di Fabrizio Casari

Mario Luis Lozano, militare americano, assassino non pentito di Nicola Calipari, non é neppure giudicabile. Lo ha deciso la terza Corte d’Assise di Roma, presieduta Angelo Gargani. Il dirigente del Sismi che la notte del 4 marzo del 2005 ha lasciato la sua vita a Baghdad per riportare a casa Giuliana Sgrena, giornalista de Il manifesto, sequestrata da banditi certi vestiti da resistenti ipotetici, non avrà giustizia. E non l’avrà perché Lozano è statunitense, pur non essendo innocente. Le motivazioni della sentenza chiariranno i contenuti del dispositivo, ma sin da ora è chiaro come il vizio procedurale evidenziato dalla sentenza di proscioglimento sia riferito alla risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Essa infatti assegna in esclusiva agli Stati Uniti la giurisdizione sulle truppe della coalizione occidentale occupante. Di conseguenza, la richiesta italiana di estradizione del marine assassino è stata rigettata per evidente difetto di competenza. Quella risoluzione, infatti, è il primo atto giuridico internazionale che conferma la supremazia giuridica statunitense, fino ad allora esclusivo frutto della sua prepotente ed illegittima giurisprudenza interna, che tende ad estendere a livello planetario i suoi codici.

di Cinzia Frassi

Il 4 ottobre scorso, la Procura di Brescia ha firmato le richieste di rinvio a giudizio per la strage di Piazza Loggia. Già negli ultimi mesi l'inchiesta in corso aveva fatto ricominciare a sperare molti bresciani circa la possibilità di vedere aprirsi un altro processo, un'altra occasione per condannare i responsabili della strage di Piazza Loggia che il 28 maggio 1974 fece 8 morti e 103 feriti. Con questa richiesta di rinvio a giudizio firmata dal procuratore Giancarlo Tarquini, dall'aggiunto Roberto Di Marino e dal sostituto Francesco Piantoni, si confermano le richieste di rinvio a giudizio per concorso in strage per Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e che “non poteva non sapere”, e anche per l'ex generale dell'Arma, Francesco Delfino, oltre che per Giovanni Maifredi, autista del ministro dell'Interno dell'epoca, Paolo Emilio Taviani. Questi rinvii si aggiungono a quelli dei mesi scorsi a carico di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Accanto a loro, accusati dai pm Di Martino e Piantoni, anche il pentito Martino Siciliano e gli avvocati Gaetano Pecorella e Fausto Maniaci, accusati di favoreggiamento: sono sospettati di aver versato 150 mila dollari nelle tasche del pentito Siciliano per ritrattare le accuse nei confronti di Delfo Zorzi, facendo transitare denaro sul conto di Poggi, accusato di riciclaggio. Ci sarebbe da chiedersi soprattutto che nome portava la borsa che avrebbe “donato per la causa” quella lauta somma.

di Sara Nicoli

E' costume ormai sedimentato, tra gli italiani, la disillusione. Sappiamo per certo tutti, come se fosse innestato nella spirale del nostro dna, che non conosceremo mai la verità sui fatti che hanno insanguinato la nostra storia negli ultimi vent'anni. Rivelazioni a singhiozzo - e spesso veicolate ad arte - impediscono la maggior parte delle volte di avere un quadro, se non completo almeno abbastanza chiaro, di cosa accadde davvero nel decennio che i libri di storia, in modo un po' semplicistico, racchiudono nel capitolo “anni di piombo”. Ancora oggi, insomma, ci si chiede chi fossero davvero le Brigate Rosse, chi armasse la loro mano e quali personaggi ruotassero dietro le quinte per impedire che un preciso disegno politico prendesse piede nel Paese, scalzando l'allora stato delle cose. Il punto più alto di questa sordida battaglia fu l'omicidio di Aldo Moro. E ora, a distanza di vent'anni, Giovanni Galloni, nel '78 vicesegretario della Dc, corrente di sinistra e animatore, dopo la morte dello statista, della corrente postmorotea dello scudocrociato, tira fuori con colpevole ritardo, una verità tragica. Di sicuro intuibile per chi, all'epoca, era capace di leggere la fragilità degli equilibri internazionali alla luce dell'azione riformatrice del compromesso storico di Moro, ma certamente lontani dalle possibilità di comprensione dei cittadini comuni. “La prigione di Moro non era quella che le Br hanno dichiarato – ha svelato Galloni durante la presentazione di un libro – gli americani sapevano dove era quella vera. Questo lo so con certezza”.

di Fabrizio Casari

Una grande giornata di democrazia, è stata definita la domenica del Pd. E in qualche modo si deve ammettere che gli oltre tre milioni di elettori che hanno deciso di recarsi alle urne per incoronare Walter Veltroni nuovo segretario del Partito Democratico rappresentano, quale che sia l’opinione che si ha dell’operazione politica, un indubbio successo per il neonato partito. Smentiti dunque i timori della vigilia circa la scarsa affluenza alle urne, risparmiateci le denunce di brogli dall’on. Rizzo, si sono archiviati anche gli ovvi problemi politici che in caso di scarsa affluenza, sarebbero nati sia nello schieramento del centrosinistra che nel governo. E non è un caso che quando ancora non era ancora stato ufficialmente proclamato il vincitore del megasondaggio chiamato primarie, Romano Prodi, forse toccando ferro, si diceva certo di "lavorare perfettamente" con il nuovo segretario del PD. Perché se è vero che la genesi e la nascita del PD hanno rappresentato due tappe fondamentali nel pericolante cammino dell’instabilità governativa, anche un eventuale fallimento delle primarie per eleggere il segretario avrebbe determinato una crisi politica di proporzioni devastanti per l’azionista principale del governo. Un affluenza degli elettori modesta avrebbe indubbiamente significato uno scollamento tra la dirigenza del nuovo soggetto politico e la sua base elettorale. Oltre tutto, il confronto con i quattro milioni di elettori di Romano Prodi alle primarie per la scelta del candidato premier dell’Unione sarebbe stato inevitabile quanto severo e carico di significati. Ma un dato è certo: da oggi Prodi è il premier di una coalizione il cui leader di maggioranza è Veltroni.

di Cinzia Frassi

A segnare una pausa nella vicenda del pm di Catanzaro Luigi De Magistris è la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che l’8 ottobre scorso ha rinviato l’esame sulla richiesta di trasferimento del pm stesso e del procuratore capo di Catanzaro, Mariano Lombardi, al prossimo 17 dicembre. Il rinvio non sorprende, soprattutto per le nuove accuse ad integrazione delle precedenti, presentate lo scorso venerdì dal ministro della Giustizia Clemente Mastella. I nuovi addebiti si riferirebbero, tra gli altri, al “disinvolto rapporto con la stampa” del pm di Catanzaro che il ministro giudica “del tutto disattento ai profili di riservatezza delle attività di indagine preliminare”, (la mancata riservatezza si riferisce alle indagini sul Presidente del Consiglio Romano Prodi nell’inchiesta “Why Not”). Allo stesso tempo, il rinvio smonta alla base la richiesta di trasferimento “cautelare ed urgente” del guardasigilli. E’ poco probabile che le polemiche scatenate dal caso “De Magistris” si plachino così, dalla sera alla mattina, solo per quei due mesi di rinvio. Sicuramente avranno fatto più rumore lontano dalle colonne dei giornali, dove le inchieste sono state riportate in base alla portata dei nomi interessati e dove il ministro Mastella ha fatto di tutto per rubare la scena al togato.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy