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- Scritto da Carlo Musilli
Proprio mentre a Roma arriva l’estate, nella maggioranza cala il gelo più intenso. Ormai nessuno finge più di credere alla favola del governo di legislatura: la crisi c’è già, si tratta solo di capire quando scatterà ufficialmente. E, soprattutto, quale sarà la data delle elezioni anticipate.
Oggi il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, farà un discorso al Paese in cui probabilmente chiederà a Lega e Movimento 5 Stelle di mettere da parte i toni da campagna elettorale. Una tregua, insomma. Se non sarà ascoltato – com’è probabile – l’avvocato degli italiani tornerà a fare l’avvocato e basta.
In ogni caso, la decisione su quando richiamare il Paese alle urne dovrà passare per il Colle. La priorità di Sergio Mattarella è fare in modo che l’Italia abbia un governo capace di far approvare la legge di Bilancio entro il 31 dicembre. Gli obiettivi sono due: evitare l’esercizio provvisorio – che avrebbe conseguenze pesanti sui mercati – e disinnescare un ulteriore motivo di scontro con Bruxelles. “Soltanto la via della collaborazione e del dialogo permette di superare i contrasti e di promuovere il mutuo interesse nella comunità internazionale”, ha detto sabato il Presidente della Repubblica.
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- Scritto da Carlo Musilli
Se Matteo Salvini avesse potuto scrivere i risultati di suo pugno, probabilmente non avrebbe osato tanto. Alla fine, le elezioni europee sono andate come meglio non avrebbero potuto per la Lega, che raddoppia il risultato di un anno fa, passando dal 17 al 34%.
In modo speculare, il Movimento 5 Stelle dimezza la sua quota di consensi, scesi al 17% dal 33% delle politiche 2018. I grillini vengono così superati dal Pd, che recupera parte del terreno perduto arrivando a sfiorare il 23% (dal 18%).
Chiudono il quadro Fratelli d’Italia, sostanzialmente stabile al 6,5%, e Forza Italia, che si ferma all’8,8% (alle politiche era al 14), nettamente sotto quel 10% che veniva considerato il minimo vitale per non temere la dispersione del partito.
A questo punto, per il governo inizia una fase nuova, probabilmente terminale. I rapporti di forza fra Lega e M5S si sono letteralmente invertiti, consegnando lo scettro del potere nelle mani di Salvini. La maggioranza, già traballante, ne esce ancora più destabilizzata.
Ma, per il momento, il numero uno del Carroccio sceglie la strada della prudenza. “La lealtà della Lega al contratto e al governo non si discute”, dice lunedì nella conferenza stampa post-voto. Non è una questione di poltrone, ma di programmi. Vista la nuova geografia elettorale, Salvini pretende che i grillini si pieghino al suo volere su tre punti fondamentali: Tav, autonomie regionali e flat tax. Se il Movimento continuerà a ostacolare uno solo di questi provvedimenti, dovrà assumersi anche la responsabilità della crisi di governo.
Tutto questo Di Maio lo sa benissimo. Nel suo incontro con la stampa di lunedì il capo politico grillino dribbla la domanda sulla Torino-Lione (“se ne occupa il Presidente del Consiglio da più di un mese”), apre con cautela sulle autonomie (“si faranno, ma rispettando la coesione nazionale”) e abbraccia il progetto generico di “tagliare le tasse”, ben sapendo che la Flat tax non tornerà sul tavolo prima dell’autunno, quando ci sarà da scrivere la manovra 2020. Il ragionamento è semplice: superata l’estate il pericolo di elezioni anticipate calerebbe, perché la nuova legge di Bilancio decreterà quasi certamente un aumento dell’Iva (servirebbero 23 miliardi per scongiurarlo) e nessuno vuole presentarsi davanti agli elettori subito dopo aver causato una sciagura del genere.
C’è poi un altro dato che preoccupa Di Maio. Ai suoi, il leader grillino dice di fare attenzione alla somma dei voti di Lega e Fratelli d’Italia, perché se Salvini deciderà di rompere non sarà per tornare con Berlusconi. Su questo ha probabilmente ragione: da mesi il capo del Viminale dice di non voler tornare al vecchio centrodestra, convinto che riabbracciare l’ex Cavaliere significherebbe perdere almeno il 10% dei consensi di oggi.
