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Sarà martedì il giorno della resa dei conti tra Antonio Conte e l’Inter. A rendere tale l’appuntamento in sede tra il Presidente Steven Zhang e l’allenatore è stato quest’ultimo, che da ormai un mese a questa parte ha inanellato una serie di accuse, rimproveri e prese di distanza dalla società e dai giocatori (ricordare quando ricordò con un malcelato disprezzo la provenienza calcistica di Barella e Sensi).
E se non bastassero le insinuazioni poco eleganti verso alcuni dei suoi giocatori (peraltro tra i migliori a disposizione), ci sono da annoverare le parole pesanti contro dirigenti e società. Regolarmente, ad ogni sconfitta o pareggio a questa equivalente, Conte ha ritenuto di non dover fornire spiegazioni sugli errori di impostazione tattica, sullo stato di salute della squadra e sugli errori di formazione visibili ad ogni spettatore delle partite giocate.
Sin dai secondi tempi disastrosi contro Bayer Leverkusen e Barcellona, che avevano fatto seguito a primi tempi straordinariamente belli, testimoniando un crollo fisico e mentale imputabile alla guida tecnica e non a quella societaria, Conte diede inizio alle sue critiche sgrammaticate a telecamere e microfoni accesi. Nel suo incedere lessicale di difficile comprensione perché goffo tentativo di utilizzare un lessico metaforico, l’anno che Conte ha definito “micidiale”, “faticosissimo” ed altro ancora, si è caratterizzato per l’arrivo da secondi in campionato e Europa League, dopo essere stati eliminati da Coppa Italia e Champions League. Insomma, una discreta annata calcistica ma non certo una marcia trionfale, a proposito del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno cui spesso Conte fa riferimento.
Ma le parole spese nel post finale di Europa League sono risultate persino ridicole. In primo luogo perché ha parlato di problemi familiari, insinuando che le mancanze societarie si sono riverberate in casa sua. Non è dato di sapere quale sia il confine tra le esagerazioni dell’allenatore e le bugie vere e proprie, ma quando parla di uno stress “spaventoso” ci viene spontanea una domanda: per caso guadagnare un milione di Euro al mese non è abbastanza per lo stress della famiglia Conte? Perché riteniamo che lo stress delle famiglie sia riscontrabile dove un milione di Euro non arrivi nemmeno in tutta la vita e non in un mese. Voleva forse guadagnare un milione di Euro al mese per starsene sereno e senza pensieri? Non basta l’assurdità di uno stipendio assurdo, immorale, sproporzionato a fronte del curriculum e dei risultati raggiunti?
Forse Conte è solo un furbone, che cerca di alzare polveroni quando si rende conto che dei suoi errori deve rispondere e non può trasformarli in altrui responsabilità. Sono innumerevoli gli errori e le scelte rivelatesi sbagliate, l’assenza di flessibilità tattica e l’incapacità di correggere gli schieramenti in corsa, oltre alla svalutazione di pezzi da 90 della società come Skriniar. Ma quando in una finale di Europa League si schiera Gagliardini e si mette in panchina per 80 minuti Eriksen, uno dei centrocampisti migliori del mondo, il calcio c’entra poco. C’entra la rabbia verso chi ha scelto di portarlo all’Inter perché è un affare straordinario, pazienza se Conte preferiva uno che costava il doppio con 10 anni di più; c’è la frustrazione di chi si rende conto di aver fatto scelte sbagliate ma dispone di un ego troppo grande per doverlo ammettere. Perché per Conte c’è il mondo esterno e c’è lui.
Chiederà l’allontanamento di Marotta e Ausilio, il ridimensionamento di Antonello e i pieni poteri nella gestione della squadra sapendo bene che l’Inter non gli condì cederà nemmeno uno di questi elementi. Ha solo bisogno di rompere e non può dire che vuole andarsene perché Suning non è il padre di un bambino viziato che vuole 8 fuoriclasse per vincere e poi dire che lui ha vinto. Nel post-Covid le spese saranno minime e Suning, che ha già speso 45 milioni per Hakimi (un laterale tra i migliori 3 al mondo), non ha intenzione di assecondare ogni capriccio.
