di redazione

I tre punti sono arrivati, ma quanta fatica. L'Italia comincia bene il torneo di qualificazione ai mondiali di Russia 2018, battendo 3-1 in trasferta la modesta squadra di Israele. Lo fa con una prova più di carattere che di gioco, resistendo per 35 minuti in inferiorità numerica.

I nostri avversari iniziano la partita con velocità  e convinzione, ma con altrettanto disordine. Gli azzurri non hanno difficoltà a contenere l'esuberanza degli israeliani, che in difesa non dimostrano molta organizzazione. Dopo un quarto d'ora, infatti, Pellè si ritrova smarcato nell'area piccola, liberissimo d'insaccare con il più semplice dei tocchi un cross basso di Antonelli. L'esterno del Milan è uno dei più positivi della prima frazione, insieme al compagno di club Bonaventura, con cui forma un’inedita quanto dinamica catena di sinistra.

Non a caso, l'azione che porta al raddoppio azzurro nasce proprio da un'iniziativa di Bonaventura, che con un doppio passo salta il diretto avversario e viene atterrato sulla linea dell'area di rigore. L'arbitro fischia e Candreva trasforma in scioltezza dal dischetto, spiazzando il portiere.

La partita sembra finita, ma non è così. A rimettere in gara Israele ci pensa Chiellini, che, dopo il doppio svarione in amichevole contro la Francia, conferma di attraversare un periodo di scarsa concentrazione. Dopo aver rimediato un'ammonizione inutile, il centrale della Juve sbaglia un controllo in fase di disimpegno  e innesca l'attacco avversario. Il pallone finisce sui piedi di Ben Haim, che s'inventa un pallonetto chirurgico dal vertice dell'area. Probabilmente lo racconterà ai nipotini: non è cosa da tutti i giorni battere Buffon (piazzato male) con un colpo del genere.

Prima dell'intervallo Candreva deposita un cioccolatino sulla testa di Pellè, che gira il pallone a botta sicura, ma il portiere israeliano fa una gran parata e devia in calcio d'angolo.

A inizio ripresa gli azzurri hanno un'altra occasione con un inserimento centrale di Eder, ma il pallonetto al volo del centravanti interista esce di poco. Purtroppo, al 54esimo Chiellini corona la sua prestazione da incubo rimediando una seconda ammonizione, inutile come la prima, per una trattenuta ingenua a centrocampo. Rimaniamo in 10. Ventura corre ai ripari inserendo Ogbonna al posto di Bonaventura, ma nel caldo di Haifa l'inferiorità numerica si fa sentire.

A mezz'ora dalla fine inizia un vero e proprio assedio israeliano alla porta di Buffon. Per ridare smalto alla manovra il ct azzurro mette in campo Florenzi per Candreva e Immobile per Eder. L'Italia però si schiaccia indietro, non riesce a ripartire in velocità e quando allontana il pallone lo fa con lanci lunghi su cui i padroni di casa arrivano sempre per primi.

In questa fase è prezioso il lavoro di Verratti, che non era in condizione di giocare tutta la partita (era prevista la staffetta con Montolivo), ma nell'emergenza si sacrifica in un gran lavoro d'interdizione più che di regia.

Poi, all'83esimo, un lampo. Buffon rinvia, Pellè prolunga di testa, Immobile tira una spallata al suo marcatore e scarica in rete un destro di pura rabbia. Quattro minuti dopo lo stesso attaccante ex pupillo di Ventura ai tempi del Torino ha sul sinistro la palla per chiudere la partita, ma solo davanti al portiere spreca l'occasione tirando a lato. Di lì alla fine, però, non succede più nulla.

Insomma, un esordio positivo. Vale la pena di sottolineare la spregiudicatezza di Ventura, che malgrado l’inferiorità numerica non rinuncia mai alle due punte. Fosse andata male, naturalmente, sarebbe stato subissato di critiche per questa scelta. Per fortuna è andata bene, ma fra un mese avremo bisogno di un gioco molto più brillante. Davanti a noi ci sarà la Spagna, che ieri ha disintegrato 8-0 il Liechtenstein.

di redazione

Inizia male l’era Ventura sulla panchina dell’Italia. Il 3-1 subito in casa per mano della Francia lascia pensare che il carattere impresso da Conte agli azzurri sia già un ricordo e sporca la storia della nazionale al San Nicola di Bari (fin qui, 9 vittorie e un pareggio), città che in passato aveva fatto la fortuna dell’attuale ct.