Ecco perché, in fondo, anche per Salvini le elezioni politiche non sarebbero prive di rischi. I dati delle europee dimostrano che, insieme, Lega e FdI riuscirebbero a superare di un pelo il 40%, quota che garantisce la maggioranza assoluta in Parlamento. Se rimanessero sotto questa soglia, sarebbero costretti a tirare dentro anche Fratelli d’Italia, riattaccando la spina a un alleato scomodo e ormai scarico.
D’altra parte, Salvini deve fare i conti anche con l’insofferenza dei suoi ministri e di una larga fetta di elettorato, che vorrebbe tornare alle urne il prima possibile per colonizzare le Camere. E come insegna la parabola del Pd, passato dal 40% delle europee 2014 al 18% delle politiche 2018, aspettare troppo rischia di essere un errore. Fra un anno gli equilibri potrebbero essere diversi da quelli di oggi (riuscirà la Flat tax a compensare l’effetto Iva?) e non è detto che in futuro M5S e Pd non trovino il modo di collaborare per sopravvivere.
Insomma, malgrado il trionfo elettorale Salvini deve fare bene i suoi conti. E forse, in cuor suo, spera che i grillini si sbrighino a dargli un pretesto per far saltare il banco.
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- Scritto da Antonio Rei
Fra le tante abitudini sgradevoli di Matteo Salvini, ce n’è una più grottesca delle altre: quella di travestirsi. Intendiamoci, se lo facesse per sollazzo privato non ci sarebbe nulla di male. Il problema è che il ministro dell’Interno indossa divise che non gli competono per rastrellare consensi e cementare la sua immagine di uomo forte, garante dell’ordine. La mascherata più frequente è quella con la divisa della Polizia: e da mesi alcuni dei professionisti chiamati in causa se ne lamentano.
“Il ministro dell’Interno fa una cosa sbagliata – ha detto a TPI Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil - Si appropria del lavoro e dell’attività di poliziotti, magistrati, carabinieri. Come fossero opera del suo governo”. E come se i poliziotti fossero i suoi pretoriani, pronti a manganellare i dissidenti e a cancellare i murales sgraditi al capo.
Purtroppo questa posizione non è condivisa dal capo della Polizia, Franco Gabrielli, che anzi giustifica l’abitudine di Salvini: “Ne ho parlato spesso con il ministro – spiegava a febbraio il numero uno della Polizia – Lo fa come un gesto di attenzione, come un volersi sentire parte dell'istituzione che, fino a prova contraria, finché non sarà sfiduciato, rappresenta a tutti gli effetti”.
Alcuni hanno ipotizzato che, indossando le divise, Salvini violi l’articolo 498 del Codice penale, che disciplina “l’usurpazione di titoli o di onori” e prevede che “chiunque (…) abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (…) è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinquantaquattro euro a novecentoventinove euro”. Una volta era reato, ma dal 199 è stato depenalizzato ad illecito amministrativo.
In realtà, Salvini non è mai stato perseguito perché in punta di diritto non viola questa norma. La Cassazione ha spiegato che quell’articolo del Codice serve a punire chi trae in inganno “la pubblica fede”, cioè, in questo caso, chi si fa passare per Poliziotto senza esserlo. È chiaro che il leader della Lega non punta a presentarsi ufficialmente con una carica che non ricopre, anche perché in Italia lo conoscono tutti. “Come può un ministro dell'Interno ingenerare confusione rispetto al fatto che è il vertice delle forze di polizia?”, chiede bonariamente Gabrielli, a chiosa della sua apologia.
Il punto però è un altro. Con quella divisa addosso, Salvini non spaccia se stesso come agente di Polizia, ma usa l’operato di quel Corpo per proprio tornaconto. E qui nasce davvero un inganno per “la pubblica fede”, perché i cittadini meno avveduti saranno indotti a pensare che i successi della Polizia siano merito dell’attuale Esecutivo.
