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di Mariavittoria Orsolato
Annozero può cominciare, ma deve bloccarsi subito. Dopo il richiamo della direzione generale per la prima puntata, arriva ora la sospensione dall’incarico e dalla retribuzione per 10 giorni a partire da lunedì 18 ottobre. La lettera contenente la “vendetta” del dg Masi è arrivata ieri mattina sulla scrivania di Michele Santoro, che subito ha replicato giudicando il provvedimento un atto censorio e promettendo ricorsi in sede legale.
I dieci giorni di stop sarebbero infatti consecutivi e andrebbero di fatto a cancellare la messa in onda della puntata prevista per il 21 ottobre, inficiando pesantemente la trasmissione di quella del 28 ottobre, dal momento che è umanamente impossibile preparare una puntata nell’arco di una giornata.
Ma secondo il megadirettore Masi il provvedimento disciplinare inoltrato al patron di Annozero non è da considerarsi “riconducibile ad iniziative editoriali tendenti a limitare la libertà di espressione o il diritto di critica”. Non esistessero le intercettazioni rese pubbliche dalla Procura di Trani - quelle in cui un Berlusconi furente intimava al commissario dell’AgCom Innocenzi di “fare un casino della Madonna” per bloccare il pressing di Santoro - ci potremmo anche credere.
Ma ricordiamo tutti la telefonata che Innocenzi fece a Masi, in cui quest’ultimo recitava non la parte del “megadirettore”, ma quella del più sfigato dei Fantozzi, biascicando: “L’unica cosa che può servire veramente e che se lui (Santoro-ndr) fa la pipì fuori dal vaso stasera. Sai, la stiamo aggiustando, stiamo facendo di tutto, abbiamo mandato via pure Ruffini, insomma, voglio dire siamo riusciti a fare…”. Giusto per rinfrescare la memoria.
A detta di Masi però la sospensione è un semplice atto dovuto di fronte al comportamento recalcitrante del conduttore che, in soli 8 minuti e 10 secondi (questo il minutaggio dell’intervento di Santoro), avrebbe infranto ben due dei dogmi di viale Mazzini: il divieto di usare il mezzo televisivo a fini personali e quello di attaccare in modo incontrovertibile i vertici della dirigenza durante una diretta.
A quanto afferma piccato il megadirettore, “non esistono dipendenti più uguali degli altri o zone franche all'interno delle quali sia possibile garantirsi il diritto all'impunità, tanto più quando si arriva a insultare il capo dell’azienda in diretta televisiva, con una modalità di contenuti ed espressioni che crea un caso che non ha precedenti al mondo”. Insomma stavolta non ci sono santi o magistrati che tengano, Annozero e il suo istrione devono pagare l’onta.
Dal canto suo, il giornalista salernitano ha risposto immediatamente alla lettera, indirizzando i suoi strali sia a Masi che al Consiglio di amministrazione Rai: “Il provvedimento disciplinare assunto nei miei confronti, con una procedura ad personam, è di una gravità inaudita e, contro di esso, reagirò con tutte le mie forze in ogni sede. Ritengo, tuttavia - aggiunge Santoro - che il Consiglio, anche senza entrare nel merito di questa punizione esemplare, debba pronunciarsi sulla decisione assunta dal direttore generale di metterla in atto cancellando due puntate di Annozero. Una punizione nei miei confronti si trasforma così in una punizione per il pubblico, per la redazione, per gli inserzionisti, per la Rai”.
Insomma, il conduttore si appella come sempre al suo fedele pubblico, invocando gli ascolti record e i conseguenti introiti che - dispiaccia pure a chi afferma il contrario - non vanno nelle sue tasche ma in quelle della Rai, la televisone pubblica che, in quanto tale, dovrebbe rispondere solo ai suoi abbonati coatti e non alle bizze del Presidente del Consiglio.
Il legale di Santoro, l’avvocato Domenico D'Amati, spiega perciò che gli estremi per ricorrere a all’azione legale ci sono tutti: “L’uso abnorme del potere disciplinare è reso evidente dall’entità della sanzione che, seppur risultante dal regolamento aziendale, è pari al doppio del massimo consentito dal CNLG per la sospensione, che è di cinque giorni”. Non potendo usare l’editoriale del 23 settembre come motivo di licenziamento per giusta causa, i pasdaran berlusconiani in Rai hanno infatti pensato che l’unico modo per tarpare le ali della redazione di Annozero fosse quella di mettere in stand-by la trasmissione per il doppio del tempo previsto dal regolamento. I tapini non si rendono però conto di quanto l’azione possa rivelarsi come l’ennesimo boomerang per la credibilità e le casse dell’azienda.
Nel fornire le dichiarazioni di rito, l’onorevole Benedetto Della Vedova - fino a poco tempo fa dalla parte di quelli che vorrebbero un Santoro muto e imbelle - ha dato la misura di quanto il fattaccio rischi di pesare sui bilanci Rai: “Leggo che si vuole chiudere la trasmissione di Santoro. A ciascuno può piacere o meno, ma qualsiasi emittente del pianeta che chiude per motivazioni politiche una trasmissione che fa il 20% di share è destinata a chiudere”. A questo punto, speriamo che quello del deputato di Futuro e Libertà, sia un augurio.
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di Mariavittoria Orsolato
Ricomincia Annozero ed è subito bagarre. Nonostante il buon Michele avesse minacciato dimissioni non meno di cinque mesi fa, il talk-show politico per definizione ha vinto anche quest’anno la guerra di logoramento interna alla Rai ed è ripartito giovedì sera con il 20% di share e quasi cinque milioni di telespettatori. Inutile dire che il ritorno in video del giornalista salernitano ha esacerbato lo scontro che da anni si trascina con il direttore generale Rai Mauro Masi, primo fra i tanti a non gradire l’operato della redazione di Annozero.
Il pretesto lo offre l’entrée al vetriolo con cui Santoro ha deciso di battezzare la prima puntata di questa quinta serie: appellandosi agli imprenditori che votano Pdl, il giornalista si è lanciato in un parallelismo con l’artigianato e, immaginandosi bicchieraio, ha attaccato frontalmente Masi chiedendo: “Se viene un direttore e vi dice: ogni bicchiere deve avere un marchio di libertà ex ante, voi che rispondete? ma vaffan’ nbicchiere!”.
Il riferimento ben poco velato alle continue pressioni cui la redazione è costretta a sottoporsi, ha scatenato le ire del “megadirettore”, che prontamente ha affidato alle agenzie il suo affondo: “E' molto grave che Santoro rivolga al capo azienda frasi inaccettabili, bugiarde e mistificanti - ha replicato Masi - Santoro si ritiene più uguale degli altri e svincolato dalle leggi anche quando ne chiede continue deroghe e quando chiede contratti ad personam. E' evidente che la questione dovrà essere affrontata in tutta la sua gravità in Consiglio di Amministrazione della Rai al più presto”.
Lo “spazio Santoro” - di cui si è preso egregiamente gioco il vignettista Vauro - è quindi ancora appeso a un labile filo su cui pende vogliosa la lama di parte del Cda Rai. Quella stessa parte che, in blocco, ha disertato l’incontro in cui avrebbero dovuto decidersi i destini di un'altra trasmissione corsara, “Parla con me” di Serena Dandini. Assenti in cinque su nove, hanno di fatto impedito il crearsi del numero legale per deliberare sui contratti che, a soli quattro giorni dalla prevista messa in onda, non hanno ancora ricevuto firma. L’escamotage della mancata firma non è una novità in casa Rai; gli stessi Travaglio e Vauro, componenti ormai ufficiali del contenitore Annozero, non ne hanno uno e, come ha debitamente puntualizzato Santoro, si ritrovano a lavorare in regime di completo volontariato.
Tornando alla trasmissione, titolata “scacco al re” in richiamo all’evidente crisi interna alla maggioranza, si può dire che Santoro rimane fedele a sé stesso. Come suol dirsi, cavallo vincente non si cambia e gli ingredienti che hanno fatto di Annozero una trasmissione di culto ci sono tutti, sempre allo stesso posto. L’unica eclatante novità, ovviamente non attribuibile al “compagno” Michele, è stato l’inedito spettacolo che gli ospiti dell’ala destra, Bocchino e Castelli, hanno inscenato di fronte al pubblico: in un paradossale ribaltamento di ruoli, i due si sono trovati a scontrarsi praticamente su ogni battuta, mentre un Di Pietro stranamente pacato spalleggiava Bocchino in seno alla logica che vuole il nemico del nemico come un amico.
C’è però da dire che, tolto l’anatema di Beppe Grillo contro i “bambini stupidi” che votano in base alla faccia del leader, di politica si è parlato molto poco e l’argomento che ha tenuto banco per la quasi totalità della puntata è stato il famigerato appartamento a Montecarlo con le presunte bufale confezionate per colpire il presidente della Camera Fini e la sua presupposta moralità inattaccabile.
