La visita di questa settimana a Damasco del presidente sudanese, Omar al-Bashir, è stata la dimostrazione più evidente del possibile inizio di un processo di normalizzazione dei rapporti tra i paesi arabi e il governo siriano, del quale erano emersi finora soltanto alcuni timidi segnali. Bashir è il primo leader arabo a recarsi in Siria dall’inizio della guerra nel 2011 e il suo incontro dai toni cordiali con il presidente Assad è tanto più significativo se si considerano le posizioni che il regime del Sudan aveva assunto nei confronti di Damasco negli anni scorsi.

Il senso di crisi profonda che emana ormai da tempo dalla Casa Bianca si è respirato ancora una volta nei giorni scorsi grazie alla confusione con cui Trump e il suo staff hanno gestito la faticosa nomina del nuovo capo di gabinetto (“chief of staff”) dello stesso presidente.

 

Dopo una serie di candidature andate a vuoto, Trump ha optato per il numero uno dell’Ufficio del Bilancio della Casa Bianca, l’ex deputato repubblicano Mick Mulvaney, il quale si ritroverà a gestire una fase politica estremamente delicata e complessa, segnata cioè dal complicarsi delle vicende legali riconducibili alla caccia alle streghe del “Russiagate”.

Il Parlamento nicaraguense, a grande maggioranza, ha votato un decreto di scioglimento per 5 diverse ONG nicaraguensi, accusate di aver svolto un ruolo di sostegno organizzativo e direzione politica nel tentativo del colpo di stato che ha insanguinato il Nicaragua dal 18 aprile fino al Luglio scorso.

 

Liberali e conservatori hanno votato contro accusando i sandinisti di operare una stretta antidemocratica, ma in realtà le decisioni del Parlamento nicaraguense sono state prese in ottemperanza alla legge 147 sulle ONG voluta nel 1992 proprio dal governo liberale e conservatore di Violeta Chamorro per disciplinare l’attività delle società che ricevono fondi internazionali. Dunque le proteste della destra risultano bizzarre, visto che quando sono al governo votano leggi che poi, quando vanno all’opposizione, non vogliono applicare.

La rivista americana Time ha scelto come “Persona dell’anno” 2018 un gruppo di giornalisti di varie nazionalità e una testata americana in segno di riconoscimento dell’importanza e dei pericoli della loro professione in un clima internazionale sempre più pericoloso e oppressivo.

 

Nell’articolo che ha accompagnato la notizia della decisione, la direzione del Time ha anche citato altri reporter costretti a fare i conti con governi autoritari. Tuttavia, la scelta è stata tutt’altro che imparziale o disinteressata, visto che ha deliberatamente tralasciato anche solo di nominare giornalisti perseguitati proprio dal governo degli Stati Uniti, a cominciare dal fondatore di WikiLeaks, Julian Assange.

A pochi mesi da un’elezione generale che appariva scontata fino a poco tempo fa, il partito nazionalista indù BJP al potere in India ha fatto segnare un pericoloso arretramento in almeno tre recenti consultazioni locali, i cui risultati sono stati resi noti questa settimana. Il primo ministro, Narendra Modi, deve essere in particolare preoccupato per il voltafaccia incassato dall’elettorato rurale, decisivo per il suo trionfo nel 2014 e oggi ugualmente cruciale per una possibile rinascita del Partito del Congresso all’opposizione.


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