La partita è caratterizzata da due anomalie. Primo, a prodursi con costanza nella nobile arte del catenaccio-e-contropiede sono i francesi, non gli 11 di Ventura, che pure è un maestro di questo schema elementare (non a caso il momentaneo pareggio di Pellè arriva grazie a una ripartenza sulla fascia di Eder).

Secondo, gli errori più gravi degli italiani arrivano nell’unico reparto che eravamo abituati a considerare solido: la difesa. Tutti i gol dei nostri avversari sono figli di svarioni della nostra retroguardia: sull’1-0 di Matial, Chiellini buca la chiusura e Barzagli sbaglia il fuorigioco; il 2-1 di Giroud pesa ancora su Chiellini, che perde la marcatura; il 3-1 finale, invece, è figlio di una clamorosa ingenuità dell’esordiente Donnarumma, che su un cross sbagliato da Kurzawa si preoccupa di coprire al centro, mentre il pallone s’insacca sul primo palo.

I nostri avversari sono probabilmente superiori a livello tecnico, ma si limitano al minimo sindacale. Chiudono gli spazi al centro, lasciando che gli azzurri si dilettino in quelle decine di cambi di gioco che tanto piacciono al nostro allenatore. Il problema è che i francesi prosciugano la fonte del nostro gioco, mettendo in marcatura a uomo Giroud su De Rossi nel primo tempo e Gignac su Verratti nella ripresa.

Il compito d’impostare, perciò, ricade interamente sulla difesa. Un bel guaio, considerando l’assenza di Bonucci e del suo piede sinistro. Agli azzurri non resta che arrangiarsi passando il pallone ad Astori, che è un buon marcatore ma non certo un playmaker con visione di gioco. E infatti gli errori si sprecano.

Nei rari casi in cui riusciamo a raggiungere le fasce, peraltro, troviamo sbocchi solo sulla destra con Candreva. Nella ripresa la situazione migliora sulla catena di sinistra con l’ingresso di Florenzi al posto di De Sciglio, ma la manovra è comunque troppo lenta e prevedibile. Mancano le sovrapposizioni, le triangolazioni, i movimenti senza palla. Raramente riusciamo a mettere in difficoltà gli esterni difensivi di Deshamps e il povero Pellè rimane ancorato in mezzo a tre giganti francesi, aspettando palloni che non arrivano mai.

L’unica nota positiva della serata è che, finalmente, hanno esordito con la maglia della nazionale maggiore Rugani, Belotti e Donnarumma (d’accordo, ha sbagliato, ma ha pur sempre 17 anni ed è indiscutibilmente il successore di Buffon). A volersi concedere una considerazione frivola, è davvero bella anche la nuova divisa sfoggiata dagli azzurri, probabilmente la più elegante da molti anni a questa parte.

Per il resto, il confronto Ventura-Conte può sembrare ingeneroso dopo una sola partita, ma è inevitabile. Il tecnico genovese è un vecchio maestro del calcio spumeggiante di provincia, un uomo capace di portare il Torino in Europa League e di fargli perfino sbancare un fortino come il San Mamés di Bilbao. Ma su palcoscenici internazionali di questo spessore non ha esperienza, e si vede.

Non prova neanche a scardinare la gabbia tattica preparata da Dechamps: ha in mente una sola idea di gioco e la porta vanti qualsiasi cosa accada. In più, non si fa sentire dalla panchina. Non urla, non minaccia i giocatori di morte ad ogni passaggio in orizzontale sbagliato come faceva Conte. Non tiene alta la tensione agonistica, né la concentrazione. E questo, alla fine, fa la differenza. 

di redazione

Ancora una beffa per la Roma e per l’Inter. I giallorossi, in cerca di riscatto dopo il disastro dei preliminari di Champions col Porto, si fanno rimontare dalla loro tradizionale bestia nera, il Cagliari, che tanti dispiaceri ha dato ai capitolini negli ultimi anni. E dire che per la squadra di Spalletti, stavolta, sembrava davvero in discesa dopo il rigore trasformato da Perotti al settimo (il terzo in due partite) e il raddoppio di Strootman al primo minuto della ripresa.

