Mentre la situazione nel Donbass diviene sempre più incandescente, Biden, alla vigilia del colloquio con Putin, ha convocato l’11 febbraio quello che di fatto è il consiglio di guerra della Nato e dell’Unione Europea: il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il primo ministro britannico Boris Johnson, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ministro italiano Mario Draghi, il presidente polacco Andrzej Duda, il presidente rumeno Klaus Iohannis, il primo ministro canadese Justin Trudeau, affiancati dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il consiglio di guerra Nato-UE ha chiarito che «se la Russia effettua una ulteriore invasione dell’Ucraina, gli Stati uniti, insieme con i loro Alleati e partner, risponderanno con decisione e imporranno immediati e pesanti costi alla Russia».

Questo ha detto il giorno dopo Biden a Putin, a nome non solo degli Stati Uniti ma della Nato e dell’Unione Europea. Rifiuto totale di ogni trattativa, di fatto una dichiarazione di guerra, sottoscritta dall’Italia per mano di Mario Draghi sotto gli occhi di un Parlamento silente e consenziente. Ogni giorno di più si intensificano i segnali di guerra imminente. Il Dipartimento di Stato sta evacuando l’Ambasciata a Kiev, lasciandovi solo pochi diplomatici e una squadra di Marines, e avverte i cittadini statunitensi di lasciare l’Ucraina perché «non sarebbe in grado di proteggerli dall’attacco russo». Lo stesso ha fatto la Farnesina.

Il Pentagono sta ritirando dall’Ucraina 160 istruttori militari, che hanno addestrato le forze di Kiev. Restano però consiglieri e istruttori militari appartenenti alle Forze Speciali Usa e Nato, che hanno di fatto la direzione dell’Esercito e della Guardia nazionale di Kiev. In prima fila il battaglione neonazista Azov, già distintosi per la sua ferocia contro le popolazioni russe del Donbass, promosso per i suoi meriti a reggimento meccanizzato di forze speciali, armato e addestrato dalla Nato.

Ha la stessa insegna della Divisione Panzer SS Das Reich, una delle 200 divisioni hitleriane che nel 1941 invasero l’Unione Sovietica. Furono sconfitte, ma il prezzo pagato dall’Unione Sovietica fu altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione (in rapporto allo 0,3% degli Usa in tutta la Seconda guerra mondiale); circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70 mila piccoli villaggi, 30 mila fabbriche distrutti. Tutto questo viene pericolosamente dimenticato, mentre la Russia continua a ripetere, parlando al vento, che non intende attaccare l’Ucraina e denuncia la crescente concentrazione di truppe di Kiev di fronte all’area del Donbass abitata dalle popolazioni russe.

Qui Kiev ha schierato oltre 150 mila soldati. Sono dotati di veicoli lanciarazzi Grad, ciascuno capace di lanciare fino a 40 km, in una salva di 20 secondi, 40 razzi da 122 mm con testate ad alto esplosivo che, deflagrando, investono una vasta area con migliaia di taglienti frammenti metallici o piccole bombe a scoppio ritardato. Un attacco su vasta scala con armi di questo tipo, contro gli abitanti russi delle regioni di Donetsk e Lugansk, provocherebbe una strage e non potrebbe essere arrestato dalle forze locali costituite da circa 35 mila uomini.

La guerra potrebbe esplodere con una operazione false flag. Mosca denuncia la presenza in Donbass di mercenari Usa con armi chimiche. La miccia potrebbe essere una provocazione, tipo un attacco a un abitato ucraino, attribuito ai russi del Donbass che verrebbero attaccati dalle soverchianti forze di Kiev. La Federazione russa ha avvertito che, in tale situazione, non resterebbe a guardare, ma interverrebbe a difesa dei russi del Donbass, distruggendo le forze attaccanti.

Esploderebbe così, nel cuore d’Europa, una guerra a tutto vantaggio degli Usa che, attraverso la Nato a cui appartengono 21 dei 27 paesi Ue, e con la collaborazione della stessa Unione Europea, riportano l’Europa a una situazione simile, ma più pericolosa, di quella della guerra fredda, rafforzando l’influenza e la presenza statunitensi nella regione europea.

