di Fabrizio Casari

Una grande giornata di democrazia, è stata definita la domenica del Pd. E in qualche modo si deve ammettere che gli oltre tre milioni di elettori che hanno deciso di recarsi alle urne per incoronare Walter Veltroni nuovo segretario del Partito Democratico rappresentano, quale che sia l’opinione che si ha dell’operazione politica, un indubbio successo per il neonato partito. Smentiti dunque i timori della vigilia circa la scarsa affluenza alle urne, risparmiateci le denunce di brogli dall’on. Rizzo, si sono archiviati anche gli ovvi problemi politici che in caso di scarsa affluenza, sarebbero nati sia nello schieramento del centrosinistra che nel governo. E non è un caso che quando ancora non era ancora stato ufficialmente proclamato il vincitore del megasondaggio chiamato primarie, Romano Prodi, forse toccando ferro, si diceva certo di "lavorare perfettamente" con il nuovo segretario del PD. Perché se è vero che la genesi e la nascita del PD hanno rappresentato due tappe fondamentali nel pericolante cammino dell’instabilità governativa, anche un eventuale fallimento delle primarie per eleggere il segretario avrebbe determinato una crisi politica di proporzioni devastanti per l’azionista principale del governo. Un affluenza degli elettori modesta avrebbe indubbiamente significato uno scollamento tra la dirigenza del nuovo soggetto politico e la sua base elettorale. Oltre tutto, il confronto con i quattro milioni di elettori di Romano Prodi alle primarie per la scelta del candidato premier dell’Unione sarebbe stato inevitabile quanto severo e carico di significati. Ma un dato è certo: da oggi Prodi è il premier di una coalizione il cui leader di maggioranza è Veltroni.

di Cinzia Frassi

A segnare una pausa nella vicenda del pm di Catanzaro Luigi De Magistris è la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che l’8 ottobre scorso ha rinviato l’esame sulla richiesta di trasferimento del pm stesso e del procuratore capo di Catanzaro, Mariano Lombardi, al prossimo 17 dicembre. Il rinvio non sorprende, soprattutto per le nuove accuse ad integrazione delle precedenti, presentate lo scorso venerdì dal ministro della Giustizia Clemente Mastella. I nuovi addebiti si riferirebbero, tra gli altri, al “disinvolto rapporto con la stampa” del pm di Catanzaro che il ministro giudica “del tutto disattento ai profili di riservatezza delle attività di indagine preliminare”, (la mancata riservatezza si riferisce alle indagini sul Presidente del Consiglio Romano Prodi nell’inchiesta “Why Not”). Allo stesso tempo, il rinvio smonta alla base la richiesta di trasferimento “cautelare ed urgente” del guardasigilli. E’ poco probabile che le polemiche scatenate dal caso “De Magistris” si plachino così, dalla sera alla mattina, solo per quei due mesi di rinvio. Sicuramente avranno fatto più rumore lontano dalle colonne dei giornali, dove le inchieste sono state riportate in base alla portata dei nomi interessati e dove il ministro Mastella ha fatto di tutto per rubare la scena al togato.

di Dante Brioni

Il quadro della riorganizzazione dell'eversione nera nel nostro Paese appare piuttosto inquietante, dopo il recente blitz nel nord Italia partito dalla procura di Varese. L'indagine è nata circa un anno fa, negli uffici varesini, quando sulle scrivanie degli inquirenti era arrivato il programma del "Partito nazional socialista dei lavoratori". Non tutto è ancora chiaro, tant'è vero che lo stesso capo della procura di Varese, Maurizio Grigo, non esita a dichiarare: "Abbiamo fatto le perquisizioni per capire meglio, il materiale trovato è cospicuo e interessante". Il blitz ha portato la polizia di Stato nelle abitazioni di 47 tra aderenti e simpatizzanti del Pnsl in diverse città del nord e del centro. Secondo l'accusa, gli aderenti alla formazione neonazista avrebbero anche raccolto fondi in solidarietà con persone in carcere perché legate allo stragismo e all'eversione nera, come Pierluigi Concutelli. Alle perquisizioni hanno partecipato oltre 150 agenti. L'accusa principale è la violazione dell'articolo 3 della legge 75, con un programma contenente discriminazioni di razza e di religione.

di Alessandro Iacuelli

In Italia a volte c'è da meravigliarsi non solo per le cose che succedono, ma anche per le reazioni che le cose suscitano. Così, può apparire strano che l'ultima mossa di marketing di Luca Cordero di Montezemolo abbia ottenuto tanti consensi sia dal mondo politico che dalla società civile. Al "fuori da Confindustria gli imprenditori che pagano il pizzo" il plauso è stato quasi unanime: dopo decenni nei quali politica e imprenditoria si sono battuti per convincere il mondo che la mafia non esiste, finalmente Confindustria prende una posizione netta. Ma è davvero una posizione così netta? Leggendo tra le righe, non sembra. A ricordarlo è praticamente l'unica voce di dissenso che si leva dall'interno del mondo imprenditoriale, quella di Filippo Callipo, presidente della Confindustria calabrese fino all'anno scorso, quando decise di lasciare l'incarico perché si era ritrovato da solo a denunciare il racket in Calabria. "Se continuo a denunciare quello che gli altri non vogliono mai denunciare - dichiarò al momento dell'addio - finirà che mi prenderanno per pazzo". Partiamo da un assunto molto semplice: un imprenditore taglieggiato, che fino ad oggi non si è mai opposto all'estorsione, magari per paura, ammetterà mai di pagare il pizzo? E chi di costoro deciderà che, pur di rimanere in Confindustria, è il caso di non pagare più e di guadagnarsi magari una bomba per sé ed una per la propria azienda?

di Fabrizio Casari

Le diverse generazioni che dagli anni sessanta ad oggi si sono susseguite nel calpestare le non sempre rette vie del nostro Paese, hanno ritenuto, con maggiore o con minore convinzione, che la criminalità italiana avesse due sostanziali caratteristiche: una di essere “sistema”, l’altra di produrre ingovernabilità sociale e politica proporzionale alle ricchezze che generava. C’era semmai un dubbio, relativo alla commistione tra associazioni criminali e alcuni partiti politici; il dubbio era se fossero le prime ad aver infiltrato i secondi o viceversa. Alla fine, il dubbio si dimostrava ozioso, risultando chiaro che in quel tipo di società alcuni partiti e le cosche divenivano azionisti di maggioranza o di minoranza in corrispondenza di fasi diverse, ma sostanzialmente erano (sono?) elementi distinti di un progetto comune. Adesso però, finalmente, ci rendiamo conto di quanto quelle ipotesi delle diverse generazioni fossero sbagliate, perché sbagliati erano i presupposti (ideologici, certamente) che le determinavano. Sappiamo oggi, infatti, grazie ad un’opera di chiarificazione storica e sociale di alto profilo, che l’illegalità italiana non è fatta di Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona, Mafia del Brenta o bande di tante magliane; di logge massoniche, colletti bianchi e di narcomafie, di racket delle estorsioni o di trafficanti di droghe e armi. Oggi ci è tutto più chiaro: la criminalità italiana è fatta di lavavetri, writers e disperati clandestini.


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