I piani della leadership ucraina di trasportare grano attraverso il Mar Nero senza la partecipazione della Russia, secondo molti esperti, sono destinati a fallire. Ciononostante, i produttori agricoli nel resto del mondo finiranno per ricavare benefici dalla sospensione dell’accordo sul grano del Mar Nero.

Il regime di Kiev sta facendo pressioni affinché le esportazioni di grano continuino dopo che Mosca ha annunciato di aver sospeso la cosiddetta “Iniziativa per i cereali del Mar Nero”, scaduta dopo che l’Occidente non ha attuato la sua parte dell’accordo riguardante i prodotti agricoli russi.

Le sanzioni senza precedenti imposte alla Russia in seguito all’operazione militare speciale in Ucraina hanno finora ostacolato la capacità di Mosca di vendere cereali e fertilizzanti sui mercati internazionali nel pieno della crisi alimentare. La Russia ha fatto sapere di essere pronta a tornare nell'accordo una volta che l’Occidente avrà rispettato i propri obblighi, come previsto dall’intesa mediata nel luglio 2022 da Turchia e Nazioni Unite.

Trasportatori e assicuratori si prendono una pausa

Nel frattempo, trasportatori e assicuratori internazionali hanno accolto con scetticismo le richieste dell’Ucraina di ignorare la sospensione dell’accordo da parte della Russia. La cancellazione del patto significa che Mosca non garantirà più il passaggio sicuro attraverso il Mar Nero. Di conseguenza, alcuni broker assicurativi hanno già interrotto i loro piani per le esportazioni di grano dall’Ucraina. Da parte sua, Washington ha escluso di poter garantire una scorta alle navi ucraine.

"Dalla conclusione dell’accordo, non si sono viste nuove mosse. Gli spedizionieri non sono ancora pronti a trasportare grano ucraino", ha affermato Alexander Dudchak, politologo e ricercatore presso l’Istituto dei paesi della CSI. "[L’Ucraina] potrà fare tutte le pressioni possibili, ma i trasportatori hanno interessi pragmatici (...) Il capitale privato ha i propri interessi e gli spedizionieri richiedono un risarcimento per iniziative che possono danneggiarli".

Secondo Dudchak, gli esportatori di grano ucraino, così come gli intermediari, rischiano di perdere parte dei loro profitti. Tuttavia, nessuno vieta loro di esportare prodotti alimentari ucraini via terra, attraverso l’Unione Europea.

Lo stesso analista russo ha notato, tuttavia, che gli stati dell’Europa orientale e centrale si oppongono a questa opzione, dato che in precedenza un’enorme quantità di grano ucraino era bloccato nei loro territori invece di essere reindirizzato verso i paesi bisognosi del Sud del mondo. Di conseguenza, i produttori agricoli in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria hanno registrato perdite a causa dell’eccesso di grano ucraino a basso prezzo immesso sul mercato europeo.

Ad aprile, questo gruppo di paesi dell’Europa centrale e orientale ha introdotto divieti sui prodotti alimentari ucraini, spingendo la Commissione europea (CE) ad agire e vietare temporaneamente la vendita di grano, mais, semi di colza e semi di girasole ucraini in Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia fino al 5 giugno. Il divieto è stato successivamente prorogato fino al 15 settembre. Attualmente, le cinque nazioni stanno sollecitando la CE per estendere il divieto sulle importazioni di prodotti agricoli ucraini oltre il 15 settembre.

Inoltre, la capacità di carico dei trasportatori via terra è notevolmente inferiore rispetto a quelli che operano sulle rotte marittime, ha osservato Arkady Zlochevsky, presidente dell’Unione russa del grano.