 

fonte: voltairenet.org

Da alcuni mesi i dirigenti dell’Alleanza Atlantica denunciano che la Russia si sta preparando a invadere l’Ucraina. Mosca però respinge totalmente le accuse, giustificando senza difficoltà i movimenti di truppe. Il Consiglio di Sicurezza russo ha infine chiarito pubblicamente la propria posizione: ha pubblicato una proposta di trattato di pace che soddisferebbe chiunque fosse dotato di buon senso. Washington però tace perché la proposta russa mette in evidenza la sua ambivalenza.

La Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America, il 15 dicembre, il progetto di un Trattato e di un Accordo per disinnescare la crescente tensione tra le due parti. I due documenti sono stati resi pubblici, il 17 dicembre, dal Ministero degli Esteri russo. La bozza di trattato prevede, all’Art. 1, che ciascuna delle due parti «non intraprenda azioni che incidono sulla sicurezza dell’altra parte» e, all’Art.2, che «si adoperi per garantire che tutte le organizzazioni internazionali e alleanze militari a cui partecipa aderiscano ai principi della Carta delle Nazioni Unite».

Nuove armi si stanno aggiungendo all’arsenale delle politiche economiche e finanziarie dell’Occidente. Per comprenderne la natura e portata, occorre partire da quelle sinora usate: le sanzioni - compresa quella più pesante, l’embargo - attuate soprattutto da Stati uniti e Unione europea contro interi Stati, società e persone.

Fondamentale è comprendere il criterio con cui vengono decise: Usa e Ue decretano a loro insindacabile giudizio che uno Stato o altro soggetto ha commesso una violazione, stabiliscono la sanzione o l’embargo totale, e pretendono che gli Stati terzi lo rispettino, pena ritorsioni.

Nel 1960 gli Stati uniti imposero l’embargo a Cuba che, liberatasi, aveva violato il loro «diritto» a usare l’isola come proprio possedimento: il nuovo governo nazionalizzò le proprietà delle banche e multinazionali Usa che controllavano l’economia cubana.

Oggi, 61 anni dopo, l’embargo continua, mentre le compagnie Usa richiedono rimborsi per miliardi di dollari. Nel 2011, in preparazione della guerra Usa-Nato contro la Libia, le banche statunitensi ed europee hanno sequestrato 150 miliardi di dollari di fondi sovrani investiti all’estero dallo Stato libico, di cui successivamente è sparita la maggior parte.

Nella grande rapina si è distinta la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense, di cui Mario Draghi è stato vicepresidente. Nel 2017, in seguito a nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, sono stati «congelati» dagli Usa beni per 7 miliardi di dollari e sequestrate 31 tonnellate d’oro depositate dallo Stato venezuelano presso la Banca d’Inghilterra e la tedesca Deutsche Bank.

Su questo sfondo si colloca la nuova, colossale operazione finanziaria lanciata dalla Goldman Sachs, la Deutsche Bank e le altre grandi banche statunitensi ed europee. Apparentemente speculare a quella delle sanzioni, essa prevede non restrizioni economiche o sequestro di fondi per punire i paesi giudicati colpevoli di violazioni, ma la concessione di finanziamenti a governi e altri soggetti virtuosi che si attengono all’«Indice ESG: Ambiente, Società, Governance».

Scopo ufficiale dell’Indice ESG è stabilire le norme per evitare l’imminente catastrofe climatica annunciata dalla Conferenza di Glasgow, per difendere i diritti umani calpestati dai regimi totalitari, per assicurare il buon governo sul modello delle grandi democrazie occidentali. A fissare tali norme sono soprattutto il Dipartimento di stato Usa, il World Economic Forum, la Rockfeller Foundation, la Banca Mondiale, affiancati con ruolo subalterno da alcune organizzazioni Onu. La massima garanzia per i diritti umani è rappresentata dal Dipartimento di stato Usa, il cui embargo all’Iraq con l’avallo Onu provocò, nel 1990-2003, un milione e mezzo di morti tra cui mezzo milione di bambini.

