di Alessandro Iacuelli

Possiamo solo immaginare la sorpresa che ha attraversato la mente di una signora torinese di 76 anni, quando e tornata casa, dopo aver fatto la spesa in un discount, e nell'aprire la confezione di mozzarella appena comprata, l'ha vista diventare di un vivace colore blu al solo contatto con l'aria. Possiamo solo immaginarla, quella sorpresa, perché certe esperienze per essere comprese vanno purtroppo fatte dal vivo, anche in campo alimentare. La signora non si è fatta mettere al tappeto da quella sorpresa, magari gettando nei rifiuti quel prodotto, ma ha preferito chiamare i nipoti adolescenti, che con i loro cellulari hanno filmato la strana mozzarella blu. Poi, cellulari alla mano, ha contattato i carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni.

Così, i Nas di Torino hanno effettuato un primo maxi-sequestro di 70 mila confezioni di mozzarella a lunga conservazione, mentre il pm Raffaele Guariniello, della procura torinese, ha aperto un’inchiesta. Contemporaneamente, anche a Trento un'altra donna, al ritorno dalla spesa, ha trovato la stessa amara sorpresa nel colore della mozzarella. Un ampio campione del sequestro si trova ora presso l'Istituto Zooprofilattico di Torino, per essere analizzato, ma nel frattempo l'analogo istituto veneto, che ha ricevuto la mozzarella sequestrata a Trento, ha già avanzato un'ipotesi: la presenza di un batterio, all'interno del prodotto, che al contatto con l'aria provoca la colorazione della mozzarella.

Le mozzarelle, prodotte in Germania, erano destinate ai banconi di una nota catena di supermercati discount, che le distribuiva a costi compresi fra 1,75 e 2 euro, classificate come "a lunga conservazione". La società, hanno spiegato gli inquirenti, si è comportata bene, collaborando con i carabinieri e dandosi da fare per ritirare tutti i pezzi entrati in circolazione. Guariniello, intanto, sta valutando l'attivazione di una rogatoria internazionale per individuare i responsabili dell’azienda tedesca e iscriverli nel registro degli indagati. Il reato ipotizzato, per ora a carico d’ignoti, è la violazione dell’articolo 5 della legge del 1962 sugli alimenti.

Parallelamente, il ministro della salute, Ferruccio Fazio, ha comunicato che è già stato attivato il sistema di allerta rapido comunitario con la segnalazione alla Commissione europea e alle autorità tedesche della contaminazione delle mozzarelle. E dopo l’intervento dei Nas non dovrebbero più esserci esemplari nei banchi frigo della piccola e grande distribuzione.

Cosa potrebbe essere successo? A fare delle ipotesi sensate, e a dare anche degli utili spunti di riflessione, è la dottoressa Maria Caramelli, direttore sanitario dell’Istituto zooprofilattico, che racconta come in effetti "la presenza di un batterio è l’ipotesi più accreditata: quando prolifera tende a virare proprio verso il blu", e individua anche, con le dovute cautele, di quale batterio si tratta e del come può aver preso dimora nelle confezioni. Si potrebbe trattare infatti "degli pseudomones, di cui esistono diverse varianti", batteri che si sviluppano e si riproducono a velocità elevate quanto "esistono carenze igieniche nell’acqua", ma anche "limiti nei sistemi di refrigerazione possono essere la causa scatenante. Ed è probabile che in situazioni dove il risparmio economico è alla base di tutto, si faccia attenzione a non spendere troppo in refrigerazione. Ma questa, ovviamente, è soltanto un’ipotesi". Infine, verranno effettuati, per avere una completa informazione sull'incidente, anche dei test tossicologici, presso il Centro antidoping dell’ospedale San Luigi di Orbassano.