"La rotta terrestre (...) ha raggiunto la capacità di 52.500 tonnellate al giorno e ha mantenuto questo livello", sostiene Zlochevsky. "Il dato riguarda le spedizioni ucraine via terra registrate durante il periodo coperto dall’accordo sul grano. E, in parallelo, l’Ucraina ha potuto esportare anche via mare. In definitiva, il volume delle rotte via terra è stato di 18 milioni di tonnellate. Per fare un confronto, 33 milioni di tonnellate sono state invece spedite via mare grazie all’accordo. Tuttavia, il volume [del trasporto terrestre] è sceso da 52.500 tonnellate [al giorno] a 22.500 tonnellate a causa del fatto che l’Europa ha chiuso il mercato interno ai prodotti ucraini".

I porti bulgari e rumeni non sono una panacea

Le autorità ucraine stanno prendendo in considerazione una nuova rotta per il trasporto del grano, attraverso cioè le acque territoriali di Bulgaria e Romania nel quadro di un’iniziativa trilaterale con le Nazioni Unite e la Turchia, ha dichiarato all’inizio di questa settimana l’ambasciatore ucraino ad Ankara Vasily Bodnar.

"Da parte nostra abbiamo creato un fondo di garanzia e siamo in grado di attrarre compagnie che forniscono navi per il trasporto del grano. Dal nostro punto di vista, ciò può essere attuato anche senza utilizzare la rotta precedentemente concordata, ma attraverso le acque territoriali della Romania e della Bulgaria", ha detto Bondar ai giornalisti.

In precedenza, il capo della società agricola ucraina HarvEast Holding, Dmitry Skornyakov, aveva affermato che l’obiettivo di Kiev è ottenere il consenso da Ankara per continuare l’affare del grano senza Mosca. Skornyakov ha inoltre suggerito che la marina turca potrebbe garantire la sicurezza delle carovane di grano ucraine. Tuttavia, sarebbe una mossa molto rischiosa per la Turchia ed è probabile che Ankara finisca per rifiutare, ha scritto martedì l’agenzia di stampa Bloomberg, citando un funzionario a conoscenza della questione.

"Se [Kiev] spedirà [il suo grano] attraverso le acque territoriali [della Bulgaria e della Romania], ma partendo dai porti ucraini, ciò risulterebbe problematico", ha detto Dudchak. "Perché le compagnie di assicurazioni si sono già rifiutate di garantire tali merci. Come farebbe l’Ucraina a portare [il proprio grano] nelle acque territoriali [di Bulgaria e Romania]? Si pone la questione se [gli ucraini] lo [trasporterebbero] via terra o proverebbero a inviare navi dai loro porti. Le forze aerospaziali russe hanno infatti già colpito le infrastrutture portuali impedendo che questo scenario si verificasse".

L’Ucraina ha bisogno di una rotta marittima per il contrabbando di armi

Gli ucraini stanno spingendo per continuare l’affare del grano non solo perché vogliono trarre profitto dalle vendite di prodotti agricoli. La verità è che il regime di Kiev ha utilizzato il corridoio marittimo anche per consegnare armi all’Ucraina con il pretesto dell’accordo sul grano e per coprire gli attacchi alla penisola di Crimea, secondo Dudchak.

"Ci sono stati casi descritti dalla stampa (...) in cui alcune sostanze radioattive sono state consegnate ai porti ucraini che partecipavano all’affare del grano. Naturalmente, è molto difficile per [il regime di Kiev] perdere un tale canale per la fornitura di armi, mentre per questa stessa ragione la Russia non intende astenersi dal colpire i porti ucraini", ha spiegato il politologo. Inoltre, lo stesso regime di Kiev ha messo a rischio la sicurezza del Mar Nero rilasciando un numero considerevole di mine navali nelle sue acque, ha aggiunto Dudchak.

Il “dumping” ucraino si è ritorto contro i produttori europei

La sospensione dell’accordo – anche se il regime di Kiev dovesse continuare a trasportare il proprio grano attraverso rotte alternative – gioverebbe ai produttori agricoli, secondo Zlochevsky.