L’operazione finanziaria si concentra sul cambiamento climatico: la Conferenza Onu di Glasgow ha annunciato, il 3 novembre, che «la Finanza diventa verde e resiliente». Nasce la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, cui hanno aderito da aprile 450 banche e multinazionali di 45 paesi, la quale si impegna a «investire nei prossimi tre decenni oltre 130 trilioni (130 mila miliardi) di dollari di capitale privato per trasformare l’economia fino a zero emissioni nel 2050». I capitali vengono raccolti attraverso l’emissione di Green Bond (obbligazioni verdi) e investimenti effettuati da fondi comuni e fondi pensione, in gran parte con i soldi di piccoli risparmiatori che rischiano di ritrovarsi in una ennesima bolla speculativa.

Ormai non c’è banca o multinazionale che non si impegni a realizzare le zero emissioni entro il 2050 e ad aiutare in tal senso i «paesi poveri», dove oltre 2 miliardi di abitanti usano ancora la legna quale unico o principale combustibile. Solennemente impegnata per le zero emissioni è anche la compagnia petrolifera anglo-olandese Royal Dutch Shell che, dopo aver provocato un disastro ambientale e sanitario nel delta del Niger, si rifiuta di bonificare le terre inquinate.

Così, in attesa delle zero emissioni, gli abitanti continuano a morire per l’acqua inquinata dagli idrocarburi della Shell.

 

fonte: voltairenet.org

Nell’immaginario universale Facebook è considerato un social network responsabile, che permette a tutti di connettersi in modo riservato, ma al tempo stesso censura i messaggi che contravvengono alle leggi locali. È tutt’altro: Facebook raccoglie informazioni su di voi per conto dell’NSA, censura le vostre opinioni e batte moneta. In pochi mesi questa società è diventata uno dei protagonisti più influenti della politica mondiale.

A volte, parlando con amici che sono sopravvissuti agli anni bui del terrorismo di stato in Sud America, ci siamo chiesti come fosse possibile, o come fosse possibile, che alcune persone potessero voltarsi e unirsi ai postulati dei carnefici. È una storia che si ripete, che è accaduta dopo la seconda guerra e che è molto ben documentata nel libro "The CIA and the Cultural Cold War" di Frances Stonor Saunders. La domanda è: si sono trasformati davvero o sono sempre stati "intellettuali" - agenti - della classe dominante?

È quasi banale dire che c'è chi muore con una visione chiara e ampia come il Che e tanti altri, e c'è chi muore senza vedere o voler vedere, perché ha smesso di essere umano, si è venduto, si è rotto, si è perso. E hanno perso se stessi "per una manciata di dollari", negando ciò che è essenziale per gli esseri umani, cioè la loro capacità di amare e di pensare, sentire e immaginare un mondo nuovo. È difficile capire queste persone ed è anche difficile spiegarle a causa del potente signore che è il denaro. Hanno svilito, pervertito tutto in loro: alcuni le loro parole, altri le loro posizioni, le loro pose. Sono quelli della barzelletta di Groucho Marx, quando diceva: "guarda, io ho questi principi, ma se non ti piacciono, ne ho altri".

In questo momento di decadenza occidentale, di barbarie programmata e di violenza bestiale contro tutto ciò che non accetta il sistema "democratico" capitalista, vediamo come appaiono i Caino, i "ben pagati", come direbbe Miguel de Molina, per fare discorsi insulsi contro il proprio popolo e per invocare spudoratamente il crimine: chiedono l'intervento militare degli Stati Uniti e dell'Europa per la propria terra, in nome - ovviamente - della "democrazia".

È successo a Cuba in luglio, e uno di questi Caino si è aggiudicato un posto in un programma di cucina di celebrità della televisione spagnola, in un paese dove, secondo la stampa ufficiale, più di un milione e mezzo di persone sono nelle "code della fame", che è il modo leggero di nominare i diseredati dal meraviglioso sistema capitalista promosso dai vari Caino mentre continuano a ricevere denaro e a fare affari, cercando di rosicchiare il tronco di una rivoluzione socialista che ha ampiamente dimostrato cosa significa l'antimperialismo e la solidarietà internazionalista. È già successo in Venezuela, con i tentativi di colpo di stato, i tentativi di assassinio, le guarimbas e la farsa di Guaidó, riconosciuta da diversi governi europei che non si sono ancora scusati. È successo con il colpo di stato in Bolivia, che il popolo boliviano è stato in grado di ribaltare rapidamente, e naturalmente sta succedendo ora con il Nicaragua.

