Il clamoroso attacco coordinato in Libano e in Siria con la manomissione di migliaia di cercapersone da parte dell’intelligence israeliana è l’ennesima dimostrazione di come lo stato ebraico abbia ormai intrapreso apertamente e con la complicità dell’Occidente la strada del terrorismo. Oltre a questo dato di fatto, la vicenda accaduta martedì e ripetutasi in maniera inquietante anche nella giornata di oggi, solleva alcune questioni cruciali in relazione alla crisi in Medio Oriente. La prima è la possibilità concreta di una guerra totale con Hezbollah, visto che l’escalation di questi mesi lungo il confine tra Israele e Libano sembra essere vicinissima al punto di rottura. Proprio l’operazione dei “pager” potrebbe essere il preludio a un attacco su larga scala da parte di un regime, come quello di Netanyahu, letteralmente sopraffatto dalle proprie contraddizioni.

La conclusione più logica è che il sabotaggio della partita di cercapersone utilizzati da membri del “Partito di Dio” abbia l’obiettivo di minare la rete di comunicazione usata appunto da Hezbollah. Il “pager”, in larga misura sparito dalla circolazione a livello globale, viene ancora ampiamente usato ad esempio in Libano per il vantaggio di non essere collegato a Internet, essendo fondamentalmente uno strumento radio. Nelle valutazioni di Israele, l’esplosione e la distruzione simultanea di migliaia di questi dispositivi potrebbe perciò complicare lo scambio di informazioni e la diramazione di ordini all’interno di Hezbollah, così da facilitare un’invasione militare o un attacco di vasta portata.

Saranno in questo senso cruciali anche i tempi di eventuali iniziative drastiche. Se questi sono effettivamente i piani di Israele, un’azione militare potrebbe arrivare prima sia che Hezbollah ripristini un sistema sicuro di comunicazione sia che attui una ritorsione contro lo stato ebraico, come ha prevedibilmente già minacciato poco dopo l’attacco di martedì. Nelle scorse ore, infatti, i comandi militari israeliani hanno ordinato lo spostamento della 98esima divisione dell’esercito verso il confine settentrionale in appoggio alle forze già stanziate in quest’area. Questo reparto include paracadutisti e forze d’assalto ed era fino a poco tempo fa di stanza nella striscia di Gaza per partecipare al genocidio palestinese.

Gli ultimi drammatici eventi in Medio Oriente seguono una serie di segnali che già prefiguravano l’esplosione di una guerra totale tra Israele e Hezbollah. Proprio il giorno prima dell’attentato terroristico dei cercapersone, il gabinetto di emergenza di Netanyahu aveva messo ufficialmente tra gli obiettivi della guerra la risoluzione della crisi al confine settentrionale, dove circa 100 mila coloni israeliani sono stati costretti ad abbandonare le loro abitazioni perché esposti al fuoco quotidiano di Hezbollah.

L’ennesima spudorata operazione terroristica israeliana ripropone anche la questione del ruolo degli Stati Uniti nella crisi. L’amministrazione Biden ha smentito categoricamente la partecipazione all’attacco o di esserne anche solo a conoscenza. Il giorno prima dei fatti, però, l’inviato della Casa Bianca nella regione, Amos Hochstein, aveva incontrato Netanyahu, con il quale, nella versione ufficiale, si era speso per cercare di abbassare le tensioni con Hezbollah, mettendolo in guardia dai rischi di una guerra aperta in Libano.

Poche ore più tardi è stato dato invece il via libera, da parte dello stesso Netanyahu, a un’azione con ogni probabilità preparata da mesi. A prima vista, la coincidenza dei due eventi conferma come Washington continui a non avere riscontri dalle pressioni esercitate sul regime sionista. Se così fosse, risulta ancora più sconcertante l’atteggiamento del governo americano, finora totalmente irremovibile sulla possibilità di congelare le forniture di armi a Israele per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza e stabilizzare la situazione in Medio Oriente.

