Le prime incursioni delle forze armate della Turchia contro le postazioni curde nel nord-est della Siria sono arrivate nella serata di lunedì dopo il sostanziale via libera americano a un’operazione militare chiesta da tempo dal presidente Erdogan. La decisione di Trump, comunicata come al solito via Twitter, di non ostacolare le manovre di Ankara e di ritirare il piccolo contingente USA al confine tra Turchia e Siria, avrà gravi implicazioni sia sul fronte domestico sia su quello strategico regionale, complicando con ogni probabilità gli equilibri venutisi a creare negli ultimi anni attorno alla crisi siriana.

Le elezioni del fine settimana in Portogallo hanno come previsto rafforzato la posizione del Partito Socialista (PS) portoghese del primo ministro António Costa. La maggioranza che lo sostiene, e che potrebbe essere replicata per i prossimi quattro anni, è stata quasi universalmente definita come un esempio del successo di una coalizione progressista in grado di promettere e implementare politiche anti-austerity. La realtà appare tuttavia più sfumata e tra le righe dei risultati di domenica non è difficile intravedere le contraddizioni nell’operato dell’esecutivo di centro-sinistra e il rapido emergere anche in Portogallo di tensioni sociali tutt’altro che trascurabili.

Il fragilissimo equilibrio politico e settario dell’Iraq è messo a dura prova in questi giorni dall’improvvisa esplosione di manifestazioni di protesta anti-governative che hanno già fatto registrare un numero imprecisato di vittime. Le dimostrazioni, animate soprattutto da giovani iracheni che chiedono un rimedio alla povertà diffusa e all’assenza di prospettive per il futuro, appaiono in larga misura spontanee e sono iniziate martedì a Baghdad e in altre città a maggioranza sciita per poi diffondersi rapidamente e incontrare la reazione spesso molto dura delle forze di sicurezza.

Proteste di piazza sono state in realtà tutt’altro che infrequenti negli ultimi anni in Iraq, ma quella in corso sembra avere raggiunto rapidamente un livello di mobilitazione significativo, così come già importante risulta il bilancio di morti e feriti. Martedì erano state almeno due le vittime, una a Baghdad e l’altra a Nassiriya, mentre il giorno successivo sempre in quest’ultima località sono morte negli scontri altre tre persone, assieme a un agente di polizia.

Dopo l’avvio formale delle procedure di impeachment contro il presidente americano Trump da parte dei leader del Partito Democratico, le due parti stanno affilando i coltelli in vista di uno scontro politico che si annuncia durissimo e potenzialmente in grado di destabilizzare il sistema “democratico” degli Stati Uniti. La Casa Bianca sta opponendo una certa resistenza alle richieste iniziali dei democratici al Congresso, mentre lo stesso presidente continua a contrattaccare con toni durissimi, agitando nemmeno troppo velatamente lo spettro della guerra civile.

Il processo in fase di apertura nei confronti di Trump ha coinvolto a inizio settimana anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, non appena si è diffusa la notizia che quest’ultimo era uno dei presenti alla telefonata del 25 luglio scorso tra il presidente USA e quello ucraino, Volodymyr Zelensky, da cui ha preso le mosse l’impeachment. Una delle commissioni della Camera dei Rappresentanti incaricate dell’indagine sul presidente ha richiesto la testimonianza di cinque funzionari ed ex funzionari del dipartimento di Stato interessati dai fatti.

L’opposizione ai suoi ordini non cresce nei consensi e mette in scena spettacoli penosi, i suoi leader si rendono patetici e i piani di destabilizzazione si rivelano fallimentari, ma l’ostilità degli Stati Uniti verso il Nicaragua non finisce. Non ha l’impeto comunicativo e operativo che viene messo in campo contro il Venezuela e non si mostra con l’odio ideologico ed anacronistico che dedica a Cuba, ma apertamente e sotto traccia l’attività di destabilizzazione contro il Nicaragua non cessa. L’uscita di scena di John Bolton è stato certamente un segnale positivo per tutto il pianeta e, dunque, anche per il Nicaragua; ma la movimentazione di personale (che ha origini e destini diversi da caso a caso) non deve essere interpretata come un cambio nella linea politica dell’impero in decadenza.


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