di Maria Rosaria De Falco

Il 5 marzo, giunge notizia dell'ennesimo tentativo di suicidio: nel modenese, una 15enne ha tentato di suicidarsi sui binari. Grazie al lesto istinto del macchinista, il treno si ferma in tempo e la ragazza viene portata via dalla mano di un passante. Il motivo sarebbe quello dei brutti voti a scuola e, probabilmente, la delusione che è costretta a portare a casa.

Si sa che l'autolesionismo è il gesto più estremo che segue alla disperazione e alla depressione, ma i brutti voti a scuola non sembrano decisivi per indurre al suicidio. Che sia o no questo il caso, è opportuno riflettere sui dati forniti dall' ISTAT: negli ultimi dieci anni sono 10.000 i suicidi: 1000 l'anno. Altrettanti, sono quelli non riusciti.

Che vi sia l'assenza di un ambiente normativo e culturale che riconosca la responsabilità dei media, al fine di sostenere ogni singolo membro della società nella costruzione di un libero pensiero sulle condizioni reali dell'esistere, è un dato di fatto a cui ci si è inconsapevolmente rassegnati; tuttavia a partire dagli affermati e devianti reality, passando per i social network, c'è qualcosa che sfugge all'occhio scarsamente acuto dello spettatore.

Già nel 1968, il sociologo canadese McLuhan affermò il preoccupante meccanismo secondo il quale " il medium è il messaggio". I mass media, dunque, hanno il potere di modificare profondamente la percezione della realtà per la loro stessa natura comunicativa dapprima nel singolo individuo, poi nell'intera società creando immaginari collettivi. Con questo, McLuhan afferma anche che la più piccola unità modulare, se ripetuta in modo rumoroso e ridondante, finirà gradatamente per imporsi.

E' il caso dell'ultima moda facebook: "Nomination". Consiste nell'invitare amici e amici di amici - di cui neanche si conosce la faccia - a bere fino a schiantarsi a terra. E' uno dei modi per compensare i vari complessi sociologici dei ragazzi, fini all'accettazione sociale o al risultare "figo" alla ragazza che, su facebook, ti ha come amico ma non sa chi tu sia. Peccato che, nel 90% dei casi, questo istrionismo porti al coma etilico.

Si chiama sindrome di Werther, volgarmente chiamata "contagio per emulazione": una spirale distruttiva che parte (nel migliore dei casi) dalla disinformazione dei media che sembrano avere la forza catastrofica di provocare casi di emulazione con la spettacolarizzazione delle notizie, anzitutto se si tratta di suidici. Chissà che audience!

E' dall'inizio dell'attuale crisi economica che il fenomeno sta investendo l'intera geopolitica mondiale a causa del fatto che il suicidio viene presentato come una normale risposta alla crisi, e i suicidi quasi come degli eroi.
A partire dalle immagini mandate in onda durante i servizi sul fatto di cronaca, magari per l'edizione delle 20.00, quando i bambini sono tavola con le famiglie traboccanti di problemi finanziari o d'altro genere, ed ecco che hanno luogo innumerevoli episodi in cui fanciulli, nel tentativo di imitare i suicidi presentati come eroi, compiono azioni pericolose di cui c'è poco o niente di cui stupirsi.

Basta guardare per soli 10 minuti l'odierna televisione, per accorgersi che nel suo ventaglio di offerte d'intrattenimento e cronaca, offre uno spettacolo a dir poco deviante che, nel più favorevole dei casi, suggestiona gli spettatori senza che questi se ne rendano conto.

Considerando motivo e periodo storico che danno il nome di "Sindrome di Werther" a questa, ci sarebbe da provare culturalmente disdegno e rabbia nel pensare quanto la televisione sia oggi uno strumento di manipolazione psicologica in tutte le sue forme e che, rendendoci automi, ha potere forgiante, cui permettiamo la sempre più crescente autorevolezza da indurre l'individuo a suicidarsi se è disperato, al femminicidio se è geloso.

E' noto che, nel 1774, J. W. Goethe pubblicò un romanzo dal titolo "I dolori del giovane Werther" in cui il protagonista della storia, Werther, non corrisposto nel suo fervore amoroso verso l’amata, sceglie il suicidio per porre fine alla propria sofferenza. A seguito di tale pubblicazione si verificò un ondata di suicidi emulativi in tutta Europa raggiungendo dimensioni tali da convincere i governi di alcuni paesi a proibire la diffusione del libro. Una reazione analoga la si osservò in Italia dopo la divulgazione, nel 1802, del romanzo di Ugo Foscolo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis". Sembra essere questo l'antenato nella moderna persuasione. Quella che viene oggi attuata con fini tutt'altro che culturali.

Sarebbe opportuna una revisione delle strutture comunicative a scopo informativo e non semplicemente spettacolare, astenendosi dal vendere le notizie come merce dissetante della brama di chiacchierare dei suicidi e della loro vita privata violata tanto spettacolarmente.

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