Sullo sfondo gli operai di Fincantieri che, in collegamento da Castellamare di Stabia, riportano lo spettatore nella dura realtà quotidiana, denunciando a squarciagola come la programmata chiusura di uno dei fiori all’occhiello della cantieristica navale rischia di disarticolare la realtà sociale di un territorio già martoriato da mafie e degrado istituzionale.
Insomma, il cocktail preparato da Santoro e i suoi, pur non avendo in sé nulla di nuovo, rimane un irrinunciabile momento d’informazione e, checché ne dicano a viale Mazzini, ci auguriamo tutti che Annozero possa davvero cominciare.
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di Rosa Ana de Santis
Al debutto della quarta serie, la famiglia più colorita del quartiere Garbatella di Roma torna a far parlare di sé. Non solo dei brillanti numeri di audience delle serie precedenti e dell’autentico fenomeno di costume diffuso nelle case delle famiglie italiane, ma per le asprissime critiche. Era accaduto anche in "Tutti pazzi per amore" con l’outing del padre gay e la difficile accettazione da parte dei figli. La madre progressista era piaciuta alla critica di sinistra ma qualche voce di protesta si era levata anche allora.
Il dato divertente della fiction che vede protagonista Amendola e, fino alla penultima serie, una bravissima Elena Sofia Ricci, è che l’allerta della moralità viene dalla Lega. La famiglia allargata, costruita su una vedovanza e un divorzio semipacifico, e l’amore tra i due figli della coppia divenuti fratelli, ha scatenato un coro di protesta. Non è - stando all’integerrima voce morale del Carroccio - una fotografia reale della famiglia italiana.
E infatti, verrebbe da replicare, si tratta semplicemente di una fiction e di intrattenimento serale. Qualcuno glielo spieghi che hanno difficoltà strutturali nell'apprendimento. Chi si aspetta questo ruolo educativo dalla tv dovrebbe interrogarsi, con altrettanta determinazione, su ben altre voci di palinsesto. Dagli spot a iosa con le donnine nude, alle interviste serie a dubbie schedine, letterine e veline divenute amanti di calciatori, fino alle bravate di Corona, raccontato sugli schermi come un ribelle accattivante. Ci risulta invece che la Lega si occupi di Miss Padania, che poco ha a che vedere con i problemi reali delle famiglie italiane da loro invocati come elementi assenti dagli schermi della famiglia Cesaroni. Ma magari é solo la salsa romanesca dei dialoghi che irrita gli animi del Carroccio.
Più forte la critica che viene da Libero e da Avvenire. Ricorda quella che la Chiesa scatenò contro lo spot Renault e la divertente corsa di un papà separato che correva da un figlio all’altro, da una ex ad un’altra. I Cesaroni propongono, senza finalità paideutiche, gli intrighi e le vicende di una famiglia in cui il sentimento di amore e di solidarietà è fondamento evidente e incontrovertibile di ogni vicenda. In questo circolo di affetto ci sono passioni, amori sbagliati, tradimenti, figli fuori dal matrimonio. Il tutto in una cornice di quasi normalità che forse la gente sente vicina e che trova finalmente un modo di essere raccontata che non è morboso, esasperato o solo drammatico, come invece accadeva nelle infinite serie di soap americane e sudamericane con cui la TV ha ipnotizzato generazioni di mamme. Ma allora andava bene solo perché casa Forrester non era nel cuore di Roma?
Se s’investe davvero questa attesa moraleggiante nella TV, allora bisognerà ridiscutere ben altro, prima di arrivare alle fiction e agli spazi di evasione, di ciò che il piccolo schermo porta nelle case italiane. E forse risulterà abbastanza chiaro che il successo dei Cesaroni, molto in voga soprattutto tra gli adolescenti, è la prova evidente (tutto il contrario di quanto sostengono gli improvvisati censori) che quella colorita famiglia romana assomiglia a quella di tanti.
Dove i problemi delle famiglie di oggi sono anche complicati e dolorosi, la fiction decide di raccontarli con un sorriso e un po’ di ottimismo in più. Perché è evasione. Sarà meglio questo dei telegiornali farsa, delle rubriche sul vino e sulla buona tavola al posto delle notizie reali, dei titoli razzisti sulla Padania che diventa grottesca quando muove le campagne di etica, o del Verissimo di turno.
