' ISTAT: negli ultimi dieci anni sono 10.000 i suicidi: 1000 l'anno. Altrettanti, sono quelli non riusciti.
Che vi sia l'assenza di un ambiente normativo e culturale che riconosca la responsabilità dei media, al fine di sostenere ogni singolo membro della società nella costruzione di un libero pensiero sulle condizioni reali dell'esistere, è un dato di fatto a cui ci si è inconsapevolmente rassegnati; tuttavia a partire dagli affermati e devianti reality, passando per i social network, c'è qualcosa che sfugge all'occhio scarsamente acuto dello spettatore.
Già nel 1968, il sociologo canadese McLuhan affermò il preoccupante meccanismo secondo il quale " il medium è il messaggio". I mass media, dunque, hanno il potere di modificare profondamente la percezione della realtà per la loro stessa natura comunicativa dapprima nel singolo individuo, poi nell'intera società creando immaginari collettivi. Con questo, McLuhan afferma anche che la più piccola unità modulare, se ripetuta in modo rumoroso e ridondante, finirà gradatamente per imporsi.
E' il caso dell'ultima moda facebook: "Nomination". Consiste nell'invitare amici e amici di amici - di cui neanche si conosce la faccia - a bere fino a schiantarsi a terra. E' uno dei modi per compensare i vari complessi sociologici dei ragazzi, fini all'accettazione sociale o al risultare "figo" alla ragazza che, su facebook, ti ha come amico ma non sa chi tu sia. Peccato che, nel 90% dei casi, questo istrionismo porti al coma etilico.
Si chiama sindrome di Werther, volgarmente chiamata "contagio per emulazione": una spirale distruttiva che parte (nel migliore dei casi) dalla disinformazione dei media che sembrano avere la forza catastrofica di provocare casi di emulazione con la spettacolarizzazione delle notizie, anzitutto se si tratta di suidici. Chissà che audience!
E' dall'inizio dell'attuale crisi economica che il fenomeno sta investendo l'intera geopolitica mondiale a causa del fatto che il suicidio viene presentato come una normale risposta alla crisi, e i suicidi quasi come degli eroi.
A partire dalle immagini mandate in onda durante i servizi sul fatto di cronaca, magari per l'edizione delle 20.00, quando i bambini sono tavola con le famiglie traboccanti di problemi finanziari o d'altro genere, ed ecco che hanno luogo innumerevoli episodi in cui fanciulli, nel tentativo di imitare i suicidi presentati come eroi, compiono azioni pericolose di cui c'è poco o niente di cui stupirsi.
Basta guardare per soli 10 minuti l'odierna televisione, per accorgersi che nel suo ventaglio di offerte d'intrattenimento e cronaca, offre uno spettacolo a dir poco deviante che, nel più favorevole dei casi, suggestiona gli spettatori senza che questi se ne rendano conto.Considerando motivo e periodo storico che danno il nome di "Sindrome di Werther" a questa, ci sarebbe da provare culturalmente disdegno e rabbia nel pensare quanto la televisione sia oggi uno strumento di manipolazione psicologica in tutte le sue forme e che, rendendoci automi, ha potere forgiante, cui permettiamo la sempre più crescente autorevolezza da indurre l'individuo a suicidarsi se è disperato, al femminicidio se è geloso.
E' noto che, nel 1774, J. W. Goethe pubblicò un romanzo dal titolo "I dolori del giovane Werther" in cui il protagonista della storia, Werther, non corrisposto nel suo fervore amoroso verso l’amata, sceglie il suicidio per porre fine alla propria sofferenza. A seguito di tale pubblicazione si verificò un ondata di suicidi emulativi in tutta Europa raggiungendo dimensioni tali da convincere i governi di alcuni paesi a proibire la diffusione del libro. Una reazione analoga la si osservò in Italia dopo la divulgazione, nel 1802, del romanzo di Ugo Foscolo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis". Sembra essere questo l'antenato nella moderna persuasione. Quella che viene oggi attuata con fini tutt'altro che culturali.