I padroni di casa, però, non ci stanno e prima accorciano le distanze con Borriello (al quinto gol contro la sua ex squadra) poi pareggiano con Sau (uno dei migliori in campo), che malgrado l’altezza non titanica beffa di testa tutta la retroguardia romanista a tre minuti dalla fine.

Anche l’Inter aveva bisogno di una rivincita dopo lo scoraggiante 2-0 subito per mano del Chievo alla prima di Campionato, ma contro il Palermo alla fine è solo 1-1. In questo caso, però, sono i nerazzurri a rimontare, con Icardi che risponde Rispoli, a segno con un tiro deviato da Santon. A fornire l’assist per il pari dell’argentino è il neoacquisto Candreva, entrato sullo 0-1 e autore di una prestazione convincente.

Ben diverso l’avvio di stagione delle genovesi e del Sassuolo, tutte a punteggio pieno dopo 2 partite. Nella seconda gara di questa Serie A gli emiliani superano 2-1 il Pescara grazie alle reti di Defrel e del solito Berardi, stesso risultato con cui la Sampdoria batte in rimonta l’Atalanta. Quagliarella su rigore e Barreto di testa rispondono al vantaggio firmato Kessié, al terzo gol dopo la doppietta alla prima giornata contro la Lazio.

Quanto al Genoa, i gialloblù giocano una partita bifronte. Chiudono il primo tempo in svantaggio per 1-0 sul campo del Crotone – è Palladino a segnare il primo storico gol dei calabresi in Serie A, e per lui è anche un gol dell’ex – poi nella ripresa si svegliano di soprassalto e segnano tre volte in meno di venti minuti. Gakpè pareggia all’inizio del secondo tempo, poi Pavoletti festeggia con una doppietta la prima convocazione in azzurro.

La prospettiva di esordire in nazionale fa bene anche a Belotti, che con una tripletta trascina il Torino al trionfo casalingo per 5-1 sul Bologna (le altre reti sono di Martinez e Baselli), riuscendo nell’impresa di segnare 4 gol e sbagliare due rigori in appena due partite. Grave passo indietro per la squadra di Donadoni, che porta a casa come sola nota positiva il gran gol in azione personale di Taider, capace di rubare palla a centrocampo e di scaricare in porta dal limite dell’area.

Ben più limitata nel punteggio, ma altrettanto importante, la vittoria della Fiorentina per 1-0 sul Chievo. I viola festeggiano al Franchi i 90 anni della società grazie al gol di testa firmato da Carlos Sanchez, a segno all’esordio da titolare in Serie A dopo aver marcato appena una rete nelle ultime due stagioni con l’Aston Villa. Bene anche l’Udinese, che al Friuli supera 2-0 l’Empoli con i gol di Felipe e Perica, uno all’inizio e uno alla fine della partita.

Quanto alle partite del sabato, il Napoli dimostra di non avere molti problemi in fase offensiva nonostante la partenza di Higuain. Gli azzurri superano 4-2 al San Paolo un Milan volenteroso ma ancora troppo fragile per essere all’altezza della sua storia recente. Dopo la doppietta nel primo tempo del polacco Milik, che esordisce nel migliore dei modi davanti al pubblico di casa, nella ripresa i rossoneri riescono sorprendentemente a pareggiare con Niang e Suso, ma poi vengono schiantati da un’altra doppietta, stavolta di Callejon. A dir poco ingenui Kucka e Niang, che si fanno espellere costringendo i compagni a chiudere la gara in 9.

Meno pirotecnica la vittoria della Juventus, che all’Olimpico supera di misura la Lazio. A segnare il gol partita è Khedira, abile a sfruttare un duplice errore difensivo dei biancazzurri: prima Biglia svirgola un pallone che avrebbe dovuto rinviare, poi Radu perde la marcatura su un avversario più forte di lui, ma tutt’altro che veloce. La squadra di Inzaghi esce comunque dal campo a testa alta, con la concreta speranza di aver trovato in Bastos un difensore centrale all’altezza di fare reparto con De Vrij ed evitare i disastri dell’anno scorso.   






di redazione

Il tandem Juventus-Roma riprende da dove aveva lasciato, mentre il Milan vince grazie alle prodezze dei suoi unici due giocatori di livello e il Napoli evita la sconfitta facendo segnare l’unica X della schedina. Partono bene Lazio, Sassuolo, Genoa, Sampdoria e Bologna. L’Inter, invece, inizia la stagione con un piccolo incubo. È questo il quadro della prima giornata del Campionato 2016- 2017, caratterizzata come tradizione da una valanga di gol prodotti dalla sagra degli orrori delle difese.