Fin qui la notizia. Ma non c'è solo quella, perché la notizia fa nascere una serie di considerazioni, magari più o meno condivisibili, però inevitabili. A farle, è prima di tutto Coldiretti. L'organizzazione di categoria fa osservare che "metà delle mozzarelle in vendita nel nostro Paese sono fatte con latte straniero o addirittura una su quattro con cagliate industriali (semilavorati) provenienti dall'estero.", quindi secondo Coldiretti "l'operazione dei Nas fa dunque luce su un fenomeno che inganna consumatori e allevatori italiani e mette a rischio la salute dei cittadini."

"Dalle frontiere italiane sono passati in un anno", sostiene Coldiretti, "ben 1,3 miliardi di litri di latte sterile, 86 milioni di chili di cagliate e 130 milioni di chili di polvere di latte di cui circa 15 milioni di chili di caseina utilizzati in latticini e formaggi all'insaputa dei consumatori e a danno degli allevatori. Il risultato è che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle in vendita sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero: ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio indicarlo in etichetta."

Tutte considerazioni corrette e interessanti, sulle quali occorrerebbe un ampio dibattito, che però partono da un'ipotesi "di parte", cioè che tutto ciò che è in qualche modo "italiano" sia di migliore qualità rispetto a ciò che è in genere "straniero". Per raggiungere una migliore obiettività, può allora essere utile aggiungere le considerazioni fatte, sul caso delle mozzarelle blu, dall'ADUC, l'Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori, che fa notare tre punti salienti.

Il primo, probabilmente il più importante, è che la scoperta, quella della colorazione blu, è stata fatta da una consumatrice e non dalle strutture sanitarie e di controllo italiane od europee; il che lascia qualche dubbio sulla capacità delle autorità pubbliche di prevenire fenomeni di adulterazione alimentare. Insomma, cosa mangiamo ogni giorno che non dovremmo? E perché chi dovrebbe accorgersene non se ne accorge?

La seconda osservazione sarà già saltata all'occhio di chi ha letto fin qui: da nessuna parte si rileva né il nome della casa produttrice tedesca, né quello dell'importatore del prodotto, né quello della catena di discount o di supermercati dove è stata acquistata la mozzarella blu. Tale informazione dovrebbe essere prioritaria per chi acquista prodotti di consumo, soprattutto alimentari. Ma per carità, in Italia non si deve mai rovinare il buon nome di nessuno.

Infine, sempre secondo l'ADUC, c'è anche un terzo punto, che è quello che potrebbe scatenare le polemiche maggiori: si punta il dito contro prodotti "stranieri" come se quelli italiani fossero naturalmente "buoni ed esenti". L'Associazione dei consumatori conclude dicendo: "Non è così, anche i prodotti italiani possono essere adulterati o contraffatti (olio, vino, latticini, ecc.)".

A queste considerazioni, chi scrive ne aggiunge solo una, personalissima, ed è una domanda tanto banale quanto spontanea: come è possibile che un Paese come l'Italia, che di latte, di mucche e di caseifici ne ha in abbondanza, debba importare le mozzarelle dalla Germania?

di Alessandro Iacuelli

La tedesca E.On e la francese Gaz De France-Suez hanno siglato un protocollo d'intesa per lo sviluppo del nucleare in Italia; lo si apprende da una nota congiunta dei due colossi dell'energia. In pratica, nasce una seconda cordata internazionale per la costruzione del sistema nucleare in Italia, dopo quella Enel-Edf. La nota congiunta è un "Memorandum of Understanding" (MoU) focalizzato sullo sviluppo del mercato dell'energia nucleare in Italia, e conferma la volontà di partecipare attivamente alla spartizione della torta nucleare nella nostra penisola.

Come per altri progetti nucleari, entrambi i partner sono a favore di una forte cooperazione con utility locali così come con società italiane nel settore energetico. E.ON e GDF-SUEZ esamineranno tutti i punti chiave relativi ai nuovi investimenti nelle centrali nucleari come la tecnologia, l'individuazione dei siti e le partnership industriali. Inoltre, "s’impegneranno in tavoli di dialogo con le autorità nazionali e locali volti a promuovere un quadro regolatorio stabile, chiaro e prevedibile".