"Questo accordo è stato dannoso per molti partecipanti al processo", ha detto Zlochevsky. "Le conseguenze dannose sono state causate dallo sconto generato dal dumping ucraino [del prezzo del grano]. I produttori russi di grano sono stati costretti ad applicare lo stesso sconto, poiché non potevano vendere [le loro materie prime] a prezzi più alti di quelli ucraini nel momento in cui è iniziato l’affare. Ad esempio, la Turchia ha interrotto completamente le forniture russe, passando a quelle ucraine. Gli agricoltori russi sono stati dunque obbligati a ridurre i prezzi al livello ucraino. Lo sconto all’inizio era di 30 dollari a tonnellata rispetto ai prezzi [del grano] francesi. Ora lo sconto oscilla invece tra i 10 e i 20 dollari".

L’Ucraina è stata in grado di applicare un tale sconto perché la Russia ha creato e mantenuto un corridoio sicuro nel Mar Nero come parte dell’accordo sul grano, ha spiegato Zlochevsky. Di conseguenza, il costo dell’assicurazione per le spedizioni ucraine è diventato molto basso. Gli ucraini avevano merci a buon mercato con la garanzia di un passaggio senza ostacoli delle loro navi durante il conflitto. In generale, secondo l’esperto, tutti questi fattori hanno portato l’Ucraina a vendere un’enorme quantità dei suoi alimenti a prezzi estremamente bassi, sbilanciando il mercato dei cereali. Zlochevsky ha aggiunto che i produttori dell’Europa centrale e orientale hanno sofferto molto per la follia del “dumping” ucraino.

Dopo la sospensione dell’affare, sono tornati i rischi per la sicurezza, costringendo assicuratori e trasportatori ad alzare i costi delle spedizioni ucraine. Secondo il presidente dell’Unione russa del grano, ciò determinerà un aumento dei prezzi del grano ucraino, almeno a un livello ragionevole dal punto di vista del mercato.

È tempo che l’Occidente aiuti il ​​Sud del mondo

Gli Stati Uniti e l’UE hanno già criticato la Russia per avere sospeso l’accordo sui cereali, citando i problemi alimentari del Sud del mondo. Gli esperti sentiti da Sputnik hanno però evidenziato l’ipocrisia dell’Occidente, dato che i paesi poveri e in via di sviluppo ricevevano solo una minuscola parte delle esportazioni marittime di grano dell’Ucraina.

"Alla fine, l’Ucraina non è l’unico ciottolo sulla spiaggia ", ha detto Dudchak. "Se qualcuno nutre qualche preoccupazione per i paesi più poveri, gli Stati Uniti, il Canada e altri paesi [occidentali] possono partecipare al programma e inviare il loro grano. La produzione di grano non si esaurisce in Ucraina. Sebbene questo sia notoriamente un importante paese esportatore, esso non è di certo l’unico."

Il grano russo può sostituire le forniture dell’Ucraina

Dudchak ha sottolineato che la Russia è pronta a intervenire e a colmare il divario, alla luce del raccolto record fatto segnare nel 2022. Nonostante l’Occidente abbia interrotto artificialmente il flusso dei prodotti agricoli russi, Mosca è riuscita finora a inviare notevoli volumi di grano ai paesi in via di sviluppo: in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina.

La Russia è pronta a continuare a fornire il proprio grano ai mercati mondiali, sostituendo il grano ucraino, ha dichiarato mercoledì il presidente russo Vladimir Putin.

"Voglio assicurare che il nostro Paese è in grado di sostituire il grano ucraino sia su base commerciale che gratuita. Inoltre, quest’anno, come ha riferito il ministro, ci aspettiamo ancora una volta un raccolto record", ha detto Putin durante un incontro con il governo.

Putin ha osservato come l’Ucraina abbia prodotto circa 55 milioni di tonnellate di grano nell’ultimo anno agricolo, con esportazioni pari a 47 milioni di tonnellate. Per contro, la Russia ha raccolto 156 milioni di tonnellate di grano l’anno scorso, esportandone ben 60 milioni.

 

Fonte: Sputnik

Il prossimo vertice della NATO, in programma a Vilnius i prossimi 11 e 12 luglio, sembra essere già stato contagiato da uno strano fatalismo politico.