La campagna mediatica è incessante e quotidiana, la propaganda contro il Nicaragua abbonda, adempiendo al vecchio copione necessario per demonizzare il governo sandinista, perché il 7 novembre si terranno le elezioni generali e tutto fa pensare che il sandinismo avrà ancora una volta una vittoria schiacciante. La sceneggiatura e le voci che si levano per sminuire le conquiste popolari e i progressi sociali sono così classiche che si pensa che lo sceneggiatore abbia esaurito le risorse narrative dopo averle usate così tanto e con così cattivi risultati.

Niente di nuovo sotto il sole, ma almeno potrebbero cambiare alcune scene per migliorare la sceneggiatura. Attaccare i processi rivoluzionari e qualsiasi alternativa veramente democratica (necessariamente socialista o sulla strada del socialismo) è ed è stato il modo di difendere la "democrazia rappresentativa" occidentale, sì, quella che bombarda e saccheggia, quella della NATO, quella che invade, compra e distrugge interi paesi mentre sostiene la solida "democrazia" israeliana che non smette di uccidere i palestinesi, quella che compete per l'obbedienza ai signori della guerra e alle banche, quella che accumula la corruzione necessaria alla legge del mercato, quella che compra i corpi e la vergogna, come dicono gli zapatisti, quella che conosciamo bene, quella che non parla di diritti sociali ma di esigenze di mercato. E il mercato è per loro legge e Dio.

E nella difesa di questa "democrazia" svuotata di organizzazione e contenuti veramente democratici, con il suo vecchio copione tarlato, Sergio Ramirez e Gioconda Belli appaiono con virulenza contro il Nicaragua e le sue conquiste sociali, come molti altri prima di loro, ognuno con il proprio ruolo nel coro di disincanto e virulenza anticomunista condito dalla parola chiave "Stalin" e "totalitarismo", Ogni attore a suo tempo e con il suo stile, da Vargas Llosa, Volpi, Krauze, Pérez Reverte, a tanti altri che parlano e parlano senza sapere in cosa, come e in che direzione è avanzato il Nicaragua nonostante i dolori, la guerra permanente e i suoi sclerotici propagandisti.

Bisogna conoscere almeno un po' di storia e sapere che gli Stati Uniti sono intervenuti per più di cento anni nelle elezioni e nella politica interna del Nicaragua, che hanno erogato enormi somme di denaro e sostegno alle dittature prima dell'arrivo del Sandinismo al governo, che hanno bloccato e promosso la guerra per impedire ciò che esiste oggi: un paese sovrano che dovrebbe essere rispettato come tale.

Nel caso di Ramírez, la svolta è totale. Ha svilito, pervertito, in questo caso le sue parole, le sue posizioni, la sua non-visione delle cose e una delle sue risorse più trite è il vittimismo - secondo il copione stabilito. Appare a giorni alterni nei media per parlare male del governo nicaraguense, per fare la vittima.

In questo copione tristemente falso e in un Occidente che arretra ogni giorno, il Nicaragua è un cattivo esempio perché è riuscito ad andare avanti nonostante le difficoltà che gli sono state imposte: costruzione di 21 ospedali e altri in corso, un enorme movimento associativo di democrazia protagonista che lotta per sconfiggere la povertà ereditata (50% del PIL), una ripresa economica del 5,6%, istruzione e sanità gratuite, costruzione di carri, alloggi decenti, parità di diritti e partecipazione delle donne, sicurezza dei cittadini, quasi l'80% di energie rinnovabili e copertura di più del 99,2% della popolazione.... l'elenco è molto più lungo e naturalmente interessa il popolo e non i settori "intellettuali" che recitano il copione balbuziente delle grandi corporazioni dell'impero.