Difficile che la situazione possa ricomporsi e l'Inter si è già tutelata contattando Max Allegri, che non gli è certo inferiore per titoli in bacheca pur guadagnando la metà vincendo. Conte dovrà quindi dimostrare di essere un uomo, prendere il cappello e salutare. L’Inter non lo licenzierà, l’harakiri è giapponese, non cinese. Meglio per lui che trovi un accordo economico accettabile per Suning: il licenziamento per giusta causa è nel novero delle cose possibili. Ci pare l’unica cosa sensata, dunque, accettare le condizioni che porrà Zhang. Se dovesse lasciare Milano senza un euro, allora si lo stress in famiglia sarebbe insopportabile.
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- Scritto da Giovanni Gnazzi
Così come lo scudetto juventino non riesce a scaldare i cuori, il secondo posto in classifica dell’Inter si compone di luci ed ombre. Le luci hanno a che vedere con i numeri: l’Inter è arrivata ad un punto dalla vincitrice, ha 13 punti in più dello scorso anno e due posizioni più su in classifica, è la squadra con meno partite perse e con meno reti subite, la seconda per realizzazioni. Sono stati gli scontri diretti con la Juventus a condannarla? Forse, ma più ancora aver tirato fuori solo tre punti con Bologna, Parma e Fiorentina nelle ultime giornate.
Difetti di crescita e di personalità di una squadra incompleta e con un tasso tecnico inferiore a quello juventino, certo, ma al suo allenatore, Conte, le colpe di una mancata vittoria risultano essere altre. Ci sono nemici dentro e fuori, giocatori non all’altezza e mancati arrivi. Ovviamente nessun mea culpa da parte sua, che pure incassa un milione di Euro al mese che dovrebbe coprire anche le scuse dovute, oltre che vitto e alloggio.
Conte ha deciso di rovinare quella che comunque era stata una giornata positiva per il club lanciandosi in un violento e sgrammaticato j’accuse contro la società e i dirigenti, dopo che nel corso dell’anno la aveva già proposto nei confronti di alcuni suoi giocatori, quando ridusse pubblicamente Sensi e Barella ricordando che venivano da compagini poco blasonate (ma sono stati utilissimi nella stagione).
Nel suo conflitto permanente con la sintassi e la fonetica, Conte ha comunque indicato quale sia la strada: juventinizzarsi. Ovvero culto della vittoria non importa come, idea dei secondi quali primi perdenti, influenza politica e mediatica per avvantaggiarsi il cammino, silenzio su ciò che avviene in società e nella squadra, carta bianca al suo allenatore (che però alla Juve non hanno mai dato a nessuno, meno che mai a lui). Il capitano della Juve ai tempi di Moggi ha un’idea “moggiana” di cosa debba succedere fuori dal campo. Con ciò riconoscendo, implicitamente, che non è certo solo “sul campo” che si vincono i trofei.
Certo, l’Inter, sia quella di Moratti o di Zhang, non è la Juventus. Per stile, ideologia, comportamenti ma, soprattutto, per la capacità di esercitare influenza. La famiglia più importante (e nefasta) del capitalismo italiano pesa molto più che qualunque altra società. E la protezione mediatica non può essere la stessa, visto che due su tre dei maggiori quotidiani sportivi, così come i due principali quotidiani generalisti, sono della stessa proprietà della Juventus. L’Inter, in cambio, non dispone nemmeno di una quota del sistema mediatico, di conseguenza avere giornalisti simpatizzanti è difficilissimo, non dipendendo dall’Inter la carriera di nessun redattore, che invece ha tutti i motivi per non dare fastidio al suo gruppo editoriale (se vuole averla, quella carriera).
Poi c’è il discorso del potere politico, e qui la questione è ancor più seria e più complessa. Anche in Lega, come nell’AIA e nella FIGC, il peso bianconero è avvertito da testa a piedi. Il sistema Moggi non è finito con il regnare di Moggi ed alcuni legami, come del resto alcuni processi interni di selezione, conservano gli equilibri che vedono da sempre la società degli Agnelli al vertice e i suoi sodali al seguito, con i suoi oppositori ai margini.