In pratica intendono dichiaratamente esercitare una pressione di tipo lobbistico sulle autorità italiane, con lo scopo di ottenere regole a loro più favorevoli. In questo probabilmente rimarranno delusi, poiché per quanto riguarda le autorità nazionali non c'è mai stato bisogno di esercitare grandi pressioni, da parte dei sistemi industriali, per ottenere di tutto e di più.

"Il nucleare", ha dichiarato Klaus Schäfer, Amministratore Delegato di E.ON Italia, "è una delle soluzioni per l'Italia in grado di ri-bilanciare il mix di generazione di energia nei prossimi 15 anni, garantendo allo stesso tempo la sicurezza degli approvvigionamenti, riducendo le emissioni di CO2 e consentendo di produrre energia a costi relativamente competitivi. L'introduzione di energia nucleare, accanto allo sviluppo di fonti fossili più pulite, delle rinnovabili e dell'efficienza energetica, sarà essenziale nel futuro. Se le condizioni nel Mercato Italiano evolveranno nella direzione auspicata, la nostra cooperazione con GDF-SUEZ potrebbe contribuire nel futuro alla costituzione di un ulteriore consorzio".

"L'accordo tra E.ON e GDF SUEZ, ha dichiarato a sua volta Stéphane Brimont, Presidente e Amministratore Delegato di GDF-SUEZ Energy Europe, costituisce un primo passo nella nostra cooperazione per fornire un iniziale, concreto e vitale contributo alla rinascita del nucleare in Italia. Per proseguire, avremo bisogno del completamento del quadro regolatorio già ben avviato, di una forte partnership industriale aperta ad altri partner italiani e europei e di un processo competitivo per l'acquisizione dei siti nucleari disponibili”.

Di sicuro non si tratta di due gruppi industriali poco esperti nel settore. Dal punto di vista finanziario, infatti, posseggono quote di partecipazione in 30 centrali nucleari in Germania, Belgio, Francia e Svezia. Dal lato più propriamente industriale, invece, E.ON gestisce e opera direttamente in nove centrali, mentre GDF-SUEZ in altre sette.

Si tratta, sia sul piano dell'economia industriale che di quello politico, di una vera e propria sfida alla cordata italo-francese composta da Enel ed Edf. Il governo italiano punta a coprire nel 2030 il 25% del fabbisogno nazionale con il nucleare e solo la metà di questa fetta dovrebbe arrivare proprio dal consorzio Enel-Edf, almeno per ora. Di conseguenza, ci sono spazi per altre cordate, per altri voraci e rampanti gruppi stranieri che vogliano entrare nell'industria tricolore dell'atomo, soprattutto perché l'industria tricolore, nel settore nucleare, non c'è più da decenni.

Pertanto, contraddicendo chi sostiene che il nucleare potrebbe darci la cosiddetta "indipendenza energetica", in realtà ci si sta legando alle tecnologie nucleari estere, soprattutto quella francese, che si avviano a gestire non solo la costruzione, ma anche l'esercizio delle centrali stesse, cioè in pratica stanno allungando le mani verso le nostre bollette elettriche.

Silenzio assoluto da parte dei vertici della cordata franco-tedesca circa la tecnologia che potrebbe venire scelta dal nuovo consorzio, anche se nei giorni scorsi l'americana Westinghouse ha fatto sapere di stare proponendo la sua tecnologia nucleare AP1000, rivale dell'Epr scelto da Enel ed Edf, a tutte le grandi utility europee interessate al nucleare in Italia.

Nel nostro Paese, per ora silenzio dalla politica e dalla pubblica amministrazione, così come dall'industria. L'unico apprezzamento per la comparsa del cartello franco tedesco viene dall'utility lombarda A2A, secondo la quale l'accordo "rende più concreta l'idea di un consorzio per il nucleare che A2A sta auspicando".