E gli imperi "democratici", USA e UE, sanno perfettamente che non tutto si risolve con i marines e con interventi o colpi di stato, con agenti segreti, spie, finanzieri e direttori di multinazionali, ma anche con altri tipi di armi, chiamiamole culturali e ideologiche, utilizzando sceneggiatori, registi, giornalisti, riviste letterarie, accademici, fumettisti e scrittori che difendono in modo sottile, spudorato o perverso il "modo di vivere" del "capitalismo democratico" come se questo fosse possibile e non quello che Soros chiamava - fedele al suo maestro K. Popper - la società aperta, cioè il "capitalismo democratico". Cioè il neoliberismo e l'espropriazione delle maggioranze.

Persone come i Ramírez, nel caso dell'America Centrale, sono oggi i portavoce delle nuove forme di penetrazione fisica e simbolica a favore dell'impero e a scapito dei movimenti di liberazione e contro i popoli sovrani, come nel caso del Nicaragua, Venezuela, Cuba, Bolivia e Perù. Sono l'ariete di una nuova e particolare guerra fredda culturale in America Latina, anche se non nel senso di un conflitto di blocco, ma nel senso dell'uso della proiezione culturale esterna a scapito dei propri popoli. Sono, in senso stretto, traditori, rinnegati della loro stessa società. Essi praticano la cultura dell'attaccamento al colonialismo più crudo e distruttivo, come sottolineava anni fa Franz Fanon in "I dannati della terra" o in "Pelle nera, maschere bianche".

Da qui le loro dichiarazioni di lode all'Europa o agli Stati Uniti, dove ottengono i loro finanziamenti, le telecamere, i premi cooptati e la loro denigrazione dell'America Latina e della loro cultura di lotta ed emancipazione. La stessa Jean Franco dice che una delle esche che l'imperialismo ha usato per comprare gente come questa è la promessa che saranno riconosciuti nella cosiddetta "cultura universale", con le gravi conseguenze di usare l'arte e la letteratura al servizio dell'egemonismo occidentale e vilipendere così le culture nazionali o regionali. Per parafrasare Hugo Chávez: questa gente vende l'anima al diavolo.

Queste persone, attraverso ciò che scrivono o dichiarano, diventano "portatori del sogno americano", amplificati da associazioni, ONG, media, piattaforme, che sono anche cruciali nell'esportazione dell'American Way of Life e della cultura imperiale.

Le armi non convenzionali - culturali e ideologiche - sono state sviluppate durante decenni per utilizzare questi soggetti per attaccare insidiosamente il processo di trasformazione del Nicaragua che ha raggiunto importanti guadagni strutturali sociali, economici, culturali e politici.

Il triste ruolo che svolgono è quello di personificare il "volto morbido" dell'impero nella sua lotta contro i movimenti rivoluzionari in America Latina, e allo stesso tempo sono il punto di intersezione cruciale tra il campo della pirateria intellettuale e il campo politico, per parafrasare Pierre Bourdieu.

Nel caso di Sergio Ramírez o di Belli, nella loro smania di ¿protagonismo e di attaccare il sandinismo, sono caduti nella più abietta di quella che Jean Franco chiama la decadenza della città letterata latinoamericana. Nei loro testi o discorsi possiamo misurare la contaminazione, la distorsione e lo svilimento in questa fase più decadente della politica e della cultura imperiale: suonano come Caines in coro per cercare di screditare i governi progressisti.

Per quanto vogliano spacciarsi per autonomisti, come nel caso di Borges all'epoca, per esempio, non sono altro che ingranaggi del circuito imperiale/capitalista che finanzia, promuove attraverso varie forme di discorsi culturali "universalizzanti", il cui scopo è cercare di neutralizzare la crescente influenza della sinistra, del progressismo e dei nazionalismi latinoamericani.

Tuttavia, i fatti reali mostrano che dietro le maschere con cui questi signori fingono di rivestirsi, non sono altro che strumenti inflazionati per attaccare senza successo i processi popolari in America Latina, che sono profondamente radicati tra i loro popoli. Questo è il caso del Nicaragua, per cui la retorica logora e le falsità dei fratelli Ramírez e Belli non hanno più trazione delle piattaforme della stampa aziendale e a pagamento.

 

fonte: Canal 4


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