Esempio. In una recente intervista al Corriere della Sera, Salvini si è vantato delle ultime statistiche sulla sicurezza - elaborate dal suo stesso ministero - da cui emerge che nei primi mesi del 2019 i reati in Italia sono diminuiti. Una buona notizia, non c’è dubbio. Sennonché, il calo dei reati non è una novità: gli ultimi dati del Viminale sono in continuità con quelli degli anni scorsi, solo che allora - dall’opposizione - Salvini parlava di “situazione fuori controllo” e ignorava le statistiche ufficiali per costruire il clima di paura e rabbia su cui ha edificato il proprio successo. Ora che ha cambiato ruolo, guarda un po’, ha cambiato anche idea sull’affidabilità dei dati ministeriali. E non è un inganno alla “pubblica fede”?
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- Scritto da Carlo Musilli
Voleva essere l’atto fondativo di un’Internazionale sovranista, ma è stata la solita baracconata tragicomica. Fiacca, per di più. La manifestazione organizzata sabato dalla Lega a Milano, cui hanno partecipato anche i principali leader sovranisti europei, ha raccolto non più di 30-40mila persone. Una partecipazione assai inferiore alle aspettative - erano attesi in 100mila - e insufficiente anche a riempire Piazza Duomo. “Domani facciamo la storia”, aveva annunciato Matteo Salvini alla vigilia. Per fortuna la storia non lo ha ascoltato.
Stavolta il leader leghista non è risultato carismatico come al solito, ma sgonfio, affannato, lontano dal piglio volitivo con cui normalmente accumula spacconate e falsità pur di rastrellare fino all’ultimo voto. Tutta la vacuità della faccenda emerge dalla scaletta del comizio salviniano.
Curiosamente, il cuore della manifestazione organizzata per le elezioni europee non ha nulla a che vedere con l’Europa, ma ancora una volta con la promessa di tagliare le tasse in Italia. Quando Salvini rilancia la favola dell’Irpef al 15% per tutti, dietro di lui sul palco si alzano decine di cartelli blu con scritto in giallo 15%.
“Al referendum del 26 maggio non prendo 20 impegni - scandisce il numero uno del Carroccio - ne prendo uno: cambiare l’Europa da cima a fondo, ma se date alla Lega il primo posto in Italia e in Europa non mollerò finché ciascuno in Italia non pagherà il 15% di tasse”. Com’è ovvio, la questione non riguarda affatto le elezioni del 26 maggio: Salvini la usa a fini di propaganda interna, né più né meno di quanto fece Berlusconi nel 2006 con l’abolizione dell’Ici. L’obiettivo è ottenere un risultato sufficiente a far cadere il governo subito dopo le europee e tornare alle elezioni in autunno.
Dopo di che, il capo della Lega ripropone le solite parole d’ordine anti-migranti che tanto piacciono alla sua piazza. Stavolta però ci aggiunge anche un afflato misticheggiante che più contraddittorio di così non si potrebbe. Dopo aver polemizzato con la visione caritatevole di Papa Francesco - al cui nome la folla si produce in un’ondata di fischi - il vicepremier leghista ha la faccia di baciare un rosario, ringraziare i santi patroni d’Europa e affidarsi nientemeno che “al Cuore immacolato di Maria”. Viene da chiedersi di quale Maria parlasse, visto che, quando si tratta di mostrare un minimo d’umanità nei confronti di chi soffre, Salvini chiude le porte e incita all’odio. Insomma, non sembra esattamente illuminato dalla luce della carità.
La parte più surreale della giornata è stata però ancora un’altra. E cioè la sfilata di leader sovranisti europei intervenuti sul palco prima del segretario leghista. Da Marine Le Pen a Geert Wilders, tutti si sono sperticati in lodi e auguri a beneficio dell’alleato italiano, per poi sproloquiare come sempre di Islam assassino e invasioni africane.