Di sicuro, tuttavia, le imprese nazionali potranno avere, in questi consorzi, solo dei ruoli di secondo piano, alle spalle dei gruppi guida che, da Edf a Gaz de France, stanno calando come avvoltoi sul nostro Paese. Al governo nazionale è lasciato il ruolo della cosiddetta sicurezza, dove non s’intende certo la sicurezza nucleare propriamente detta, quanto semmai il tenere al sicuro gli impianti dagli sguardi indiscreti di cittadini, associazioni, e perfino magistrati.

Su questo punto, il governo Berlusconi ha già saputo rispondere nei mesi scorsi, includendo tutti gli impianti che anche indirettamente operano nel ciclo nucleare nell'elenco dei siti strategici nazionali. In pratica, sono stati trasformati in zone militari, guardate a vista da sentinelle armate.

di Alessandro Iacuelli

Deve essere stata una brutta sopresa, per il Segretario all'Energia degli Stati Uniti, Steven Chu, leggere la lettera indirizzatagli dal professor Ernest Sternglass. Una brutta sopresa perchè l'amministrazione Obama sta rilanciando l'uso dell'energia nucleare, poi perchè il professore insegna Fisica Radiologica alla Scuola di Medicina dell'Università di Pittsburgh, ed è anche Direttore del Radiation and Public Health Project. Soprattutto, è una brutta sorpresa perchè Sternglass non ha usato mezzi termini nella lettera che, attraverso Chu, ha inviato a tutto il Governo: "Sugli effetti del nucleare sulla saluta umana, gli scienziati hanno sempre sbagliato."

Si tratta di una dichiarazione molto forte, non solo perché viene da un professore emerito che è considerato uno dei massimi esperti mondiali nel settore della radioattività, ma anche perché si basa su analisi e dati che lasciano poco spazio ai dubbi. Sternglass invita anche Chu, e tutta l'amministrazione Obama, a prendere in considerazione l'idea di procedere all'eliminazione dei reattori e puntare sulle energie rinnovabili. La cosa che deve aver maggiormente sconvolto il Segretario all'Energia, probabilmente é il fatto che il professore è stato, negli ultimi trenta anni, un convinto sostenitore dell'uso dell'energia nucleare. Ed ora, proprio lui fa marcia indietro. Perché?

Secondo Sternglass, si tratta di "...un errore tragico e poco noto che è stato fatto  dalla comunità medica e dei fisici, come me, durante i primi anni della  Guerra Fredda, che ha avuto un ruolo importante nella crescita enorme dell’incidenza di malattie croniche come il cancro e il diabete, e quindi del  costo dell’assistenza sanitaria nella nostra nazione."

Quale sarebbe l’errore? E' stato quello di "presumere che l’esposizione a radiazioni della popolazione conseguente al funzionamento dei reattori nucleari non avrebbe alcun effetto negativo sulla salute umana". Invece, le misure effettuate negli ultimi anni da un gruppo di medici ricercatori di Pittsburgh, porta a conclusioni opposte: "Questa ipotesi era basata sulla nostra esperienza di mezzo secolo di studi che non hanno mostrato alcun aumento rilevabile nei tassi di cancro per le persone che sono state esposte a raggi X a scopo diagnostico.

Ciò che non è stato compreso è che gli elementi radioattivi creati nella fissione dell'uranio, non hanno prodotto soltanto un piccolo aumento della quantità ricevuta dall’esterno come dose naturale di fondo. Invece, le particelle e i gas prodotti nel processo di fissione e rilasciati nell’ambiente, provocano danni da radiazioni di gran lunga maggiori di quelli provocati dai raggi X usati a scopo diagnostico, poiché i prodotti radioattivi di fissione e gli ossidi di uranio sono inalati e ingeriti con il latte, l’acqua potabile e il resto della dieta, concentrandosi in organi critici del corpo."

