La gestione della politica estera americana dell’amministrazione Trump con metodi personalistici e marcatamente autoritari sta provocando sempre più un’erosione degli equilibri democratici sul fronte domestico. Questa realtà è emersa ancora una volta in tutta la sua evidenza in seguito all’esplosione dell’ultimo caso politico a Washington che vede al centro della polemica il segretario di Stato, Mike Pompeo, per una vendita di armi all’Arabia Saudita dai contorni legali estremamente incerti.

La vicenda si intreccia con un altro abuso di potere della Casa Bianca e del capo della diplomazia USA, cioè il licenziamento, ugualmente di dubbia legittimità, del cosiddetto “ispettore generale” del dipartimento di Stato, ovvero della figura prevista dalla legislazione americana per vigilare sulla correttezza delle azioni degli esponenti del governo federale.

Venerdì scorso, il presidente Trump aveva notificato al Congresso la sollevazione dall’incarico di “inspector general” per il dipartimento di Stato di Steve Linick. Trump aveva spiegato che la decisione era stata presa su richiesta dello stesso Pompeo, il quale a sua volta aveva fatto riferimento a motivazioni molto generiche per spiegare il provvedimento. Per l’ex direttore della CIA, Linick avrebbe messo a repentaglio con il suo comportamento la “missione” del dipartimento di Stato.

I media americani avevano subito spiegato che il provvedimento era una probabile ritorsione contro l’ispettore, impegnato da qualche tempo in un’indagine interna per frode e spreco di denaro pubblico nei confronti di Pompeo. Il segretario di Stato è accusato di avere utilizzato in varie occasioni il personale del dipartimento di Stato per sbrigare faccende personali che nulla avevano a che fare col suo incarico. Inoltre, Pompeo si sarebbe recato più volte nel suo stato di origine, il Kansas, a spese del governo per ragioni riconducibili ai suoi possibili progetti di candidatura per un seggio al Senato. La moglie del segretario di Stato, infine, avrebbe partecipato a viaggi ufficiali all’estero senza averne diritto.

La nomina e il licenziamento degli “ispettori generali”, operanti in tutti i dipartimenti del governo USA, rientrano nelle facoltà del presidente, sia pure passando attraverso una comunicazione ufficiale al Congresso con 30 giorni di anticipo. Una misura come quella predisposta contro Linick è tuttavia illegale se costituisce un tentativo di nascondere un abuso o una qualsiasi attività criminale.

La situazione per Trump e Pompeo si è aggravata questa settimana quando un deputato del Partito Democratico ha rivelato come l’ispettore Linick fosse impegnato nelle fasi finali di un’altra indagine sul segretario di Stato, in questo caso per avere autorizzato illegalmente una fornitura di armi da oltre otto miliardi di dollari all’Arabia Saudita nel maggio dello scorso anno.

In quell’occasione, Pompeo aveva dichiarato una “emergenza nazionale” appositamente per sbloccare una vendita di armi che era stata sospesa dal Congresso. La ragione della presunta emergenza era il comportamento minaccioso dell’Iran, che richiedeva appunto un intervento degli Stati Uniti in difesa dell’alleato saudita e, in misura minore, degli Emirati Arabi. Oltre a essere di per sé assurda, la motivazione era in qualche modo anche autoincriminante, visto che includeva un trasferimento di armi dagli Emirati alla Giordania, ovvero un paese nemmeno lontanamente esposto a una sia pure teorica minaccia iraniana.

Membri del Congresso di entrambi gli schieramenti hanno chiesto spiegazioni alla Casa Bianca circa il licenziamento dell’ispettore del dipartimento di Stato. Un’indagine ufficiale sull’accaduto potrebbe essere avviata a breve. Intanto, la controversia ha assunto come al solito contorni surreali. Trump ha dichiarato in pratica di non avere la minima idea della ragione del licenziamento di Linick e che la decisione è stata presa su semplice richiesta di Pompeo.

Quest’ultimo, invece, ha sostenuto di non essere nemmeno a conoscenza dell’indagine in corso all’interno del dipartimento di Stato sulla vendita di armi ai sauditi. Linick aveva però notificato ufficialmente da tempo a svariati funzionari di vertice del dipartimento l’esistenza dell’indagine, invitandoli alla collaborazione. La richiesta a Linick di indagare sui fatti era giunta inoltre dal presidente della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti, il democratico Eliot Engel, e appare perciò improbabile che il segretario di Stato fosse all’oscuro di una questione discussa a così alto livello.

Lo stop momentaneo al trasferimento di armi all’Arabia Saudita era stato deciso dal Congresso fondamentalmente per preservare la finzione dell’esistenza, tra la classe politica americana, di un qualche scrupolo per i diritti umani. Nel concreto, la sospensione era seguita alla “scoperta” dell’utilizzo da parte saudita di bombe americane che avevano causato numerosi massacri di civili in Yemen. A influire sulla misura presa dal Congresso era stato anche il clima internazionale creatosi dopo il brutale assassinio nel consolato saudita di Istanbul del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi, ordinato ai massimi vertici del regno wahhabita.

La presa di posizione del Congresso aveva messo in imbarazzo la Casa Bianca, da dove la strettissima partnership con Riyadh era subito finita in cima alla lista delle priorità di politica estera. Trump e Pompeo erano inoltre pressati dai vertici del colosso delle armi Raytheon, impegnato in una frenetica attività di lobby per ottenere la cancellazione del bando alla vendita dei propri prodotti nel Golfo Persico.

Che l’emergenza iraniana fosse poi una scusa ridicola è confermato anche dal fatto che Pompeo e l’allora numero uno del Pentagono, Patrick Shanahan, non ne avevano nemmeno parlato nel corso di un’audizione a porte chiuse con alcuni membri del Congresso proprio sull’argomento Repubblica Islamica avvenuta solo tre giorni prima dell’annuncio del segretario di Stato.

In definitiva, l’amministrazione Trump ha proclamato un’emergenza totalmente inventata per autorizzare una vendita illegale di armi a un regime criminale e, una volta scoperta, ha liquidato illegittimamente il funzionario governativo che stava indagando sulla vicenda. La ritorsione contro Steve Linick non è peraltro un caso isolato, visto che il presidente americano ha licenziato sommariamente un totale di quattro “ispettori generali” a lui sgraditi soltanto nelle ultime sei settimane.

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