La speranza di una svolta politica a Vilnius, in Lituania, verso la pace in Ucraina, guidata da quanti sono logorati dalla guerra in Europa orientale, sembra essere già svanita.

Il Marocco ha annullato un vertice chiave nel quadro del processo di normalizzazione dei rapporti con Io stato ebraico a seguito dell'annuncio israeliano di espandere gli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati. Si tratta dell'ultima battuta d'arresto per i cosiddetti Accordi di Abramo, lanciati da Trump nel 2020, nonostante gli sforzi per promuoverli ed espanderli da parte degli Stati Uniti.

Gli Accordi di Abramo completeranno durante l’estate il loro terzo anno di vita. L'accordo tra uno stato di apartheid e alcune delle dittature più autocratiche del mondo era inizialmente basato su preoccupazioni condivise riguardo alla sicurezza, in particolare per quanto riguarda l'Iran, ma da qualche tempo è in corso un tentativo di spostarne l’asse sul piano economico. I risultati in questo ambito appaiono però contraddittori.

Per gli Stati Uniti e ancora di più per Israele, gli Accordi sono stati un modo per promuovere i propri interessi in Medio Oriente senza dovere affrontare la questione dei diritti del popolo palestinese. Anche questo esperimento si sta rivelando molto più difficile di quanto si aspettassero Donald Trump e Joe Biden, che erano e sono ugualmente entusiasti degli Accordi e della possibilità di calpestare impunemente i diritti dei palestinesi.

Martedì, il Marocco ha così annunciato l'annullamento della riunione del cosiddetto Forum del Negev, l'arena negoziale chiave per Stati Uniti, Israele e gli stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele, ad eccezione della Giordania, in risposta all'annuncio israeliano di accelerare ed espandere la costruzione di insediamenti. L’evento era già stato rinviato in precedenza a causa delle provocazioni israeliane. La decisione di Rabat rappresenta anche il più recente segnale di difficoltà per gli Accordi di Abramo, anche se gli Stati Uniti continuano ad affannarsi per rinvigorirli e consolidarli.

Biden sta lavorando con i membri del Congresso americano di entrambi i partiti per cercare di dare vita a questi accordi moribondi. L'espansione di essi fino ad includere l'Arabia Saudita sarebbe il risultato più ambito sia per Biden sia per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Tuttavia, il valore di un simile accordo, di per sé, è per l'Arabia Saudita molto inferiore rispetto ai vantaggi che comporterebbe per Israele e Stati Uniti. Quindi, i reali sauditi hanno fissato un prezzo molto salato per la loro potenziale partecipazione.

Biden ha proposto, con l’approvazione della Camera dei Rappresentanti di Washington, la nomina di un inviato a livello di ambasciatore come rappresentante speciale per gli Accordi di Abramo. A essere stato scelto per questo ruolo è l'ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Dan Shapiro. La rinnovata spinta per espandere gli Accordi e il probabile contributo di Shapiro potrebbero aiutare gli Stati Uniti a trovare un modo per ottenere il consenso all’adesione dell'Arabia Saudita o, se l’obiettivo massimo non dovesse essere raggiunto, quanto meno per espandere gli Accordi ad altri paesi africani. Ciò significherebbe poco per gli interessi militari o economici di Israele, ma avrebbe maggior peso dal punto di vista politico e gli Stati Uniti vedrebbero il risultato come un modo per arginare la crescente influenza di Cina e Russia in Africa.

Questa settimana anche il Congresso USA si è mosso in soccorso degli Accordi, avanzando un disegno di legge che istituirebbe uffici della Food and Drug Administration (FDA) nei paesi che hanno aderito agli Accordi. Si tratta in effetti di un'altra mossa intesa a contrastare la Cina, riducendo potenzialmente la dipendenza degli Stati Uniti da Pechino come “hub” di approvvigionamento per i prodotti farmaceutici.