In pratica, il professore ammette che le vecchie misure di radioattività, e di interazione biologica, sono state fatte con i raggi X a scopo diagnostico. In pratica, con gli strumenti per le radiografie. Strumenti che hanno esposto i campioni non solo a dosi inferiori rispetto a quelle reali, ma anche a radiazione pura, e non, come avviene nella realtà, anche a isotopi di elementi chimici che non dovrebbero entrare in contatto con il nostro organismo.

"Così", continua la lettera di Sternglass, "lo iodio-131 attacca la tiroide e danneggia la produzione di ormoni della crescita e favorisce il cancro della tiroide; lo stronzio-90 si concentra nelle ossa, dove danneggia il midollo ematopoietico, provocando la leucemia, nonché danni ai globuli bianchi del sistema immunitario che combattono le cellule tumorali e i batteri; il Cesio- 137 si concentra nei tessuti molli come il seno e gli organi riproduttivi di maschi e femmine, e induce vari tipi di cancro in soggetti adulti, nei loro bambini, così come nelle generazioni successive."

Certo, il tutto viene fuori da una diffusa ignoranza che c'era soprattutto durante i primi anni '50, quando gran parte delle nostre attuali conoscenze in merito agli effetti biologici delle radiazioni appartenevano ancora alla fantascienza. Era l'epoca in cui i test nucleari su larga scala, soprattutto di tipo militare, molto più invasivi e pericolosi rispetto a qualunque reattore di una centrale, venivano fatti nel deserto del Nevada. All'epoca, non era ancora noto che gli effetti delle radiazioni sono decine o centinaia di volte più gravi per un bambino in età prenatale, ancora nel grembo della madre, e in generale per i bambini molto piccoli. Su questo argomento, il professore ha buona memoria, infatti ricorda: "Né si è scoperto, fino ai primi anni ‘70, che le esposizioni prolungate a radiazioni da prodotti di fissione che si accumulano nel corpo, sono molto più pericolose della stessa dose totale ricevuta in una breve esposizione ai raggi X".

Il risultato di questa mancanza di conoscenze sta nel fatto che sono state sbagliate, per decenni, le misurazioni dei rischi biologici presso tutte le installazioni nucleari, militari o civili che fossero. Con misurazioni sbagliate, tanti funzionari governativi poterono, dati numerici (sbagliati) alla mano, convincere la popolazione preoccupata, dicendo loro che i livelli di fallout nucleare erano talmente bassi da non poter produrre effetti negativi. E' stata l'epoca, ovunque tramontata tranne che in Finlandia e in Italia, del grande inganno "dell'atomo pacifico", l'epoca dello spegnimento delle centrali a carbone un po' in tutti gli USA, per sostituirle con "energia nucleare pulita".

La lettera del professore continua ricordando un tempo ormai passato, negli USA, che però ricorda terribilmente l'attualità italiana: "Così si dette inizio ad un programma di costruzione di un gran numero di  impianti nucleari che ebbero il permesso di scaricare piccole quantità di prodotti di fissione, comparabile con i livelli di ricadute atmosferiche dei test nucleari. (...) Pertanto, quando si è scoperto che piccole quantità di prodotti di fissione causano danni molto maggiori rispetto alle previsioni, (non solo leucemie e altre forme di  cancro, ma anche parti prematuri, basso peso alla nascita e mortalità  infantile), tali risultati furono secretati dal nostro governo per paura che essi mettessero in pericolo il valore di deterrenza dell’arsenale nucleare."

Il finale della lettera, apre però una speranza - o meglio una strategia, una soluzione - che la scienza offre alla politica americana: "Fortunatamente, il recente, rapido sviluppo delle energie alternative permette di intravedere la fine di questa tragedia, dal momento che è possibile convertire i vecchi impianti nucleari in centrali a gas naturale. Questo può essere fatto con un costo minimo rispetto a quello necessario alla costruzione di nuove centrali, nell’attesa che le sorgenti alternative (eolico, fonti geotermiche e idroelettriche) possano prendere il loro posto.