Forse nemmeno loro si sono resi conto dell’assurdità di quel teatrino. La follia alla base di tutto è credere che possa esistere qualcosa di simile a un’Internazionale sovranista. L’espressione stessa è in realtà un ossimoro, perché il sovranismo è una espressione di nazionalismo, che per sua natura è estraneo a qualsiasi forma di cooperazione e solidarietà internazionale.
Al “Prima gli italiani!” di Salvini, Le Pen risponderà sempre “Prima i francesi!” e Wilders “Prima gli olandesi!”. Quando noi italiani chiederemo per l’ennesima volta la redistribuzione in Europa dei migranti che salviamo nel Mediterraneo, i sovranisti saranno i primi a urlarci in faccia il loro “No!”. E noi?
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- Scritto da Fabrizio Casari
Promette decreti che non sono nelle sue facoltà e che saranno rigettati dai giudici della Consulta, ammesso che Mattarella controfirmi atti incostituzionali e che violano i trattati internazionali ai quali l’Italia ha aderito, oltre che le leggi europee alle quali siamo sottoposti.
Ingaggia crociate e minaccia ritorsioni che servono solo a rassicurare i suoi elettori. Matteo Salvini sta perdendo la testa: la causa? Sondaggi impietosi. Nelle scorse settimane, infatti, il calo leghista ha superato i 6 punti percentuali rispetto a pochi mesi addietro e che allontanando il sogno del 30-35% che nutriva, rimandano alla fase onirica i sogni di duce 2. 0.
Il calo si deve sia alla crisi economica aggravata e alle mancate promesse, ma anche all’esondazione dell’odio, all’obbrobrio xenofobo, persino vigliaccamente espresso contro i bambini figli degli immigrati regolari ai quali gli assessori leghisti rifiutano la mensa scolastica. Poi la crociata contro i negozi che vendono cannabis priva di THC, dunque di sostanze psicotrope, quindi l’ossessione nei confronti di chi salva vite umane con il fastidioso dettaglio del colore della pelle. Sinistra, sindacati, ONG, organizzazioni sociali, donne libere, studenti, omosessuali e immigrati sono i suoi nemici.
Mentre tace sui 49 milioni rubati dal suo partito e dei quali dovrebbe essere considerato penalmente responsabile; ingaggia battaglia contro le droghe leggere ma abbraccia uno spacciatore condannato per traffico internazionale di cocaina; si dice fautore della legalità ma se la fa con squadristi fascisti dal passato e presente inquietante. Insomma, da leader politico è amico di alcuni di coloro che, da ministro dell’Interno, dovrebbe far arrestare.
Ma la polizia pare sia stata ormai distolta dal ruolo originario e rischia di trasformarsi in una sua milizia privata, con agenti che intervengono solerti a identificare e minacciare chiunque, pur senza porre a rischio l’incolumità di nessuno, si pronunci in dissenso con parole e atteggiamenti di questo ducetto della bassa.
Nel disperato tentativo di raccogliere intorno a sé l’ondata montante di una propaganda fascista permessa soprattutto dalle trasmissioni televisive condotte da giornalisti legati (mani e piedi) al PD, il capetto della Lega ha deciso di giocarsi il tutto per tutto sul voto europeo. Sa di avere la formidabile opportunità di raccogliere un livello alto di consensi, notevolmente favorito dal carattere proporzionale - dunque identitario - del voto per il rinnovo del Parlamento Europeo.
Dopo un anno di messaggi a reti unificate, di trasmissioni televisive e radiofoniche, di giornali e social media trasformati in amplificatori, Salvini spera che il raccolto sia tale da poter costituire il presupposto numerico per un prossimo governo guidato da lui con il resto della destra di complemento. Ed é probabile, del resto, che i 5 stelle paghino elettoralmente lo scellerato Di Maio, uomo al di sotto di ogni minima qualità, abbarbicato alla poltrona e privo di ogni trasparenza. Dunque le prospettive di dare seguito al governicchio attuale sono davvero limitate.