Fra le partite di domenica fanno notizia soprattutto le due stecche di Napoli e Inter. Meno gravi le amnesie degli azzurri, che sul campo del neopromosso Pescara vanno sotto 2-0 nel primo tempo (in rete Benali e Caprari), ma poi recuperano nella ripresa una doppietta di Mertens, entrato dalla panchina.

Assai più preoccupante l’esordio dell’Inter di De Boer, che perde 2-0 sul campo del Chievo, condannata da una doppietta nel secondo tempo di Birsa. Al di là del risultato, i nerazzurri stupiscono per la mancanza di idee e di fiato: non tirano mai in porta, passeggiano per il campo e non reagiscono ai gol subiti, aspettando di perdere.

Va meglio ai cugini del Milan, che nell’unica partita di domenica pomeriggio riescono ad avere ragione 3-2 del Torino. Per 94 minuti l’uomo della partita sembra Carlos Bacca, autore di una tripletta, ma all’ultimo secondo un suo compagno di squadra gli ruba la scena. Si tratta di Donnarumma, che para un rigore a Belotti e condanna alla sconfitta Mihajolovic, che lo aveva lanciato l’anno scorso.

Negli anticipi di sabato Roma e Juve timbrano il cartellino, anche se con qualche problema in più del previsto. I primi due gol della nuova serie A li segna entrambi Perotti su rigore - uno dei due inventato da Dzeko in versione Tania Cagnotto -, che aprono le danze del 4-0 giallorosso sull’Udinese. I friulani recriminano per un rigore non assegnato sullo 0-0.

Si festeggia anche sull’altra sponda del Tevere, anche se con molti patemi. Sul campo dell’Atalanta, la Lazio di Inzaghi chiude il primo tempo in vantaggio per 3-0 (in rete Immobile, Hoedt e l’esordiente Lombardi), ma nella ripresa, invece di gestire, si schiaccia e smette di giocare. I bergamaschi accorciano le distanze con una doppietta di Kessié (20enne ivoriano assai promettente), gentilmente regalata da quel che resta di Marchetti. Cataldi sembra chiuderla per i biancazzurri, ma c’è ancora spazio per il gol della speranza di Petagna. Alla fine è 4-3.

Emozioni anche a Genova, dove nella ripresa il Cagliari passa in vantaggio con Borriello su grande assist di Sau, ma poi si scompone e viene travolta dal Grifone, che passa tre volte con Ntcham, Laxalt e Rigoni. Esordio felice anche per la Sampdoria, che passa 1-0 sul campo dell’Empoli con un gran gol di Muriel, capace di insaccare sotto l’incrocio da posizione defilata.

Chiudono il quadro della prima giornata altre tre vittorie di misura: quelle del Sassuolo a Palermo e del Bologna in casa sul Crotone. Nel primo caso decide il solito Berardi (su rigore), mentre per i rossoblù torna a segnare Destro, che a causa di un lungo infortunio non segnava da febbraio.


di Fabrizio Casari

Non è stato proprio un fulmine a ciel sereno quello che si è abbattuto sull’Inter. Il divorzio consensuale tra Mancini e la società nerazzurra, secondo in carriera, era nell’aria da diverse settimane. Da quando cioè la nuova proprietà cinese aveva fatto capire che i parametri per definire ruoli, competenze e ingaggi, non potevano essere altro se non l’abilità dimostrata con i successi ottenuti sul campo.

E, comunque, gli allenatori lavorano con la squadra e per la società, non viceversa. Sono allenatori e non procuratori, sono CT e non DS. Fanno del loro meglio con ciò che la società gli mette a disposizione. Dunque chi allena la squadra deve essere allineato con gli obiettivi societari, non il contrario.

L’allenatore jesino non aveva lo stesso punto di vista. Riteneva cioè di essere Alfa e Omega del club, cui spettava solo l’onere delle spese e l’onore di fidarsi del suo allenatore. Per questo le scelte sulla campagna di rafforzamento e sulla gestione delle vicende di spogliatoio dovevano essere affrontate dandogli carta bianca e così sia. Inoltre, a Mancini sembrava offensivo disporre di un solo anno di contratto e chiedeva sia il prolungamento che una forte penale per il club in caso di rescissione anticipata! Cose che nemmeno Mourinho chiese a Moratti. Chissà come si scrive arroganza con gli ideogrammi..