Se la nostra nazione, che ha costruito i primi reattori e le prime armi nucleari, annunciasse l’obiettivo di eliminare gradualmente reattori nucleari a fissione che producono anche il plutonio e trizio necessari per le armi nucleari, sviluppando la fusione nucleare e altre fonti alternative di energia non inquinanti, questo contribuirà a rendere più facile l’obiettivo dichiarato dal presidente Obama di un mondo libero da armi nucleari. Così sarà possibile guardare ad un mondo libero dal pericolo della distruzione della vita umana con armi nucleari da uranio arricchito o plutonio, che si producono solo in reattori a fissione, insieme con rifiuti nucleari  altamente tossici, che restano letali per migliaia di anni”.

Non sappiamo se la politica americana saprà raccogliere il suggerimento proveniente dal mondo scientifico e troppo spesso, in passato, la politica non ha saputo interpretare per niente le spinte provenienti dal mondo scientifico, arrivando spesso a "imbrigliare" la scienza stessa. E, da parte sua, l'Italia cosa farà?

di Luca Mazzucato

NEW YORK. Monta la protesta contro British Petroleum, la compagnia petrolifera responsabile della marea di petrolio nel Golfo del Messico. A quaranta giorni dall'esplosione della piattaforma, in cui sono morte undici persone, l'FBI lancia un'inchiesta contro BP, con l'appoggio di Obama che si è spostato in Louisiana per seguire da vicino la faccenda. A una stazione di benzina di SoHo, nel centro di New York, si è svolta una delle numerose manifestazioni spontanee contro British Petroleum.

Un centinaio di attivisti si sono cosparsi di sciroppo di cioccolato per ricordare la catastrofe ambientale che si sta compiendo davanti alle coste della Louisiana, invase dal greggio. Intervistato dai giornalisti, il proprietario della stazione di benzina dice di essere furioso con la British Petroleum e di aver notato una decisa diminuzione della clientela.

Gli investigatori dell'FBI, che da tre settimane stanno raccogliendo informazioni sul posto, vogliono per prima cosa capire come abbia fatto il gigante petrolifero a passare i test di sicurezza federali. Obama, infatti, ha appena soppresso l'agenzia che si occupava di controllare la sicurezza delle trivellazioni offshore, dopo gli episodi di corruzione e commistione tra controllori e controllati che stanno facendo infuriare l'opinione pubblica. Al suo posto, il Presidente ha varato tre nuove strutture di controllo che si occuperanno di trovare le risorse energetiche presenti negli oceani, valutarne il patrimonio e riscrivere le regole di sicurezza sia ambientale che lavorativa sulle piattaforme offshore. Una moratoria di sei mesi sui permessi di trivellazioni è già stata approvata da Obama, sperando che metta la parola fine allo slogan “Trivella, bella, trivella!” della campagna McCain-Palin.

L'indagine dell'FBI è coordinata direttamente dalla Casa Bianca, che ha stanziato per questo dieci milioni di dollari “per scoprire la responsabilità di BP e delle altre compagnie [tra cui Halliburton, la compagna di Dick Cheney, ndr] nel disastro ambientale.” Gli agenti stanno investigando anche sul modo in cui BP ha gestito la risposta all'incidente, in particolare se la compagnia abbia mentito al governo quando diceva di poter sistemare tutto in breve tempo. Non che serva un'inchiesta dell'FBI per scoprirlo: la risposta è sotto gli occhi di tutti.

L'attenzione frenetica dei media è concentrata da settimane sulle coste del Golfo e ogni giorno nuovi scoop non fanno che peggiorare la situazione di BP. All'inizio avevano detto che si trattava di una fuoriuscita di quindicimila litri di greggio al giorno: ma gli scienziati sono certi trattarsi di un milione di litri al giorno! Molto più grave del disastro della Exxon Valdez in Alaska. Questo particolare è cruciale, perché la quantità di petrolio dispersa determinerà l'entità dei risarcimenti che BP dovrà pagare. Il disastro è costato finora alla compagnia quasi un miliardo di dollari, nulla in confronto ai profitti stellari di decine di miliari che BP miete ogni anno e i cittadini si stanno preparando per un'epica class action contro la compagnia.