La scorsa settimana, gli Emirati Arabi Uniti e Israele hanno concluso due accordi per la cooperazione nei settori della tecnologia e della salute, nel quadro del clima creato dagli Accordi di Abramo che ha fatto salire, per i primi mesi del 2023, a quasi un miliardi di dollari il volume totale degli scambi commerciali bilaterali. E, naturalmente, Israele rivendica con orgoglio anche il record stabilito nel 2022 per le esportazioni di armi, grazie in parte proprio alle vendite negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Marocco, tutti firmatari degli Accordi.

Mentre alcuni stanno cercando di dipingere un quadro roseo per gli Accordi sulla base di questi sviluppi, dopo quasi tre anni essi non sono sbocciati come speravano i suoi architetti e propagandisti, sia a Washington sia a Tel Aviv. Il principio della paura su cui si basavano gli Accordi ha infatti iniziato a svanire rapidamente. L'impulso iniziale, dichiarato o meno, era quello di creare un'alleanza regionale che riunisse Israele e gli stati arabi del Golfo Persico per far fronte all'Iran.

Questa teoria è sempre stata errata. Sebbene ci sia stata a lungo una contesa tra ognuna delle monarchie arabe del Golfo e l'Iran, essa ha avuto diversi gradi di intensità nel corso del tempo e tra i diversi stati arabi. Alcuni, come il Qatar e l'Oman, intrattengono tradizionalmente buoni rapporti con l'Iran, anche se non mancano problemi seri. Altri, come l'Arabia Saudita e il Bahrein, avevano differenze di vedute più nette, ma non escludevano e, anzi, cercavano un modo per coesistere evitando che lo scontro potesse precipitare. L'Iraq, infine, appartiene a una categoria a parte per quanto riguarda la complessità dei rapporti con l'Iran.

Sia gli Stati Uniti sia soprattutto Israele hanno scelto al contrario una rotta totalmente conflittuale con la Repubblica Islamica, non vedendo né un percorso né incentivi particolari a individuare una via diplomatica per risolvere le divergenze. Il confronto militare e il cambio di regime costituiscono l’opzione preferita di Israele, così come della gran parte dei membri dei partiti Repubblicano e Democratico negli Stati Uniti.

Ma per gli stati arabi confinanti con l'Iran, la guerra è sempre stata uno scenario da incubo, una potenziale conflagrazione che si concluderebbe solo con perdenti e nessun vincitore, nonché con la distruzione della regione mediorientale. Con l'accordo tra Arabia Saudita e Iran, mediato da Iraq e Cina, è stata offerta una via migliore per il futuro. Gli Stati Uniti e Israele, al contrario, continuano a ingigantire la "minaccia" iraniana e a promuovere accordi commerciali “dal vertice alla base” come fondamento delle relazioni con i possibili candidati alla firma degli Accordi di Abramo.

Il governo di Israele è preoccupato perché sia il Bahrein che gli Emirati Arabi Uniti si stanno muovendo per rafforzare i rapporti con l'Iran. Le due monarchie del Golfo sono state le prime a normalizzare le relazioni con Israele nell'ambito degli Accordi di Abramo. Il terzo paese a farlo – il Sudan – ha sospeso il processo a causa dello scoppio del conflitto interno tuttora in corso, ma vale la pena ricordare che la sospensione è arrivata dopo mesi di riluttanza da parte dei sudanesi a finalizzare l'accordo a causa dell’opposizione della società civile.

La cancellazione da parte del Marocco del Forum del Negev è ora un ostacolo ancora più grave. L'evento era già stato rinviato più volte a causa delle preoccupazioni non solo a Rabat ma anche in molti degli stati arabi partecipanti per l'escalation dei crimini che Israele commette in Cisgiordania. L'ultimo assalto a Jenin, unito allo spudorato annuncio israeliano del via libera alla costruzione di migliaia di nuove unità abitative nei territori occupati, è stato alla fine troppo per il Marocco.

L’annuncio ha fatto seguito anche alla ferma condanna dell'Arabia Saudita dell'attacco israeliano a Jenin e altrove in Cisgiordania. Martedì il regno wahhabita ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna “... l'escalation israeliana nei territori palestinesi occupati, l'ultima delle quali è stata l'aggressione alla città di Jenin”. La dichiarazione proseguiva dichiarando che “Il Ministero (degli affari esteri) afferma il totale rifiuto da parte del Regno delle gravi violazioni commesse dalle forze di occupazione israeliane...”.

