di Bianca Cerri

Finalmente un anno che si apre con una buona notizia: il Governo italiano si è formalmente impegnato ad avviare la procedura per la moratoria universale della pena di morte, il più deleterio ed inutile tra gli strumenti di giustizia. Viene però da chiedersi come mai ci sia voluta l’esecuzione di Saddam Hussein per indurre il governo italiano e buona parte dell’opinione pubblica mondiale a prendere una posizione tanto netta contro la pena capitale, dal momento che le esecuzioni, soprattutto negli Stati Uniti - da dove è partito l’ordine di giustiziare l’ex-rais - sono ormai una cosa talmente comune da non meritare neppure un trafiletto sul giornale. Il comunicato di Palazzo Chigi lascia sperare che molto presto le ignobili visioni di esseri umani che agonizzano appesi ad una corda o rantolano sul lettino dell’iniezione letale apparterranno alla storia.

di Sara Nicoli

Di tutte le reazioni, più o meno indignate e scomposte, che si sono levate dal centro destra all’annuncio della morte di Piergiorgio Welby, una in particolare ha destato sincero raccapriccio. Non solo per il tono da novello difensore del Santo Graal con cui è stata sottolineata, quanto per lo sconcertante contenuto, segno inequivocabile di mancanza di spiritualità personale, nonché di profonda inadeguatezza politica. A pronunciarla è stato Luca Volontè, capogruppo alla Camera di un partito che si chiama “Unione dei democratici cristiani”. Nel silenzio composto degli altri deputati, ancora commossi per la morte di Welby, Volontè se n’è uscito gridando a denti stretti: “Arrestate i colpevoli di questo omicidio!” Di più. “Che la magistratura indaghi e metta in galera questi ideologi dell’eutanasia degni eredi dei regimi totalitari del XX secolo che propongono di sopprimere una vita a loro dire indegna di essere vissuta!”

di Maura Cossutta

Welby è morto come aveva deciso, voluto. Una scelta di un uomo che ci ha costretto a pensare, a discutere. Su di lui e, quindi, su di ognuno di noi. Perché avremmo potuto essere lui, perché lui è stato come noi. Una malattia tragica, la sua, che imprigiona il corpo e lascia libera la mente, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Non ce la faceva più. Lasciatemi andare, lasciatemi morire. Tante volte, quando facevo il medico in ospedale, ho sentito queste parole. Dette sottovoce, con gli occhi, con le mani. Forse si intuisce quando si è alla fine e si cerca un conforto, un aiuto. Aiutami, non farmi soffrire. E il medico può, deve. Saper accompagnare alla morte è il compito più difficile, che dovrebbe essere insegnato e imparato da ognuno di noi, di chi è medico ma anche di chi non lo è. Morire senza dolore, senza soffrire, con accanto qualcuno che ti accompagni, che ti ama, che ti vuole bene: non è così per tanti, per troppi. Ha ragione chi oggi, di fronte alla morte di Welby, insiste su questo; sulle scelte che si devono fare, sulla mostruosa carenza di risposte per garantire assistenza dignitosa per i malati terminali, per accompagnarli a vivere fino alla fine con serenità e dignità.

di Elena G. Polidori

La Cassazione dice che è permesso picchiare le moglie se cerca di educare i figli al rispetto di una religione diversa da quella del padre. Benedetto XVI chiede la castità come unica misura anti-Aids per debellare la peste del secolo dall’Africa. E nell’ombelico del mondo, che è sempre Roma, i teodem sferrano l’ennesimo, vigoroso, attacco ai pacs, si fanno scudo del referendum sulla legge 40 per ribadire che non si tocca e applaudono festanti al Tribunale di Roma che ha chiuso la porta alla possibilità di Piergiorgio Welby di morire con dignità. Così non si parlerà più, almeno per un po’, di eutanasia. Episodi apparentemente scollati tra di loro, ma che pur senza essere sottili e scafati politologi, si possono leggere come avvisaglie di un clima che sta cambiando in peggio, nel segno della lotta al relativismo e al progresso della società e delle sue conquiste civili. E’ un pensiero unico senza spessore quello che avanza, buono per raccattare voti e consensi nel popolo impaurito dalla modernità e dall’autodeterminazione degli uomini liberi. E capace di rastrellare voti e consensi in chi si sente ancora orfano dei partiti confessionali e non si é mai fatto una ragione di un bipolarismo politico che li ha costretti a scegliere se stare a destra o a sinistra; per comodità e ignavia non avrebbero mai voluto fare un passo oltre il centro. E adesso cominciano a rivedere la luce.

di Elena G. Polidori

La notizia, al primo impatto, sembrava quella di una Giunta per le autorizzazioni della Camera che, con qualche giorno di ritardo rispetto al Senato, aveva deciso di ricontare le schede delle elezioni politiche 2006. Poi, dopo qualche ora, la notizia è diventata un’altra, quella di un Silvio Berlusconi sempre più convinto di aver subìto il furto della vittoria e ora addirittura deciso, in caso di dimostrati brogli, a rimescolare le carte per le più alte cariche dello Stato, dalle presidenze delle camere fino al Quirinale. L’assioma di partenza è semplice: dopo aver delegittimato, con un martellante gioco mediatico, la maggioranza del Parlamento uscita dalle urne l’11 aprile del 2006, adesso si punta a minare le fondamenta delle Istituzioni nominate proprio da questo parlamento “palesemente illegittimo”. Berlusconi, interrogato sull’argomento, ha ostentato saggezza e inusitato senso dello Stato commentando sornione che “se dovesse cambiare qualcosa dopo la riconta, si dovrà prendere una decisione che non sarà soltanto mia”. Prodi, però, non sembra avere alcuna intenzione di scendere sul terreno dello scontro. E da Bruxelles risponde stizzito alle elucubrazioni dell'avversario: "Berlusconi sbaglia sempre le previsioni; hanno deciso di ricontare?Lasciamoli fare". Nella Cdl, però, si scalpita.


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