La pesante sconfitta del partito indipendentista al potere a Taiwan nelle recenti elezioni amministrative potrebbe innescare nei prossimi mesi un certo ricalibramento delle politiche di questo paese nei confronti della Cina. Oltre che una serie di impopolari misure economiche e sociali, il Partito Democratico Progressista (DPP) ha infatti pagato a caro prezzo la decisione in questi ultimi due anni di abbracciare una linea sempre più dura nei rapporti con Pechino, in buona parte ispirata e appoggiata dall’amministrazione Trump.

 

La presidente taiwanese, Tasi Ing-wen, è subito finita sul banco degli imputati dopo la pessima performance del DPP nella giornata di sabato, tanto che dopo la diffusione dei risultati ha rassegnato le proprie dimissioni da leader del suo partito. A beneficiare di questa débacle sono stati i nazionalisti del Kuomintang (KMT) all’opposizione, in grado di assicurarsi svariate amministrazioni cittadine e provinciali precedentemente nelle mani del DPP.

La rete del welfare britannico, che per decenni ha garantito una relativa equità nella gestione e nel contenimento delle situazioni di marginalità sociale, ha lasciato il posto ormai da svariati anni a uno scenario che un recente rapporto delle Nazioni Unite ha definito impietosamente di “grande sofferenza” inflitta alle fasce più deboli della popolazione.

 

A sostenerlo è stato il relatore ONU sulla povertà estrema e sui diritti umani, Philip Alston, in una recente conferenza stampa in cui ha presentato le conclusioni di un’indagine sul campo tra Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord. Il quadro che ne è uscito è quello di un paese che, nonostante risulti essere la quinta potenza economica del pianeta, presenta livelli di povertà inquietanti e un continuo sfaldamento del tessuto sociale a causa di quasi un decennio di deliberate e durissime politiche di austerity.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sembra avere per il momento scongiurato una delicata crisi di governo e allontanato l’ipotesi di elezioni anticipate. Il suo gabinetto esce tuttavia indebolito dal recente scontro con gli alleati di estrema destra, provocato dalla tregua siglata con Hamas per chiudere l’ennesimo conflitto armato nella striscia di Gaza.

 

Settimana scorsa, l’ormai ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, si era dimesso dal governo dopo avere accusato Netanyahu di essere troppo tenero nei confronti di Hamas e di avere accettato un cessate il fuoco senza avere debellato una volta per tutte la minaccia islamista sulla popolazione di Israele. La decisione di Lieberman era stata quasi universalmente giudicata come una mossa elettorale, per dare al leader del partito Yisrael Beitenu credenziali militariste e garantirgli la possibilità di provare a strappare voti al Likud del primo ministro.

La rivalità tra Cina e Stati Uniti sta ormai raggiungendo una gravità tale che anche nei vertici internazionali, solitamente caratterizzati da manifestazioni esteriori di cordialità e distensione, gli scontri verbali e sui contenuti stanno sempre più emergendo in maniera lampante, generando ulteriori tensioni e peggiorando ancora di più lo stato delle relazioni bilaterali.

 

Un esempio di ciò si è avuto nel corso dei due summit tenuti nei giorni scorsi a Singapore e a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, dove si sono riuniti rispettivamente l’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sudorientale (ASEAN) e la Cooperazione Economica dell’Asia-Pacifico (APEC).

Nel corso di una conferenza dedicata alla “governance” della rete, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato questa settimana un accordo raggiunto con i vertici di Facebook per rafforzare i meccanismi di censura del social network in linea con gli interessi del governo di Parigi. L’esperimento, che inizierà all’inizio del prossimo anno, è stato presentato ufficialmente come un passo avanti nella lotta alle “fake news” e all’intolleranza che circolano su internet.

 

Nel concreto, esso si risolverà piuttosto in un nuovo giro di vite contro la libertà di espressione, attuato sempre più frequentemente attraverso la collaborazione tra i governi e le multinazionali della tecnologia e della comunicazione.


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