La famiglia allargata e tutte le sue complicazioni è ormai un classico della società italiana, anche se, in alcuni casi, i genitori continuano a portare puntuali i figli al catechismo della domenica. E non importa se non è raccomandabile che una ragazza faccia la cubista a tredici anni, come accade alla giovane figlia Cesaroni Alice, perché questo semplicemente accade e sarà meglio raccontarlo con evasione e con lo stupore del papà Amendola, che non raccontarlo affatto.
E sarà meglio, per le giovani ragazze, vedere questo che non la giovane Noemi Letizia che racconta seriamente di voler e poter diventare attrice. ballerina di talento o deputato, solo per aver condiviso vari baccanali con il Presidente del Consiglio. Il suo è un cattivo modello che fa danni e non una banale fiction ispirata al reale. Questa è la tv cattiva che veicola messaggi pericolosi. Perché Noemi, come tante, lo fa con la benedizione sincera di mamma e papà. La Chiesa è sicura che questa famiglia reale sia migliore della combriccola Cesaroni del piccolo schermo?
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di Mariavittoria Orsolato
Trionfo, record, botto: queste le definizioni che la stampa ha entusiasticamente attribuito all’atteso ritorno di Enrico Mentana in video. Lo scorso lunedì è partito il nuovo tg di La7 e lo share è cresciuto immediatamente di tre punti percentuali, schizzando sopra il 7% e portando una lauta dote di spettatori: 77% in più rispetto alla media dei due mesi precedenti.
Un risultato lodevole, che, se molto deve alla morbosa curiosità degli italiani, encomia altrettanto l’indiscussa professionalità di un “purosangue” dell’informazione qual è Mentana. Nonostante la “mitraglietta” (così è stato scherzosamente ribattezzato l’anchorman, per via del suo velocissimo interloquire) sia alla direzione ormai da fine giugno, la sua apparizione in video ha segnato il restyling della testata.
Non solo dal punto di vista grafico (è il primo telegiornale trasmesso in 16:9), ma anche e soprattutto dal punto di vista operativo: scalette solide che non lasciano spazio alle amenità su clima, cuccioli e vattelapesca vari, ma che si concentrano sui fatti salienti della giornata, senza disdegnare l’opinione.
Un telegiornale ben fatto, che rende onore alla cronaca e - c’è da dire finalmente - approfondisce l’agenda politica. Forse il punto di forza dell’ex direttore editoriale Mediaset sta proprio nel levarsi dalla scarpa tutti quei sassolini che gli anni di servizio al Biscione l’hanno costretto a trattenere: la pagina politica è sempre densa e non tace quelle informazioni accessorie che fanno del racconto politico un qualcosa di più utile rispetto ai miserandi “panini” confezionati da Minzolini e Mimun.
Ai molti che si approcciano all’informazione solo tramite il tubo catodico, sentire parlare del processo breve sulla scorta del fatto che è un provvedimento utile solo al Premier, sarà suonato come uno scoop sensazionale e, nondimeno, puntualizzare sul fatto che il Dell’Utri contestato a Como è lo stesso che è stato condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, oltre a rendere giustizia alla fattualità della notizia, alza di molto la media imposta dallo Zeitgeist berlusconiano.
Insomma la mitraglietta non spara a salve, anzi. I commenti alle notizie sono chirurgici e anche se Mentana non resiste proprio a esternarne delle sue (sulla visita di Gheddafi, tra l’altro molto ben documentata, ha chiuso con un “mai fare i conti senza l’hostess”) guardando il tg di La7 si ha l’impressione di essere veramente informati sui fatti.
Questa nuova completezza, combinata all’indiscutibile notorietà di un mezzobusto come Mentana, potrebbe quindi rivelarsi un’efficace arma di persuasione se, come probabile, la campagna elettorale per le prossime politiche fosse molto più vicina rispetto alla naturale scadenza della legislatura. Saccheggiando spettatori ai due tg “de regime” - circa seicentomila secondo i primi calcoli - il bacino di utenza del telegiornale di La7 ha tutte le carte in regola per spostare, e non di poco, quell’ago della bilancia politica che divide il Paese in due metà fin troppo simili.
In quella che molti operatori dell’informazione definiscono “un’isola felice”, Mentana e il suo tg ad personam hanno la libertà di fare la differenza e scoprire gli altarini gelosamente celati dalle altre testate videogiornalistiche.