Sarebbe opportuna una revisione delle strutture comunicative a scopo informativo e non semplicemente spettacolare, astenendosi dal vendere le notizie come merce dissetante della brama di chiacchierare dei suicidi e della loro vita privata violata tanto spettacolarmente.
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di Rosa Ana De Santis
L’Osservatorio romano sulle migrazioni, del centro studi Idos con la collaborazione della Caritas di Roma, Roma capitale, provincia di Roma e regione Lazio, conta i numeri di una crisi che colpisce in modo anomalo la popolazione degli immigrati. Il focus del lavoro è sul Lazio e su Roma, un terreno ancora sotto scacco della crisi economica. Il numero degli immigrati occupati è rimasto molto alto: 175.757 a Roma e 244.867 in provincia e soprattutto, nel complesso, rimane più alto di quello degli italiani.
Parliamo quasi sempre di lavori poco qualificati e di rapporti precari: i famosi mestieri che a quanto pare gli italiani prima non hanno voluto fare più e poi non hanno potuto fare più per colpa di una “cattiva competizione” al ribasso della manodopera.
C’è anche una quota, decisamente più piccola, di imprenditoria in mano straniera che, a differenza di quella italiana, è cresciuta di circa il 12%. In testa il Bangladesh, seguito dalla Romania e in crescita la presenza di donne. Redattore Sociale, nel presentare questo studio, valorizza anche molto il ruolo delle associazioni di stranieri che prestano opera di sostegno e supporto informativo per le comunità di immigrati e quindi anche per le attività economiche intraprese con un ostacolo di burocrazia e procedure che diventa ancor più pesante, quando non incomprensibile, per i non italiani.
I numeri servono a restituirci diversi spunti di riflessione. Che l’immigrazione non è tutta fatta di persone che rimangono senza occupazione: persone marginalizzate e contigue alla criminalità, come la cronaca spesso tende a suggerire. Che gli stranieri hanno occupato quote di mercato occupazionale che erano state trascurate dagli italiani, eredi dell’opulenza e del benessere pre crisi. Ci dicono infine che la crisi economica, come ciclicamente avviene, genera un rinnovamento della società che va oltre il dato meramente finanziario e misurabile.L’Italia che si sveglierà da questi anni bui, sarà, inesorabilmente, un’Italia diversa. La fotografia di Roma e Lazio potrebbe non essere perfettamente calzante su altri territori nazionali, ma nel Nord, nelle fabbriche, l’impiego dei lavoratori stranieri, specialmente nell’edilizia, non è una novità. Cosi come nell’agricoltura e nelle raccolte stagionali al Sud, dove i lavoratori sono quasi tutti africani.
Esiste però un altro punto di vista dell’analisi che è fatto di abusi, violazione di diritti, rapporti a nero senza tutele e molto altro in cui malavita e italiani contrari agli immigrati ( solo nelle urne s’intende) si sono uniti in un’opera a tappeto di sfruttamento.
Da una parte quindi la crisi ha offerto braccia di lavoratori e opportunità di lavoro, dall’altra non è corrisposta una crescita adeguata di sensibilità culturale all’integrazione e quindi di diritto. Per questo si è temporeggiato indecentemente sul concetto di cittadinanza, non rendendosi conto che quella di sangue toglierebbe questo diritto a molti italiani che identità etnica - per fortuna - non ce l’hanno. Per questo si è optato per la criminalizzazione della clandestinità.
Perché in questo modo tenere i lavoratori stipati nei capannoni di una Rosarno d’Italia fosse ancor più semplice per la malavita. Perché la paura rendesse più facile la schiavitù. Come quella delle giovanissime lungo le strade. Perché gli italiani potessero prendersela con i gommoni per la loro povertà e non con le politiche rigoriste e le banche. Perché Facebook continuasse a ospitare i profili dei razzisti d’Italia senza che nessuno morisse di vergogna.