Cosa, intende dunque, Conte, quando afferma che se c’è da colpire qualcuno si colpisce l’Inter? Fa piacere che se ne sia accorto perché é proprio quello che per anni la società nerazzurra ed altre hanno denunciato, ovvero lo sbilanciamento filo Juventus degli organi federali, del sistema mediatico, della finanza e della mercato dei giocatori; insomma non si svela nessun segreto se si dice che l’intero movimento calcistico nazionale aveva ed ha, nella Juventus, il suo deux ex machina.
Conte, che della Juventus più inquinante ed inquinata - quella con Moggi, Giraudo e Bettega - fu capitano, dovrebbe saperlo bene per essere stato direttamente coinvolto in quel sistema. Quindi, sapeva bene che l’Inter di quel sistema è vittima e non carnefice. Che si sia accorto stando sulla panchina nerazzurra di quanto quella rete di sistema riesca a condizionare i risultati sportivi, è evidente; che gli sia piaciuto prima è probabile, ma adesso sembra di no. E allora ripensi anche da questa esperienza, al valore ed ai numeri veri degli scudetti juventini.
Ma ci sono altri aspetti inquietanti nello strabordare di Conte. La campagna acquisti che Conte ritiene insufficiente ha visto l’arrivo di giocatori da lui voluti ad eccezione di Eriksen: ma non c’è allenatore europeo che non vorrebbe il campione danese nella sua squadra. Solo chi ha un’idea del calcio esclusivamente come grinta, corsa continua e prestanza fisica può ritenere la tecnica pura un elemento relativo (e infatti Eriksen va in panca e Candreva e Gagliardini sono lì a mangiarsi gol e cross). E se l’Inter ha giocato sempre buone, a volte ottime partite (con Barcellona e Borussia Dortmund le migliori in Champions, con l‘Atalanta in campionato) ma è durata al massimo 60 minuti prima del crollo fisico, davvero è colpa dei dirigenti? Se Gagliardini in due partite tra gol mangiati e gol procurati fa perdere 4 punti è colpa dei nemici o di chi lo schiera sapendo che ha i piedi fucilati?
L’attacco alla società, a cominciare dal suo Direttore Sportivo Piero Ausilio per finire al suo Presidente Zhang (e in qualche modo anche al suo sponsor, Marotta), è indegno e inconcepibile per qualunque dipendente, non importa quale sia il suo ruolo e stipendio. Ausilio è quello che ha preso uno come Lautaro a 20 milioni (ed oggi ne vale più di cento), Sensi e Barella, Bastoni e Sanchez in prestito oneroso; quello che lo ha liberato da Icardi, Naingollan e Perisic e che gli ha comprato i giocatori che chiedeva: Lukaku a 80 milioni, lo scarsissimo Lazaro (22 milioni) Moses e Young. Non ha preso Vidal? Il Barcellona non lo cedeva, come non cedeva Rakitic, che pure l’Inter aveva puntato. E davvero con Vidal si vince e senza Vidal no? Non è titolare nemmeno nel Barca e doveva diventare l’asso nella manica dell’Inter a suon di milioni? A 33 anni? Avanziamo dubbi al riguardo.
Che Conte lavori nell’ombra per portare un suo amico al posto di Ausilio è cosa nota: ma Ausilio, che con l’Inter si trova da anni e nel migliore dei modi, è dirigente di prim’ordine, formatosi nell’Inter morattiana e quindi dotato di valori decisamente diversi da quelli di Conte. Grave che l’allenatore accusi pubblicamente dirigenti e gravissimo che chiami in causa la presunta assenza del Presidente Zhang, che non può rientrare dalla Cina causa misure per il contenimento del Corona virus e non per pigrizia.
Che Conte chieda pieni poteri è ovvio, che glieli concedano può scordarselo. L’Inter lo ritiene un ottimo allenatore, capace di arrivare alla vittoria, ma non più grande e più importante dell’Inter nel suo insieme. Mourinho, verso il quale il complesso di inferiorità di Conte appare palese, mai si permise di attaccare la società o i suoi giocatori (ad eccezione di Balotelli del quale disse che disponeva “di un solo neurone”). Come dargli torto? La differenza, oltre allo stile, sta qui: Mourinho vinse tutto e i suoi “nemici” li trovava fuori; Conte non ha ancora vinto nulla ma i suoi “nemici” li ha trovati dentro.