Se a ciò si aggiunge che il buon Chicco, dopo l’ostracismo di Mediaset e le ospitate in salotti “corsari” come quello di Annozero o Ballarò, ha guadagnato un’aura da martire della buona informazione - che, si presume, cercherà di mantenere in seno alla sua rinnovata credibilità - non è difficile scommettere sul potenziale deflagrante che la nuova finestra informativa potrebbe sortire su un pubblico abituato più all’infotainment che al giornalismo d’inchiesta.
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di Mariavittoria Orsolato
Da un paio di giorni è ormai ufficiale: il network Sky arriverà a breve anche sulle frequenze digitali. Il colosso satellitare l’ha spuntata sul veto posto da Mediaset e, forte dell’approvazione della Commissione Europea, gareggerà per l’assegnazione delle frequenze nazionali sulla piattaforma - è bene ricordarlo, più che obsoleta - fortemente voluta da Berlusconi. Fino ad ora Sky era stata estromessa da ogni gara, in quanto semi-monopolista per quanto riguarda le quote del mercato pay.
Ma quella del gruppo capitanato da Murdoch non è però una vittoria su tutti i fronti: stando ai dettami della Commissione Ue, infatti, la programmazione dovrà essere trasmessa in chiaro per almeno 5 anni e al magnate australiano non potrà spettare più di una frequenza. La Commissione europea, ha aggiunto il portavoce Jonathan Todd, “continuerà a controllare che quanto viene fatto sia pienamente compatibile con le norme europee”.
Se a Sky accolgono la notizia con piacevole sorpresa, a Cologno Monzese invece sono già sulle barricate e minacciano una battaglia legale serratissima che ha già preso avvio con il ricorso ufficiale presentato martedì stesso alla Corte di Giustizia Europea. “È assolutamente sconcertante la decisione presa dalla Commissione Ue - spiegano in una nota - e riteniamo che le condizioni fissate nel 2003, che impedivano a Sky di entrare nella tv digitale terrestre sino al 2012, in virtù della sua posizione dominante sul mercato pay, siano ancora valide”.
L’antefatto risale appunto al 2003, anno in cui venne siglata la fusione di Stream e Telepiù in un unico network controllato dalla Newscorp di Murdoch: poiché il nuovo concorrente conquistava subito una posizione di monopolio per l’offerta satellitare e pay per view, la Commissione Europea subordinò l’accordo a una serie di limitazioni che di fatto obbligavano la Newscorp ad offrire la pay tv soltanto su satellite, mentre non poteva mantenere o acquisire frequenze in digitale terrestre.
Stando ai documenti, l’accordo e il conseguente limite al concentramento di Sky avrebbe cessato di essere valido il 31 dicembre 2011, ma nel novembre 2009 il network ha chiesto alla Commissione di essere sollevata dall'impegno relativo alla piattaforma digitale, in modo da poter partecipare alla futura gara per l'aggiudicazione di cinque nuovi multiplex, cioè le frequenze che singolarmente consentono la radiodiffusione di uno o due canali in alta definizione e dai quattro agli otto canali in definizione standard.
La motivazione addotta da Newscorp era che ormai, con l’approntamento di TivuSat, le condizioni del mercato televisivo italiano erano mutate in modo significativo e che perciò i paletti posti al concentramento di Sky non avevano più ragion d’essere. La Commissione, preso atto che, in effetti, lo scenario era decisamente cambiato, ha perciò deliberato in favore di Sky, ritenendo che allo stato attuale delle cose la discesa sul digitale del colosso satellitare non avrebbe poi creato grandi scompensi nel mercato.
Di segno opposto il parere del viceministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, secondo cui “è bene tenere presente che per riservare 5 frequenze da destinare al digitale l’Italia ha sottratto risorse frequenziali a ciascuno dei principali operatori nazionali e ha rinunciato (nelle aree già digitalizzate) e dovrà rinunciare ad assegnarle (nelle aree ancora da digitalizzare) agli altri operatori e a oltre 500 piccole televisioni locali”.
Di certo uno dei soggetti più penalizzati sarà proprio Mediaset, la quale, adagiandosi sugli allori dell’esclusività, non si è assolutamente attrezzata a contrastare la rivale sulla piattaforma digitale.
In questa guerra televisiva, che è sicuramente una lotta ad armi pari tra titani, la parola fine è ancora lungi dall’essere apposta.