Obama è arrivato in Louisiana questa settimana per gestire la crisi da vicino (e far dimenticare le accuse di negligenza) nel giorno in cui BP annunciava il tentativo di chiudere la falla pompando fango ad alta pressione per ingorgare sigillare dall'interno il tubo forato, una procedura detta “top kill.” Ma mentre Obama dichiarava “sono io che prendo le decisioni qui” e spiegava che il piano “top kill” era in corso e si sarebbe presto concluso, BP aveva sospeso tutto in segreto e rimandato l'azione di qualche giorno. Facendo fare al Presidente una figura da idiota a reti unificate.

BP è accusata di aver utilizzato per settimane degli antiquati solventi nocivi per disperdere il petrolio fuoriuscito dalla falla, nonostante in Texas avesse in stoccaggio un'enorme quantità di nuovi solventi non tossici. Dopo lo scoop dei media la compagnia ha deciso di abbandonare i solventi tossici in favore di quelli più sicuri. La stessa situazione si ripete ormai costantemente: BP viene colta con le mani nella marmellata e cerca di scusarsi e ammettere che non lo farà più, per poi farlo di nuovo il giorno dopo.

Un giornalista locale ha poi scoperto un'altra incredibile truffa. Mentre Obama passeggiava sulla costa imbrattata di greggio, con al seguito le solite troupe televisive, gli americani hanno assistito con gioia allo spettacolo di centinaia di operatori ecologici, ingaggiati da BP per ripulire le spiagge. Il responsabile della compagnia se ne vantava con i cronisti alla conferenza stampa con il Presidente. Ma si è presto scoperto che BP aveva preso trecento persone la mattina stessa, per far finta di lavorare durante le quattro ore previste dalla visita del Presidente e mandarle a casa mezz'ora dopo.

L'arroganza infantile della compagnia ha fatto infuriare sia Obama che tutta la popolazione locale, che ormai è compatta nel considerare il gigante petrolifero alla stregua di un'organizzazione criminale. Nessuno si fida più della compagnia, che però allo stesso tempo è l'unica a possedere la tecnologia in grado di fermare la falla. Il governo federale non può in pratica fare altro che assistere ai tentativi maldestri di BP e minacciare ripercussioni. Una situazione molto delicata, considerando anche il fatto che le tasse sui profitti petroliferi sono relativamente la fetta più grossa di tutto il gettito fiscale americano.

di Michele Paris

Una delle ragioni principali della sfiducia crescente di buona parte dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni comunitarie è probabilmente la mancanza di trasparenza nello svolgimento delle loro funzioni. A confermare questa percezione c’è, tra l’altro, l’accesso privilegiato garantito alle multinazionali delle biotecnologie a quelle stesse persone che dovrebbero valutare in maniera indipendente l’introduzione di OGM nelle coltivazioni europee.

A suscitare più di una perplessità è, ad esempio, la condotta tenuta dall’Autorità per la Sicurezza Alimentare (EFSA), in un momento particolarmente delicato dopo il recente via libera concesso dalla Commissione Europea alla coltivazione di una patata transgenica, che ha segnato la fine di una moratoria di oltre dieci anni sugli organismi geneticamente modificati.

Di fronte alla freddezza dei consumatori europei verso gli alimenti geneticamente modificati, le aziende produttrici di semenze OGM da qualche anno si muovono in maniera molto aggressiva, per essere certi che la loro voce sia chiaramente sentita a Bruxelles. La promozione degli interessi delle compagnie biotecnologiche presso l’UE è affidata all’associazione EuropaBio. Quest’ultima, nel 2006, aveva indirizzato una lettera confidenziale al presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, richiamando la sua attenzione sul fatto che il clima politico in Europa non consentiva di dimostrare che il tentativo di diffondere gli OGM avveniva nel nome del pubblico interesse.