Si rincorrono voci circa il continuo contatto tra l’allenatore dell’Inter e alcuni dirigenti e giocatori della Juventus. Alcuni riferiscono che Conte sia interessatissimo alla sorte di Sarri. Lui smentisce ed annuncia querele. Auspicabile che non siano vere, se lo fossero tali attenzioni getterebbero una luce diversa sullo straparlare del tecnico salentino e si profilerebbe l’ipotesi di un teatrino montato appositamente con l’intenzione di destabilizzare l’Inter, spingere Suning alla rottura e tentare di tornare alla Juventus.
Difficile che i cinesi abbocchino. Soldi ne hanno molti, tolleranza molto meno. Pazienza con gli ingrati, poi, meno ancora: la vicenda di Spalletti dovrebbe avere insegnato qualcosa. Per questo i sondaggi su Allegri e Pochettino proseguono: il piano B è pronto.
Dunque o Conte rientra nei ranghi e nomina un consulente per la comunicazione che interpreti i suoi concetti elementari e gli dia forma compiuta nel rispetto dei ruoli, dell'italiano e della società che lo strapaga, oppure avrà un solo modo per dimostrare di essere colui che dice quel che pensa e fa quello che dice: presentare le dimissioni. Vediamo chi, dopo lo strappo alla Juve, al Chelsea e ora all’Inter qualcuno sarà disposto a spendere 11 milioni per avere la guerra in casa. Ma intanto si dimetta. Anche se la Juve confermerà di non volerlo più vedere. Magari una settimana prima di riprenderselo.
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L’Inter chiude il Campionato al secondo posto e Ciro Immobile vince la Scarpa d’Oro, eguagliando anche il record di reti in una singola stagione di Serie A. Questi i verdetti principali dell’ultima giornata di questo estenuante minitorneo estivo. A tenere banco è però un imbarazzante piagnisteo di Antonio Conte, che in conferenza stampa si scaglia con violenza inspiegabile contro la dirigenza dell’Inter. Al di là delle considerazioni sulla stagione della squadra, non è davvero un bel modo di accomiatarsi dai tifosi: per una volta incapace di trionfare al primo tentativo, il tecnico pugliese fa la figura del bambinone a cui hanno rubato il giocattolo.
“Spesso ci sono state palate di merda su me e i calciatori, nessuno ci ha difeso” - ha detto Conte - ho visto poca protezione da parte del club, bisogna essere forti anche fuori dal campo: qui nessuno è scemo, uno il parafulmine lo fa il primo anno, non il secondo. Perseverare è diabolico e spero sia chiaro che non sto parlando di mercato: a fine anno faremo le nostre valutazioni, ci sarà modo di parlare anche con il presidente che però è in Cina, quindi…”.
Alla fine l’Inter, che pure è la squadra che ha perso meno partite, la migliore difesa e il secondo miglior attacco del campionato, chiude a un solo punto dalla Juventus, ma il distacco è bugiardo: di fatto, dalla ripresa del Campionato i nerazzurri non hanno mai dato l’impressione di credere nello Scudetto e alla fine si ritrovano alla distanza minima solo perché la Signora - con la testa ormai alla Champions League - ha scelto di riposarsi nelle ultime giornate. E così la Roma vince per la prima volta allo Stadium, addirittura 3-1, incamerando fiducia per la prossima stagione.
Negli stessi minuti, giocando la migliore partita del torneo, l’Inter a Bergamo batte 2-0 l’Atalanta e conquista il secondo posto, che vale una decina di milioni di euro in più nelle casse societarie. I bergamaschi finiscono la stagione con gli stessi punti della Lazio (78), ma sono terzi in virtù degli scontri diretti favorevoli.
La squadra di Inzaghi torna sconfitta per 3-1 dalla trasferta di Napoli, ma la missione più importante è compiuta: con il gol al San Paolo, Ciro Immobile arriva a quota 36 in Campionato ed eguaglia il record stabilito nel 2015-2016 da Higuaìn, che all’epoca giocava proprio nel Napoli.
