I dieci carabinieri di Piacenza sembrano usciti dalla stessa fogna di quelli della Uno bianca, degli assassini di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, dei macellai della Diaz di Genova, nonché di altri che nel corso di questi decenni hanno dato prova di quanto l'uniforme non rappresenti affatto una garanzia contro il peggio che un essere umano può esprimere. Il ritornello scontato è quello delle mele marce, ma in tutti i casi di crimini commessi da agenti delle forze dell’ordine, diversi altri militari hanno coperto le loro malefatte e dei loro superiori hanno deciso di voltare la testa altrove.

Nel complesso, il vertice europeo più lungo di sempre si chiude per l’Italia con una vittoria. Dopo un negoziato di quattro giorni e quattro notti, alle 5.30 di martedì mattina i capi di Stato e di governo dell’Unione hanno firmato l’accordo sul Recovery Fund, il nuovo bazooka finanziario pensato per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid-19.

I soldi sul tavolo rimangono quelli previsti dalla Commissione: 750 miliardi di euro. A cambiare è la composizione: per volere dei Frugali (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia), i finanziamenti a fondo perduto scendono da 500 a 390 miliardi di euro; allo stesso tempo, però, i prestiti aumentano da 250 a 360 miliardi.

Grazie alle modifiche dei criteri di ripartizione, l’Italia guadagna circa 36 miliardi: i soldi destinati al nostro Paese - di gran lunga il maggior beneficiario del Recovery Fund - salgono da 172,7 a 208,8 miliardi. L’incremento è interamente riconducibile ai prestiti, passati da 90,938 a 127,4 miliardi; i finanziamenti a fondo perduto, invece, rimangono sostanzialmente stabili (da 81,807 a 81,4 miliardi).

Proprio quando c’è bisogno del pragmatismo più esasperato, la politica italiana dibatte sull’apoteosi della fuffa. Sì, perché questo sono gli “Stati generali dell’economia” annunciati la settimana scorsa da Giuseppe Conte: una fiera nazionale dell’aria fritta. All’inizio il Presidente del Consiglio pensava di convocare nella romana Villa Pamphilj “i principali attori del sistema Italia: le parti sociali, le associazioni di categoria e singole menti brillanti”. Poi l’appuntamento si è spostato in videoconferenza, per evitare assembramenti.

La crisi accelera, ma l’Europa rallenta. Dopo settimane d’incertezza, Bruxelles ha annunciato che la proposta della Commissione europea sul nuovo Recovery Fund arriverà il 27 maggio, cioè in ritardo di 21 giorni rispetto a quanto assicurato dopo il Consiglio europeo del 23 aprile. Nato come compromesso dopo la bocciatura degli Eurobond, il Fondo per la Ripresa sarà agganciato al bilancio Ue 2021-2027 e finanziato con bond emessi dalla Commissione. Darà soldi agli Stati sotto forma di prestiti e di trasferimenti a fondo perduto, diventando così la quarta e più importante gamba di un pacchetto che già comprende il Mes (240 miliardi), i nuovi prestiti della Banca europea per gli investimenti alle imprese (200 miliardi) e il fondo “Sure” (100 miliardi), che darà vita a una sorta di cassa integrazione comunitaria.

Proprio quando servirebbe un minimo d’unità per salvare il Paese, la politica italiana si sfalda in un balletto scoordinato. Non esistono più nemmeno maggioranza e opposizione: ognuno pensa per sé, continuando a sbattere la testa sul suo spigolo preferito. E così, a pochi giorni dal Consiglio europeo più importante di sempre per l’Italia, i nostri partiti danno vita a una sorta di commedia nera. La settimana scorsa, al Parlamento europeo, Pd e M5S (al governo insieme) si sono spaccati sul Mes, mentre Lega e Forza Italia hanno votato contro i Coronabond e il loro voto è risultato decisivo per bocciare la mozione. A conclusione del capolavoro, i cinquestelle hanno detto no anche al paragrafo sull’istituzione del Recovery Fund, l’organismo proposto dalla Francia per emettere obbligazioni garantite dall’Ue.