Queste parole non si addicono decisamente a un paese in procinto di firmare un accordo di normalizzazione con Israele. Piuttosto, esse ricordano da vicino gli avvertimenti rivolti dagli USA a Israele poco prima delle operazioni a Jenin. Gli Emirati Arabi Uniti, da parte loro, si sono detti anch’essi “imbarazzati da Israele” e il Marocco ha espresso la stessa opinione all’amministrazione Biden nei giorni scorsi, prima cioè della cancellazione della riunione del Forum del Negev.

L'assistente del segretario di Stato americano per gli affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf, che era in visita in Israele quando il governo di Netanyahu ha deciso di lanciare l'attacco a Jenin, aveva ribadito l'avvertimento dell'amministrazione Biden, secondo cui gli Stati Uniti stavano affrontando seri ostacoli nell'espansione degli accordi di Abramo a causa del comportamento di Israele. Netanyahu, tuttavia, ha proceduto con la più massiccia operazione a Jenin degli ultimi vent'anni. Il tutto mentre Barbara Leaf si trovava in Israele, trasformando l’operazione in un affronto diretto e deliberato al Dipartimento di Stato americano.

La debolezza e l’inettitudine dell'amministrazione Biden fanno in modo che Washington continuerà a sopportare gli insulti israeliani e a lavorare a beneficio dello stato ebraico nonostante tutto. Con buone ragioni, Israele crede di potere agire liberamente e la Casa Bianca si assicurerà comunque i risultati della normalizzazione tra Tel Aviv e il mondo arabo. Israele può avere ragione in merito agli Stati Uniti, ma il proprio comportamento ha già spento gran parte dell'entusiasmo degli stati arabi per la normalizzazione. Questi ultimi comprendono, a differenza di Stati Uniti e Israele, che i palestinesi non potranno essere ignorati.

di Mitchell Plitnick

Fonte: Mondoweiss

Il G7 di Hiroshima si è appena concluso con una serie di impegni ed enunciazioni largamente attesi. Le parole riservate alla Cina, tuttavia, sono sembrate, almeno da questo modestissimo osservatorio, assai poco ancorate con la realtà attuale, nonché con quella degli ultimi decenni.

Nel corposo documento di 40 pagine scopriamo che:

La Cina è accusata di “coercizione economica”. Invito i lettori a tenersi forti perché tale accusa viene mossa da 7 Paesi e da un’istituzione, l’UE, che figurano come i principali sanzionatori economici verso il resto del mondo. Un recente studio del Center for Economic and Policy Research ha rilevato che i soli Stati Uniti, attualmente, sanzionano il 29% dell’economia mondiale, percentuale indubbiamente destinata a salire se consideriamo anche gli altri membri del G7 che si adeguano a Washington. 

Mentre una sconfitta di Erdoğan nelle elezioni di domenica potrebbe riorientare la politica estera turca verso occidente e mettere a dura prova le relazioni tra Ankara e Mosca, i diffusissimi sentimenti anti-americani in Turchia rimarranno una sfida per l'opposizione.

Durante la cerimonia del 27 aprile scorso, che ha segnato la consegna del combustibile nucleare di fabbricazione russa alla nuova centrale nucleare di Akkuyu in Turchia meridionale, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il proprio sostegno all’omologo turco Recep Tayyip Erdoğan in vista delle prossime elezioni presidenziali del 14 maggio.

I due capi di Stato hanno partecipato all'evento in videoconferenza, durante la quale Putin ha consegnato a Erdoğan – chiamato ad affrontare l’elezione per lui più dura di sempre – questo generoso regalo pre-elettorale. Ma, nonostante l’insolita manifestazione pubblica di approvazione, Putin ha effettivamente molto da perdere se Erdoğan dovesse essere sconfitto?

Ritorno tra le braccia di Washington


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