Per la seconda volta quest’anno, la Repubblica Islamica ha mostrato la fragilità di Israele lanciando centinaia di missili sul territorio dello stato ebraico nella serata di martedì. L’attacco è la risposta all’assassinio di venerdì scorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Abbas Nilforoushan,nonché di quello dello scorso mese di luglio del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Questa operazione apre scenari imprevedibili in Medio Oriente, ma per il momento interrompe bruscamente l’ubriacatura sionista dopo i recenti atti di terrorismo in Libano e l’inizio dell’invasione di terra nel “paese dei cedri” che sembravano avere assestato un colpo quasi letale all’asse della resistenza.

 

Le immagini rimbalzate in rete della pioggia di missili iraniani su Tel Aviv e altre località israeliane sono state accolte con euforia nei territori occupati e tra le popolazioni di quasi tutti i paesi arabi. L’abbandono della prudenza da parte di Teheran ha nel contempo ridato fiducia ai nemici di Israele e prospettato ulteriori iniziative se dovessero esserci ritorsioni nei prossimi giorni. Le dichiarazioni ufficiali arrivate da Teheran parlano di un’offensiva autorizzata dal Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale con l’appoggio delle forze armate. In termini concreti, le resistenze della fazione moderata del presidente Pezeshkian sono state superate con una decisione cruciale presa verosimilmente dalla guida suprema, Ali Khamenei, e dai vertici dei Guardiani.

L’Iran ha avvertito che Israele verrà travolto da un’ondata distruttiva se intenderà reagire all’attacco di martedì. Il fallimento quasi completo della contraerea israeliana (Iron Dome) non promette nulla di buono per Tel Aviv, anche in considerazione della sostanziale inutilità dell’assistenza come sempre offerta dagli Stati Uniti. L’utilizzo, confermato anche dalla stampa americana, di missili balistici ha permesso all’Iran di colpire il cuore dello stato ebraico in una manciata di minuti. Basi militari e altri obiettivi sensibili sono stati con ogni probabilità colpiti, con le autorità iraniane che hanno affermato di avere distrutto, tra l’altro, una ventina di aerei da guerra F-35.

L’amministrazione Biden ha da parte sua nuovamente promesso supporto al regime di Netanyahu, ma gli equilibri in Medio Oriente continuano a spostarsi a sfavore di Washington e degli alleati sionisti. Per quanti dubitavano del sostegno iraniano alla resistenza libanese, l’operazione di oggi ha invece riconfermato l’unità del fronte anti-sionista. A conferma di ciò, anche le altre componenti dell’asse sono intervenute prontamente. Le milizie sciite irachene hanno ad esempio avvertito gli Stati Uniti che se la Repubblica Islamica verrà attaccata, le basi e gli interessi americani in Iraq saranno subito prese di mira in maniera massiccia.

Come previsto, Israele ha minacciato una dura risposta all’azione di Teheran, ma Netanyahu, dal suo bunker dove si è subito nascosto all’arrivo dei missili iraniani, si rende perfettamente conto del senso di insicurezza che pervade il paese. Prima dell’inizio dell’operazione iraniana ha avuto luogo una frenetica attività diplomatica che suggerisce più di una preoccupazione per il regime sionista. Quando il governo americano ha avvertito che un attacco missilistico da parte della Repubblica Islamica era imminente, Netanyahu ha cercato disperatamente di contattare telefonicamente il presidente russo Putin, con ogni probabilità per convincere l’Iran a desistere dall’operazione.

Dietro all’arroganza sionista c’è in sostanza la consapevolezza della fragilità di Israele, esposta alla minaccia iraniana e dell’intero asse della resistenza. Una minaccia che Netanyahu ha guardato oggi in faccia direttamente, con un attacco, a differenza di quello dello scorso aprile quasi interamente dimostrativo, lanciato con pochissimo preavviso e perciò in grado di causare danni significativi. In prospettiva, le potenzialità dell’Iran sono ancora maggiori e il messaggio più chiaro che esce da questa giornata potenzialmente storica è appunto della determinazione di tutto l’asse della resistenza a chiudere i conti in maniera definitiva con un’entità terroristica che opera al di fuori di ogni controllo e vincolo legale.

L’attacco di martedì non sarà in ogni caso il capitolo finale della guerra in corso in Medio Oriente. La logica sionista ultra-radicale di Nentanyahu e dei suoi invasati partner di governo contempla solo la violenza e lo scontro, ma gli equilibri nella regione sono in una fase di rapidi cambiamenti e, nonostante la lunga scia di assassinii e le continue stragi di civili di questi mesi e settimane, Israele potrebbe finire in una posizione strategica decisamente peggiore alla fine delle ostilità.

I fatti odierni ribadiscono infine e per l’ennesima volta l’inconsistenza di un’amministrazione Biden del tutto incapace di incidere su eventi così importanti in una regione dove gli Stati Uniti aspirano a mantenere la propria egemonia. La Casa Bianca e il dipartimento di Stato hanno lasciato mano libera a Netanyahu in Libano pur sapendo delle gravi conseguenze che ne sarebbero derivate. Allo stesso modo, nulla hanno voluto o potuto fare per abbassare le tensioni esplosive dell’ultima settimana, né hanno avuto la minima possibilità di influenzare le decisioni prese a Teheran.

Nell’immediato, è probabile comunque che Israele deciderà di adottare iniziative per dare un’impressione di forza ai propri nemici. Le forze armate hanno infatti già preannunciato operazioni e attacchi “in tutta la regione” nelle prossime ore. Tradotto: il regime sionista alle corde intende ricorrere a ciò in cui eccelle da quasi otto decenni, ovvero il massacro di civili arabi innocenti grazie alla protezione e alla totale impunità garantite dall’Occidente.

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