È ovvio che questa pantomima indebolisce la posizione di Giuseppe Conte al vertice del 23 aprile con i capi di Stato e di governo. E davvero non ce n’era bisogno, visto che le quotazioni del Premier italiano non sono mai state alte. Per quanto assurdo possa sembrare, al momento il miglior alleato di Conte è Emmanuel Macron: «Non c’è altra scelta – ha detto il Presidente francese in un’intervista al Financial Times – se non creare un fondo che possa emettere debito comune con garanzie comuni» per finanziare la ripresa. Una posizione chiara, netta, che il nostro Paese appoggia e ostacola a giorni alterni.

Tutto questo per cosa? Sul Mes, il governo ancora non ha una linea e la maggioranza continua a litigare. Come sempre non sulla sostanza, ma sulle bandierine e su questioni di principio. La sostanza dice che, in base all’accordo raggiunto all’ultima riunione dell’Eurogruppo, l’Italia potrebbe ricevere dal fondo salva-Stati 36 miliardi da investire in sanità (ma non solo, visto che nel documento si parla, con formula volutamente ambigua, di “spese sanitarie indirette”). I soldi arriverebbero senza alcuna condizionalità: tradotto, significa che per ricevere il prestito non saremmo costretti a impegnarci su future manovre di austerità.

I cinquestelle però non si fidano di questa rassicurazione. Alcuni sostengono che le condizioni potrebbero essere introdotte ex post, altri invece ritengono che già così la trappola sia pronta, perché nel documento dell’Eurogruppo si legge che – a pandemia esaurita – i Paesi dovranno “rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità”. Sennonché, in futuro questo scenario si realizzerà comunque: il Patto di Stabilità non è stato cancellato, ma solo sospeso, e quando si riattiverà imporrà un piano di rientro al nostro Paese, che nel frattempo avrà fatto lievitare il debito ben oltre il 150% del Pil. I 36 miliardi del Mes non spostano molto da questa prospettiva (anche perché sarebbero un prestito a lunga scadenza), mentre per il Sistema Sanitario Nazionale sarebbero vitali.

Sul Recovery Fund, invece, la situazione è meno fosca. “Abbiamo votato contro perché il paragrafo si prestava a cattive interpretazioni – spiega l’europarlamentare pentastellato Ignazio Corrao – Prevedeva un aumento dei contributi nazionali dei Paesi membri attraverso il bilancio europeo e un pacchetto di misure per la ricostruzione basato sul Mes, che noi non condividiamo. Inoltre, lì si parla di recovery bond solo attraverso una garanzia del bilancio Ue, ma senza alcuna mutualizzazione del debito, che noi invece auspichiamo come dimostrato dal voto a favore all'emendamento presentato dai Verdi”, cioè quello bruciato da Lega e FI.

Il problema è che l’Italia non è nelle condizioni di imporsi e dovrà quindi accettare un compromesso. Ad oggi, la prospettiva più verosimile è che Conte uscirà dalla riunione del Consiglio europeo del 23 aprile non con gli eurobond classici (garantiti dai singoli Stati), ma proprio con i recovery bond (garantiti dal bilancio europeo), l’unica soluzione su cui un cedimento del Nord sembra possibile. Basterà come moneta di scambio per far accettare il Mes ai cinquestelle? Forse no, ma alla fine – per ottenere il via libera al fondo per la ripresa – dovranno essere approvate anche le modifiche al salva-Stati.

Non la pensano così i 101 economisti – tra cui Fitoussi e Galbraith – che proprio in vista del vertice di giovedì hanno inviato un appello al governo italiano. “La sola opzione – si legge nel testo – è il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea. Si tratta di un’opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei, ma anche i trattati, in caso di necessità, possono essere sospesi nel rispetto del diritto internazionale e questo è oltretutto già avvenuto”.

Per questo, secondo gli accademici, al Consiglio europeo l’Italia dovrebbe rigettare l’accordo dell’Eurogruppo “e proporre che la parte più importante degli interventi anticrisi, il cui volume dovrebbe raddoppiare per estendersi almeno al prossimo anno, sia attuata dalla Bce”. In caso di rifiuto da parte degli altri Paesi (più che un’ipotesi, una certezza), gli economisti consigliano al governo di “di dare seguito a ciò che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto di recente: per questa emergenza faremo da soli”.


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