di Bianca Cerri

Jack AbramoffUna notizia battuta da Associated Press il 24 marzo scorso aveva gettato su Jack Abramoff, che ieri è stato condannato a cinque anni di carcere per l'acquisto di una società specializzata in casinò galleggianti, la pesante ombra di mandante dell'omicidio dell'armatore greco Gus Boulis, ex proprietario della stessa. Che sul capo del lobbista americano si stessero addensando oscure nubi l'avevamo predetto con larghissimo anticipo, non grazie a particolari doti medianiche ma semplicemente perché l'idea di mostrarci riverenti nei confronti di taluni personaggi non ci preoccupa affatto.
George Bush ha ritenuto opportuno lasciare Washington per una visita ai agli studenti di Cancun proprio mentre Abramoff veniva condannato, evitando così fastidiose domande sia sulla sentenza che sull'eventuale coinvolgimento del super lobbista nell'omicidio su commissione di Gus Boulis.
Il presidente americano aveva già fatto sapere di avere nulla a che spartire con affaristi privi di scrupoli sui quali si sarebbe presto abbattuta la mano della giustizia. In effetti, la condanna c'è stata ma sono bastate le credenziali dell'imputato e le sue parole sulla fede religiosa per convincere i giudici a condonargli il riciclaggio di milioni di dollari finiti nelle casse dei repubblicani passando per false associazioni filantropiche.

di Maurizio Coletti

Come per molti altri aspetti, anche le politiche sulle droghe degli Stati Uniti sono di grande fascino per certi politici nostrani.
Alla fine degli anni '80, Bettino Craxi tornò da un viaggio oltreoceano entusiasta dell'approccio americano e da lì iniziò il percorso che ha portato alla legge nota come "Jervolino- Vassali". Un provvedimento approvato nel 1990 e che si volle, ai suoi tempi, blindato ed impermeabile a qualsiasi proposta dell'opposizione e incentrato sul "simply, say no", sul rifiuto di tutte le droghe, sull'obbligo dell'azione giudiziaria per i consumatori, sull'idea di una "dose media giornaliera" stabilita per legge e molto rigida.
Un agghiacciante parallelo con la legge Berlusconi-Fini-Giovanardi, come se il tempo non insegnasse nulla.
Ci volle il referendum del 1993 a cancellare gli articoli sulla dose media ed altri provvedimenti (la legge 45 del 1999, per esempio) a riequilibrarne il tiro.
Gli USA, quindi, come ispiratori, suggeritori.
Ma qual è la situazione del consumo di sostanze nella terra di Bush e quali sono le risposte istituzionali?
Gli Stati Uniti hanno dati sul consumo e sull'abuso di sostanze che sembra per certi versi, simile al nostro e per altri differente.

di Maurizio Musolino

Come si aspettavano tutti le elezioni israeliane sono state vinte da Kadima, il partito fondato dall'ex premier Ariel Sharon, ma - a dispetto di tutti i sondaggi - non c'è stato il previsto sfondamento. Kadima ha vinto ma non ha propriamente convinto. E così dalla tornata elettorale esce una situazione politica israeliana precaria, che nei prossimi mesi sarà soggetta a tensioni e imprevisti.
Analizzando il voto, insieme al buon risultato del partito diretto da Ehud Olmert, si sono registrate quattro tendenze principali. La prima, una sostanziale tenuta dei partiti della sinistra e di voto arabo. Meretz ha confermato i suoi 4 seggi e le tre forze arabe hanno complessivamente portato a casa dieci deputati. Quest'ultimo risultato veniva dato per irraggiungibile anche dalle prime proiezioni di martedì notte. Gli arabi non hanno disertato le urne, anche se è chiaro che la loro condizione di cittadini di serie B ha nel tempo frustrato le ambizioni elettorali dei loro rappresentanti.

di Raffaele Matteotti

L'Italia è troppo presa dalla competizione elettorale per fare caso agli avvenimenti nel mondo, la politica estera non tira vicino alle elezioni. Il governo Berlusconi, annunciando un fumoso ritiro dall'Iraq, ha congelato il dibattito sulle nostre missioni militari all'estero; ma il fatto che non se ne parli non impedisce alla cronaca di evolvere, anche in direzioni preoccupanti.
Il generale italiano Fabio Mini, ex comandante delle forze in Kosovo, in un'intervista esclusiva rilasciata al settimanale del "no profit" Vita, ha avvertito che una nostra squadra aerea (sei cacciabombardieri AMX) sta per essere impiegata nella caccia ai talebani (con tanti saluti alla "missione di pace") . Non ci sarà da stupirsi se da Kabul arriverà qualche bara avvolta nel tricolore, un esito diverso sarebbe solo dovuto alla grande prudenza dimostrata fino ad ora dai nostri comandanti, non certo dalla situazione sul campo.

di Carlo Benedetti

La "rivoluzione arancione" promossa da Viktor Yushenko e sponsorizzata dagli americani doveva essere "un modello per tutto l'Est". Era stata paragonata al crollo del muro di Berlino. Aveva avuto la benedizione della Casa Bianca e di Giovanni Paolo II. In suo soccorso si erano precipitati il miliardario Soros e il drammaturgo Havel. Si erano mobilitate le banche tedesche e le centrali spionistiche della Cia e della Rand Corporation. Non è andata come previsto. Gli "arancioni" si sono scannati. Il sistema da loro prodotto si è frantumato tra mafie e clan, scandali e intrallazzi. Una sorta d'assalto alla diligenza di Kiev con in testa la "bella e affascinante" Julia Timoshenko, ricchissima imprenditrice ucraina che, nell'arco d'alcuni mesi, era riuscita a diventare multimiliardaria (citiamo dall'inglese The Guardian del novembre 2004).
Ed ora, crollato Yushenko, si torna a scoprire che il tanto bistrattato Viktor Yanukovich - presentato come "uomo di Mosca", "agente di una potenza straniera", "filorusso" e "filosovietico"- è stato il dominatore di questa campagna elettorale, combattuta con i grandi mezzi forniti agli "arancioni" dagli amici americani e, in particolare, dalla potente lobby ucraina presente negli Usa.
Sin qui i fatti.


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