Ma per l’attaccante biancoceleste la soddisfazione più grande è certamente la conquista della Scarpa d’Oro, trofeo che ogni anno viene assegnato al bomber più prolifico d’Europa. Nella classifica finale, Immobile precede nientemeno che Lewandoski (34 gol), Cristiano Ronaldo (31), Timo Wrner (28) e Lionel Messi (25). Terzo Italiano di sempre a vincere il golden boot dopo Totti e Toni, Immobile interrompe un dominio ultradecennale di CR7, Messi e Suarez, che monopolizzavano questo trofeo addirittura dal 2009-2010.
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Il più brutto, il più sofferto, il più contestato: ma vale come gli altri otto. Dopo i tre scudetti di Conte e i cinque di allegri, Maurizio Sarri porta nella bacheca della Juventus il nono titolo nazionale consecutivo. È un record europeo: nessun’altra squadra ha mai fatto altrettanto negli altri campionati del continente.
Il 2-0 contro la Sampdoria mette il sigillo su un successo che sa di riscatto per l’allenatore toscano, per distacco il tecnico più contestato in casa bianconera dai tempi di Maifredi. Di Sarri si si è detto tutto: che non ha lo stile Juve, che non è in grado di farsi seguire dai top player, che non sa adattare il proprio modo di giocare a seconda delle necessità. Eppure, dopo aver perso quest’anno sia la finale di Supercoppa contro la Lazio sia quella di Coppa Italia contro il Napoli – la Signora non poteva proprio lasciarsi sfuggire il Campionato. Se non altro, per mancanza di concorrenza.
La superpotenza finanziaria di casa Exor permette alla Juventus di avere almeno due squadre di massimo livello, un privilegio di cui nessun altro in Italia si può vantare e che ha fatto la differenza soprattutto dopo la lunghissima interruzione per la pandemia.
La favola della Lazio non ha resistito ai mesi d’inattività, che hanno messo in luce i limiti di una rosa corta e di una preparazione atletica come sempre poco bilanciata tra le diverse fasi della stagione. Ora, con il quarto posto già sicuro, ai biancocelesti non resta che cercare di finire la stagione davanti all’Atalanta e/o all’Inter, anche se forse l’obiettivo più interessante è cercare di far vincere la Scarpa d’Oro a Immobile, che con la tripletta contro il Verona ha raggiunto Lewandoski in cima alla classifica dei cannonieri europei.
Qualcosa di più era lecito attendersi dall’Inter, che - al contrario dei biancocelesti - aveva iniziato la stagione con ambizioni di titolo, ma di fatto non è mai riuscita a impensierire la Juve. Nonostante il buon lavoro di Marotta, per profondità e qualità la rosa nerazzurra non è ancora ai livelli di quella bianconera e i rinforzi arrivati in corsa (Moses, ma soprattutto Eriksen) non sono bastati a compensare. Colpa anche di Antonio Conte, che – dopo aver iniziato la stagione dando spettacolo perfino al Camp Nou – si è clamorosamente perso per strada e per la prima volta in carriera non è riuscito a dare un’identità alla propria squadra.
Sembra invece destinata a chiudersi con un sorriso la travagliata stagione della Roma, che con la vittoria per 2-1 sulla Fiorentina si ritrova ormai a un passo da quel quinto posto che vorrebbe dire qualificazione diretta ai gironi di Europa League.
A questo punto, archiviato il discorso campionato, l’attenzione dei tifosi si sposta sulle coppe europee. A cominciare dalla Champions League, dove il 7 agosto la Juve è attesa dall’insidiosa gara di ritorno contro il Lione, vittorioso per 1-0 all’andata in Francia. Se Sarri non riuscisse a orchestrare la rimonta, è chiaro che per lui la gloria del nono scudetto consecutivo diventerebbe subito un ricordo.
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Roma-Inter si chiude con un pareggio che non serve a nessuno, se non ai detrattori del Var. Domenica sera la sfida all’Olimpico fra giallorossi e nerazzurri non smentisce la tradizione, proponendo come sempre una gran quantità di gol ed emozioni.