Così stimolata, la Commissione Europea si adoperò immediatamente per includere gli stessi rappresentanti dell’agro-business nelle discussioni tenute per stabilire le eventuali approvazioni da concedere agli OGM. Giganti come BASF, Dow, DuPont o Monsanto ottennero così una corsia preferenziale nei rapporti con l’EFSA, l’agenzia europea con sede a Parma, teoricamente incaricata di analizzare i rischi causati dagli organismi transgenici alla salute umana. Minori scrupoli, a detta dei critici dell’EFSA, sono stati al contrario dimostrati nei confronti delle associazioni della società civile che si oppongono agli OGM.

I dubbi che l’UE e le sue agenzie pongano gli interessi delle corporation della chimica e dell’agro-business davanti a quelli dei cittadini sono molti. Così come l’agenda della Commissione sulla questione delle semenze transgeniche appare pericolosamente appiattita su quella delle industrie biotecnologiche, ovviamente interessate principalmente alla loro introduzione massiccia nelle coltivazioni europee.

Se la maggior parte dei governi dell’UE continua a manifestare forti dubbi sull’introduzione degli OGM nelle loro colture, non è un segreto che la Commissione si sia data da fare negli ultimi anni per cancellare la moratoria che, di fatto, dura dal 1998. I suoi sforzi sono stati infine premiati lo scorso mese di marzo, quando la patata transgenica Amflora, prodotta dalla BASF, ha ottenuto l’approvazione per essere coltivata, per ora, in Germania, Svezia e Repubblica Ceca.

Proprio nei mesi precedenti la decisione sulla patata geneticamente modificata, sembra che le relazioni tra l’industria delle biotecnologie e i rappresentanti comunitari si siano intensificate. Come ha dimostrato l’analisi di alcuni documenti interni, fatta dall’agenzia di stampa IPS, esponenti delle agenzie deputate alla protezione dei consumatori avrebbero elargito preziosi consigli alle stesse aziende produttrici per facilitare il processo di approvazione dei loro semi transgenici.

In particolare, il numero uno del dipartimento per la protezione dei consumatori della Commissione, Robert Madelin, e il direttore dell’EFSA, Catherine Geslain-Lanéelle, nel 2008 e nel 2009 avrebbero esortato l’associazione EuropaBio a fornire alle istituzioni comunitarie le più dettagliate informazioni sui prodotti transgenici da sottoporre ad approvazione, così da evitare ostacoli o “inutili ritardi” nelle procedure di rito.

Il timore, per lo stesso Madelin, era quello di incorrere in una controversia simile a quella che riguardò lo StarLink in America nel 2000. Questo mais transgenico era stato infatti approvato per il consumo animale e industriale, poiché una proteina in esso contenuta poteva provocare reazioni allergiche nell’uomo. Quando si scoprì che era stato invece impiegato nella produzione di alimenti destinati al consumo umano, la società produttrice (Aventis) subì seri danni alla propria immagine pubblica.

Se per qualcuno questi “consigli” vanno ben al di là delle legittime informazioni fornite alle aziende biotecnologiche sul rispetto delle regole comunitarie, per l’EFSA e la Commissione Europea non si pone alcun problema di trasparenza. I rapporti con l’agro-business, insomma, devono essere per forza di cose “ravvicinati”, si dice da Bruxelles, nell’ambito di una “fedele cooperazione” tra l’industria e la Commissione.

Un legame che, d’altronde, corrisponde alla volontà dell’UE di attuare una politica più flessibile sugli OGM, lasciando ai singoli paesi membri la facoltà di scegliere sulla loro implementazione. L’attività di lobby dell’industria delle biotecnologie, in definitiva, sta dando i propri frutti, con buona pace di quanti pensavano di trovare nelle istituzioni comunitarie un baluardo a difesa della salute dei cittadini europei.


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