L’altra ipotesi è invece che gli USA siano pienamente coinvolti in quest’ultima operazione terroristica come in tutte le iniziative criminali intraprese dallo stato ebraico dal 7 ottobre scorso. Il tempismo della visita di Hochstein in Israele può essere interpretato in questo senso e, perciò, è del tutto possibile che l’intelligence americana abbia fornito assistenza al Mossad nel sabotaggio dei cercapersone in possesso dei membri di Hezbollah. L’obiettivo israeliano di “cambiare gli equilibri di sicurezza” al confine settentrionale, ovvero di ricacciare indietro e indebolire drasticamente il partito-milizia sciita libanese, è d’altra parte condiviso in pieno da Washington, visto che avrebbe riflessi sul confronto con l’Iran per l’influenza nella regione. Da verificare, in caso di guerra, è tuttavia se l’esito determinerà un “cambiamento” a favore o a sfavore di Israele.

Mercoledì è circolata la notizia che il regime di Netanyahu avrebbe accelerato l’attuazione del piano perché esponenti di Hezbollah erano venuti a conoscenza di quanto predisposto da Israele. L’operazione era stata studiata per colpire la rete di comunicazioni di Hezbollah durante una guerra, ma è stata anticipata per non mandare a monte mesi di preparazioni e un sensibile investimento di risorse. Questa versione non ha però convinto parecchi commentatori, per via del fatto che, se effettivamente la trama del Mossad fosse stata scoperta, l’informazione sarebbe stata immediatamente comunicata ai vertici di Hezbollah e i dispositivi resi inoffensivi. Non sarebbe quindi chiaro il motivo di un’esitazione fatale nel prendere le dovute contromisure, né come Israele abbia avuto notizia della scoperta del piano, oltretutto in tempi così rapidi da potere agire e implementare ugualmente l’attacco.

Nel caso la tesi corrispondesse a realtà, in ogni caso, quanto accaduto risulta ancora più grave, dal momento che l’operazione non si inserisce in uno scenario di guerra aperta e, quindi, non ha prodotto i benefici pianificati. Per questa ragione, la natura terroristica dell’azione è ancora più evidente. Infatti, i cercapersone esplosi martedì in concomitanza con la notifica di un messaggio in contemporanea non erano in dotazione solo di affiliati a Hezbollah, ma in Libano vengono utilizzati anche da civili, come ad esempio operatori sanitari e addetti alle emergenze. Molte esplosioni sono poi avvenute in luoghi affollati, provocando la morte anche di una bambina di otto anni.

Il panico in Libano si è diffuso anche mercoledì, quando altri dispositivi hanno iniziato improvvisamente a esplodere. In quest’ultimo caso sono state le radio trasmittenti in dotazione di Hezbollah. Il bilancio provvisorio delle vittime è di quattordici, mentre migliaia sono i feriti, molti dei quali in maniera molto seria. Tra i morti c’è anche il figlio di un deputato di Hezbollah, mentre l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani, avrebbe perso un occhio nell’esplosione del suo “pager”.

Oltre alle implicazioni militari e strategiche legate agli scenari regionali, l’attacco in Libano e i particolari che sono emersi e che emergeranno suscitano a loro volta considerazioni tutt’altro che trascurabili. L’aspetto più importante ha a che fare con le modalità pratiche della manomissione dei cercapersone. Le immagini e le testimonianze relative alle moltissime esplosioni di questi dispositivi sembrano escludere una causa dovuta al solo surriscaldamento delle batterie al litio al loro interno, indotto da un’operazione di hackeraggio, soprattutto per il fatto che essi non hanno preso fuoco.

L’ipotesi più probabile è che i “pager” siano stati manomessi ad un certo punto della catena di fornitura, quando in ognuno di essi è stata inserita manualmente una carica esplosiva da fare poi detonare con un comando a distanza. Il modello in questione è prodotto dalla società Gold Apollo di Taiwan, i cui vertici hanno però affermato che la realizzazione era stata delegata alla società ungherese BAC. L’eventuale infiltrazione di uomini del Mossad in Europa risulterebbe più facilmente spiegabile, anche se qualcuno ha sostenuto che il carico di cercapersone sia stato fermo in dogana per mesi in un paese del Medio Oriente, dove era di fatto a disposizione dell’intelligence sionista.

Resta comunque difficile per ora stabilire quali danni Hezbollah potrebbe avere subito e in che misura l’operazione israeliana sia in grado di ridurre il potenziale offensivo del “Partito di Dio”. Oltre a eventuali imminenti iniziative militari israeliane, a dare un quadro più chiaro delle implicazioni dell’atto terroristico potrebbe essere anche il discorso pubblico previsto per la giornata di giovedì del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

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