Nella prima fase la squadra di Conte passa in vantaggio con un colpo di testa su calcio d’angolo di De Vrij, ma poco prima della ripresa i padroni di casa trovano il pari con Spinazzola, imbeccato da Dzeko con un bell’assist nello stretto. Il gol era chiaramente da annullare per un precedente fallo di Kolarov su Lautaro: Di Bello viene richiamato al Var, vede le immagini, ma fa finta di niente.
A inizio ripresa gli uomini di Fonseca completano la rimonta con Mkhitaryan, che – con la complicità di un disattento Bastoni – scaraventa in porta un pallone su cui stava per avventarsi il suo compagno di squadra bosniaco. Da lì in avanti la Roma gioca con più qualità e rapidità, arrivando a sfiorare il punto del 3-1, ma alla fine viene tradita da uno dei suoi migliori in campo, Spinazzola, che cicca un pallone comodissimo e poi stende Moses in area. Lukaku dal dischetto fa 2-2.
“Questi ragazzi devono accumulare esperienza e ritrovare l’abitudine a giocare un certo tipo di partite, ma non posso certo rimproverarli – il commento di Conte a fine gara – È la quinta volta consecutiva che giochiamo contro squadre che hanno sempre un giorno in più di riposo: quando c’è da fare compromessi, chi paga è sempre l’Inter. Inoltre, non voglio attaccare gli arbitri perché stanno vivendo un momento particolare anche loro, però quello su Lautaro era fallo e ci ha cambiato la partita, visto che poi abbiamo preso gol. Ad ogni modo stiamo facendo ottime cose a prescindere dal secondo posto, ci siamo qualificati in anticipo con 14 punti di distacco dalla quinta, considerando che Roma, Milan e Napoli avevano lo stesso obiettivo nostro. Se il nostro è un campionato sottotono, cosa si dirà delle altre squadre?”.
Per Fonseca, invece, “sono due punti persi: abbiamo giocato benissimo, loro non hanno creato occasioni da gol, hanno segnato su palle ferme, ma questo è il calcio. Sono soddisfatto della prestazione della squadra, non del risultato. Sono soddisfatto dei ragazzi, meritavano di uscire dal campo con 3 punti”.
A questo punto, senza nemmeno la pressione di un’Inter in manovra di avvicinamento, la Juventus si gioca questa sera in casa il match point per lo scudetto (che per la verità sembra ormai assegnato da tempo, visto che, dall’inizio della ripresa, nessuna delle inseguitrici ha dimostrato di credere nella rimonta). Sulla strada della Signora c’è una Lazio lontana parente della squadra che a fine 2019 ha battuto due volte i bianconeri per 3-1. Falcidiati dagli infortuni e da una condizione fisica generale non competitiva, la squadra di Inzaghi ha portato a casa un solo punto nelle ultime quattro partite.
“Pensavamo di arrivare a questa sfida più vicini alla Juve, purtroppo però abbiamo avuto tanti problemi – ha detto il tecnico biancoceleste – Luis Alberto non sarà della partita, così come Radu, Marusic, Leiva, Correa, Lulic e Patric: avrei voluto giocarmi questa gara, così come le precedenti, con tutta la rosa a disposizione, è normale che avendo sempre gli stessi si perda in brillantezza e lucidità. Ora è inutile fare i paragoni con le altre squadre, pensiamo a noi e ai 3 punti che ci mancano per la qualificazione in Champions, obiettivo che ci manca da 14 anni”.
Anche se il successo è ormai a un passo, in casa Juve non si respira una bella aria. I due punti raccolti nelle ultime tre partite contro Milan, Atalanta e Sassuolo, con tanto di 9 gol subiti, hanno rinfocolato le polemiche contro Sarri, il cui futuro bianconero sembra sempre più in bilico.
“Vivo con serenità sapendo che il mio lavoro è così, va tutto bene se vinci, va tutto male se perdi – ha detto il diretto interessato – Io ho un contratto e per quanto mi riguarda lo voglio onorare a tutti i costi, il mio futuro è domani. In questo momento la testa deve essere sulle prossime partite, poi tanto nel calcio tutto il resto sono conseguenze, ma noi dobbiamo pensare solo alla Lazio”.