Da qui la necessità di provare a trovare una sua maggioranza, di destra e ultradestra, in grado di tenerlo a Palazzo Chigi. Ma l’accelerazione ideologica tardo-fascistoide che ha voluto imprimere ai suoi ripetuti e noiosi messaggi, esprime un parziale cambio di direzione rispetto alla sua identità originaria. L’antipolitica e il sovranismo hanno lasciato spazio a parole, atteggiamenti e prese di posizione che propongono una linea politica che occhieggia al fascismo del terzo millennio. Un cemento culturale che vorrebbe tenere insieme i fascio-evangelici di Verona con Casa Pound e Forza Nuova, il razzismo duro e puro senza più nemmeno la coperta corta dell’emergenza sbarchi.
La minaccia di stupro ai danni di una inquilina a Casalbruciato si sposa perfettamente con un decreto che commina multe a chi salva vite in mare: entrambe sono riconducibili al salvinismo emergente. Sono due pezzi dello stesso mosaico, che rappresenta il nuovo tessuto ideologico della Lega, che cessa di essere un partito in rappresentanza di interessi egoistici di una parte del paese e si candida a collettore del nuovo fascismo.
Però trasferire questa immondizia sul piano della proposta politica di governo è difficile. Attesa l’evidente difficoltà di costruire una alleanza di governo in assenza di un sodalizio politico, il leader leghista ha scelto di concentrare la propria iniziativa all’interno del campo della destra. Ma è proprio quel campo che si rivela ostico alla politica di annessione leghista. Fatica, ad esempio, a cannibalizzare il partito della Meloni e semmai, dal punto di vista ideologico, é Fratelli d’Italia che condiziona la Lega e non viceversa. A questo si aggiunga che le contraddizioni tra le diverse forze che compongono l’area del neofascismo non favoriscono il rassemblement sotto un unico duce.
Quanto a Forza Italia, la situazione è ancor più difficile. Salvini, com’è noto, aspetta con trepidazione la scomparsa fisica di Silvio Berlusconi per tentare di appropriarsi del suo elettorato. Ma l’ostilità di buona parte del personale politico del partito di Berlusconi non è un mistero. Inoltre, l’elettorato della destra liberale si compone di esponenti politici, forze economiche e rappresentanze sociali di tutto rispetto, che si trovano in estremo imbarazzo (quando non in aperta opposizione) a sposare tesi repubblichine e a riconoscere in un personaggio privo di credibilità e concretezza il loro leader.
Persino nel suo stesso partito ci sono diverse sofferenze interne, principalmente rappresentate dal suo gruppo dirigente più noto, che si riconosce nelle posizioni dei due governatori di Veneto e Lombardia, Zaia e Maroni. La stessa base sociale della Lega, sebbene possa identificarsi nelle volgarità sui gay, nell’odio verso le donne libere e nel rifiuto xenofobo, aveva aspettative ben diverse da un governo guidato da Salvini. Devolution, Flat tax e comunque riforma del fisco, abolizione della Legge Fornero, sostegno al modello di export del Nord, uscita dall’Europa, considerata un cappio per un’idea darwiniana di sviluppo socio-economico propria dei teorici della Padania: questo e non redditi di cittadinanza era ciò che il Nord leghista attendeva.
Invece Salvini ha prodotto solo una serie interminabile di felpe per ogni evento e di bocconi ad ogni tipo di cibo, non riuscendo a condurre in porto nessuna delle sue promesse economiche, altro che i barconi. Ma non si è trattato di un errore, dello scambio tra promesse e fatti; è proprio l’impossibilità evidente di governare con la semplificazione idiota e discriminatoria una società di massa ed una delle principali economie del mondo che rende Salvini un prodotto inutile per i suoi stessi amici. Non a caso ieri ha lanciato l’allarme ai suoi elettori, affermando che “il 26 maggio sarà un referendum su di noi”.
Al momento, più che coagulare l’intero fronte della destra, Salvini sembra propiziare le condizioni per una nuova saldatura dell’antifascismo, inteso come denominatore comune di civiltà. Persino in un campo ridotto male come quello dell’opposizione che, pur con tutte le sua peculiarità e anime ideologiche diverse, avverte però l’urgenza dell’uscire dal silenzio.