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di Tania Careddu
Industria farmaceutica italiana: leader in Europa, seconda solo alla Germania, è uno dei più potenti motori della nostra economia ed è tra i settori che, storicamente, ha attratto i più alti tassi di investimenti esteri. Di più: attualmente, negli ultimi sette anni, è anche il mercato di maggior interesse delle organizzazioni criminali. Con un guadagno pari a diciotto milioni e rotti di euro recuperati con il furto di farmaci dagli ospedali.
E’ quanto emerge da un’analisi, “The theft of medicines from Italian hospitals”, la più documentata a livello europeo, effettuata dal centro Transcrime di Università Cattolica di Milano – Università di Trento, che ha registrato il numero di furti di farmaci riportati dai media dal 2006 al 2013: sessantotto casi, cioè un ospedale su dieci è stato vittima di un furto, subendo una perdita media, per ogni furto, di circa trecentotrentamila euro.
Distribuiti su tutto il territorio nazionale ma soprattutto nelle regioni affacciate sull’Adriatico, i furti avvengono, in particolare, in Campania e in Puglia, seguite dal Molise, e al Centro-Nord, nel Lazio, in quota maggiore in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia. Sono più frequenti di notte, per la minore concentrazione di attività ospedaliere e per il ridotto numero di personale in sede, e nei mesi più freddi, fra ottobre e marzo, perché le condizioni climatiche sono più favorevoli per il trasporto, evitando i rischi di danni legati alle alte temperature. Gli ospedali più grandi, sopra gli ottocento posti letto e con un maggior numero di discipline (sopra le ventuno) sono quelli più colpiti: vedi il Federico II di Napoli e il Cardarelli di Campobasso.
I farmaci più appetibili sono quelli più costosi, tipo gli antitumorali, gli immunosoppressori, gli antireumatici e i biologici. Sarebbero i medicinali di Classe H, interamente rimborsati dallo Stato (italiano), che finiscono sul mercato illegale nazionale o, più facilmente, estero, in Paesi caratterizzati da un sistema sanitario più carente del nostro dove l’approvvigionamento interno dei medicinali non è sufficiente, come quello dell’Est Europa, o da difficoltà ad accedere ai canali legali, dove la crisi economica ha ridotto il budget di rimborso dei farmaci, come avviene in Grecia. Quindi, “ripuliti” tramite società schermo registrate all’estero, rientrano nel mercato legale parallelo per essere esportati in Paesi caratterizzati da più alti margini di profitto o venduti di nuovo a grossisti o broker farmaceutici italiani.Nonostante la tracciabilità dei farmaci italiani, soprattutto di quelli di Classe H che, dal 2010, sono più strettamente monitorabili grazie a un nuovo sistema di tracciabilità e nonostante si ammetta una frammentazione del settore del trasporto che lo rende certamente più vulnerabile, tutto fa pensare, però, che per effettuare così facilmente questo tipo di furti ci debba essere una efficiente organizzazione, una vasta conoscenza e avanzate competenze che non possono prescindere dalla collaborazione di “operatori” del settore, vedi grossisti, compagnie di trasporto, dottori, che possono, per esempio, fornire indicazioni precise sulla struttura ospedaliera o sugli orari.
Una complicità confermata anche dal fatto che le irruzioni avvengono o forzando le porte o, in un episodio su quattro, senza rompere niente.
Un fenomeno, questo dei furti di farmaci negli ospedali, ignorato e sottostimato ma in rapida espansione per diversi motivi: le medicine sono beni essenziali, non facilmente sostituibili e con un’ampia base di fruitori; la domanda, oltre a essere anelastica, è in continua crescita per l’aumento dell’età della popolazione, per gli stili di vita e per i redditi più elevati che permettono una maggiore possibilità di accedere ai medicinali; l’alto valore commerciale dei farmaci, specialmente di alcuni; la difficile reperibilità causata dalle caratteristiche del sistema sanitario di qualche Paese e dallo stretto controllo con cui sono prescritti dai medici; infine, per la loro specifica conformazione - piccoli e leggeri - possono essere facilmente nascosti e trasportati. Allora perché non abbandonare attività illecite più rischiose e ingombranti e dedicarsi a questo più agevole e lucroso mercato? Tutta salute…