Mancini è uomo di indubbio talento e indiscutibile ego, davvero non lo si può negare. Il problema è che i risultati che ha raggiunto all’Inter in questi due anni non hanno nulla né dell’uno né dell’altro. Nessun gioco, non una formazione-tipo, assenza di schemi e incapacità di tenuta psicologica hanno caratterizzato l'Inter allenata dal Mancio e imbottita di giocatori scelti da lui. Chiedere a Mancini di fare la lista della spesa è come mettere un bambino davanti a un negozio di giocattoli: vuole tutto per poi stancarsi presto di quanto voluto.

Fin troppo facile ricordare ciò che avvenne quando la società nerazzurra decise di soddisfarne l’ansia da shopping compulsivo: insieme a Eder, a Perisic, a Murillo e Miranda, a Medel e Kondogbia, sono arrivati anche Shaquiri e Podolsky, Melo e Telles, Santon e Montoya, Osvaldo e M’Vila, Campagnaro e Kuzmanovic. Questo nella sua ultima avventura, mentre Cesar, Mancini e Suazo sono le “perle” della sua prima tranche nerazzurra.

Diciamo quindi che Suning, alle prese con le bizze di Icardi e della sua ambiziosa compagna, che evidentemente ritiene il centravanti la sua unica possibilità di entrare nel mondo del cinema, fosse pure dallo sgabuzzino dei cinepanettoni, aveva bisogno di un allenatore che sapesse alzare la voce e richiamare all’ordine un giocatore che fresco di rinnovo e con la fascia di capitano, senza far vincere nulla pretende tutto.

Nell’inutile attesa che ciò avvenisse, ha trovato ulteriori, robusti motivi per non delegare a Mancini ulteriori esperimenti, mentre dal canto suo l’allenatore ha mostrato una squadra che nelle amichevoli estive ha preso sei gol dal Tottenham, 4 dal Bayern, 3 dal Psg, solo per fare alcuni esempi.

Si dirà che il calcio estivo conta poco, ma non si capisce come mai le altre italiane vincono e l’Inter perde con valanghe di gol, come mai nella sua storia. D’altra parte la fase difensiva non è il massimo per il Mancio, al punto che la sua Inter del 2008-2009 vide Mihajlovic occuparsi di come affrontare tatticamente la partita in fase difensiva e di non possesso. La maggior parte dei tifosi interisti, da tempo, si era convinta che il problema fosse proprio l'allenatore; di casi come questo ce ne sono ogni anno, l'ultimo è stato quello di Garcia con la Roma. Una volta subentrato Spalletti, la squadra ha cominciato a correre e vincere con gli stessi uomini con cui Garcia perdeva.

Insomma un ottavo posto il primo anno e un quarto striminzito il secondo anno, pur con un organico inferiore solo a Juventus e almeno alla pari con Napoli e Roma, non bastano per avanzare pretese. Così, a due settimane dall’inizio del campionato, l’Inter ha deciso che Mancini non vale 5 milioni di Euro all’anno di stipendio, gli ha dato sei mesi di buonuscita ed ha scelto di portare Frank de Boer sulla sua panchina.

Olandese tutto di un pezzo, difensore dell’Olanda di Cruijff e Van Basten, vincitore di 4 scudetti in sei anni (gli altri due è arrivato secondo), il tecnico scelto non ha una particolare conoscenza del calcio italiano, se non per aver sconfitto due volte il Milan da giocatore e allenatore proprio a San Siro. Candreva e Banega hanno poi aggiunto indubbia qualità ad una squadra già dotata di livello, anche se per Mancini non era abbastanza.

Quella di De Boer è una scommessa, ma non di quelle impossibili. De Boer sa far giocare bene le sue squadre, è molto attento alla fase difensiva, valorizza i talenti e sa vincere. Il contratto che lo lega all’Inter produce un risparmio di 3,5 milioni a stagione e lascia il cammino aperto in due direzioni: sia l’apertura di un percorso triennale, sia il traghettamento verso Pablo Simeone nel 2017-2018 sulla panchina nerazzurra. Il suo, non quello di Mancini, sarà il ritorno a casa del figliol prodigo.


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