Le dichiarazioni di Giuliano Amato sulla strage di Ustica appaiono, per quanto tardive, utili a rinfrescare la memoria di un Paese che di assenza di memoria patisce endemicamente. Ci si può interrogare - è sempre bene farlo - sul perché oggi Amato decida di dire cose di una gravità estrema. Cose fino ad oggi sostenute solo da Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica, ex ministro dell’Interno e, fuori curriculum, riferimento politico di Gladio, la rete Stay-Behind anticomunista, operativa in Italia dal dopoguerra in funzione sovversiva. Una sorta di legione irregolare della NATO, destinata a sostenere militarmente il famoso “Fattore K”, cioè il divieto di accesso al PCI al governo del Paese. E, sempre a proposito di memoria, Amato ricorderà di essere stato il Presidente del Consiglio nel 1992 e per 305 giorni. Sarà che non trovò il tempo per chiedere la verità al suo omologo francese?

Quanto avvenne a Ustica è ormai noto. La sera del 27 Giugno del 1980, l’aereo Itavia copriva la rotta Bologna-Palermo e partì con due ore di ritardo rispetto all’orario schedulato. Scomparve dai radar di Ciampino e Licola intorno alle 20,00, mentre era in discesa per atterrare all’aeroporto palermitano di Punta Raisi, dove non arrivò mai. Ci sono state diverse versioni sull’accaduto, ma quelle fornita dal presidente Cossiga, che parla di un missile francese, è certamente la più veritiera, peraltro corrispondente a quella fornita dagli stessi libici pur se mai in forma aperta.

Il generale Vannacci ha due meriti. Il primo è aver fatto luce su un equivoco pericoloso e molto diffuso: libertà di parola non significa affatto che ognuno di noi può dire quello che vuole. I reati d’opinione esistono e sono codificati dal Codice penale. L’articolo 604 bis comma 1, ad esempio, stabilisce che è punito “con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Ora, l’Esercito non ha punito Vannacci in modo proporzionato alle aberrazioni che ha scritto, neanche lontanamente. Quindi è certo che a nessun procuratore verrà mai in mente di perseguire il generale per il reato di cui sopra. La giustificazione è ovvia: in quella porcheria di libro non si parla esplicitamente di “superiorità” o di “odio” razziale. Il che magari è vero, ma occorre una dose titanica d’ipocrisia per fingere di non vedere che il sottotesto del “Mondo al contrario” è esattamente quello.

Imprenditore e leader politico, al servizio del suo personale successo e della sua personale ricchezza ma sempre sostenuto da mani amiche e politicamente interessate al suo affermarsi, Silvio Berlusconi è stato un autentico terremoto nella vita politica italiana. A seguito della scomparsa della Democrazia Cristiana, azzerata da mani Pulite e seppellita da un fax del suo ultimo segretario nazionale, Mino Martinazzoli, in vista della dipartita del fu Partito Socialista, ridotto dal craxismo a organizzazione delinquenziale, i poteri forti di ispirazione atlantista decidono di tentare la carta dell’outsider, di operare un tentativo importante per evitare che la sinistra arrivi al governo del Paese.

Berlusconi appare l’unico in grado di portare a termine la missione, per difficile che sia, data la sua indubbia qualità di imbonitore con una rete nazionale mediatica a disposizione ed una struttura aziendale in grado di offrire supporto operativo.

Dopo aver invitato ai giovani ad andare a lavorare nei campi e a non stare sui divani, proprio lui, il ministro Lollobrigida, a cui doveva essere intestato il dicastero della famiglia per meriti acquisiti sul campo, si è prodotto in un diluvio di suprematismo che persino il sito del governo italiano di cui fa parte castiga con termini severi. Lui non poteva saperlo, per conoscere dovrebbe leggere e, per tradizione di famiglia, chi legge non parla e chi parla non legge.

Le cialtronate verbali di Lollobrigida non sono solo una sottolineatura dell’ignoranza crassa di cui il soggetto gode, caratteristica universalmente riconosciutagli. Fanno seguito alle infamie uscite dalla bocca di La Russa e alle castronerie di Rampelli, tutte inseribili nel solco aperto dalla premier per mancanza di voti.

Il governo Meloni continua a rendere lampante uno dei principali problemi del pensiero di destra: la tendenza ad affrontare problemi complessi con risposte semplici, elementari e quindi insufficienti. In pochi mesi abbiamo già avuto diversi esempi: era accaduto con il decreto Rave, poi con il decreto Carburanti e adesso – last but not least – con il decreto sui bonus edilizi. In tutti questi casi il governo ha prima emanato un provvedimento d’urgenza, immediatamente operativo; poi si è reso conto che il testo – formulato in modo rozzo, superficiale – creava problemi inizialmente imprevisti; infine, a poche ore dall’emanazione del decreto stesso, l’esecutivo si è detto disponibile modificare il pacchetto di misure. Senza alcun timore di risultare ridicolo, il governo ha annunciato per oggi un incontro con le associazioni di categoria interessate dal decreto sui bonus edilizi. Peccato che sia tardi: la fase del confronto e del dialogo, lo capisce anche un bambino, dovrebbe venire prima dell’emanazione del provvedimento, non dopo.


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