di Mariavittoria Orsolato

Come ogni buona potatura che si rispetti, l’addio di Mauro Masi a viale Mazzini, destinazione Consap, ha già irrobustito la credibilità della Rai. E’ notizia di ieri che Lorenza Lei è ufficialmente il nuovo direttore generale: bolognese, classe 1960, la Lei entra nella storia della televisione come prima donna a sedere sulla poltrona di direttore generale del servizio radiotelevisivo nazionale.

La sua candidatura è stata approvata dall’unanimità del consiglio di amministrazione e dall’assemblea degli azionisti (ministero del Tesoro e Siae) e, come annunciato in precedenza, la sua nomina ha raccolto consensi bipartisan in quell’intricato groviglio di contrappesi che è la lottizzazione Rai.

Nata in una famiglia di comunisti, Lorenza Lei si dissocia dalla sinistra attuale e si dice sì cattolica, ma non dell’Udc. Entrata in Rai nel 1995 come consulente editoriale la sua carriera a viale Mazzini è lenta ma inesorabile: nel 2000 diventa responsabile di Rai Giubileo - la struttura nata nel 1998 in occasione delle attività per il Giubileo, che si occupa delle trasmissioni televisive di carattere religioso - e, grazie ad Agostino Saccà, viene nominata nel 2002 capo dello staff; nel 2006 diventa responsabile delle risorse televisive e nel 2009 arriva alla vice-direzione generale nonostante questo ruolo non sia previsto dallo statuto. Questo quanto si sa della nuova direttrice, resistita a ben quattro direttori generali (Saccà, Cattaneo, Meocci e Masi) e molto ben inserita negli ambienti vaticani. I cardinali Bertone e Bagnasco pare stravedano per lei.

Si vocifera che la sua nomina abbia avuto una propulsione decisiva nel momento in cui la Lei si era apertamente opposta a Mauro Masi, ma è più probabile che il motivo di questo plebiscito nei suoi confronti stia nella solidità della sua carriera. E, come sottolinea Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano, è proprio il curriculum a fare la differenza rispetto al defenestrato Masi. Quest’ultimo, infatti, come molti altri prima di lui, più che un esperto di televisione era un peone impeccabile, mentre Lorenza Lei può vantare una competenza sedimentata in ben 16 anni di sopravvivenza a viale Mazzini.

Per quanto supercompetente, a Lorenza Lei s’impone comunque una sfida impegnativa: alla Rai urgono manovre decise e oculate in grado di portare avanti il piano industriale, ridurre il debito e recuperare quei margini pubblicitari necessari a ridare fiato alle magre casse dell’azienda. Ma quella che è ormai la “Signora Rai” sembra avere già le idee chiare su quello che sarà il suo mandato, per quanto striminzito, dato che scadrà già il prossimo aprile. Idee chiare che paiono miracolosamente sposare il concetto di un servizio pubblico che gareggi ad armi pari con Mediaset: secondo i bene informati, una delle priorità della Lei sarebbe infatti quella di eliminare dalla RAI i reality show.

E’ ancora presto per esultare, ma l’eliminazione dai palinsesti Rai del marchio di fabbrica Mediaset potrebbe rappresentare una sterzata vincente, non solo in termini di qualità delle trasmissioni ma anche ma anche in termini pubblicitari. La crociata anti-reality non sarebbe senza frontiere, alcuni progetti sullo stile talent-show dovrebbero andare avanti mentre format bolliti e sguaiati come l’Isola dei Famosi potrebbero finalmente lasciare respirare l’etere sovvenzionato dal canone.

Reality a parte, le scadenze per la nuova direttrice generale sono imminenti: il palinsesto autunnale da mettere a punto, le nuove nomine ai vertici di Tg1 e Tg2 e, soprattutto, il rinnovo dei contratti di tre tra i personaggi più pruriginosi per la maggioranza, Milena Gabanelli, Giovanni Floris e Fabio Fazio. Se per quest’ultimo pare sia pronta sul piatto la conduzione di Quelli che il calcio, per quanto riguarda le direzioni dei due telegiornali ad Augusto Minzolini potrebbe succedere il direttore di Radio1 Antonio Preziosi, mentre per il tg della seconda rete sarebbe in lizza Gianluigi Paragone.

Proprio sull’incapacità di imporre nuove nomine - causa ostruzionismo da più fronti -  è caduta la testa di Masi, ma per Lorenza Lei la musica sarà diversa. Conciliante e diplomatica, la nuova direttrice è riuscita ad accattivarsi le simpatie di tutte le forze politiche: con i numeri di Lega e Pdl e il sostegno di Pd e Udc, c’è da scommettere che la sua azione in Rai sarà perlomeno in grado di svilupparsi.

 

 

di Mariavittoria Orsolato

Al settimo piano viale di viale Mazzini si vociferava da tempo e con insistenza sulle probabili future dimissioni del povero Mauro Masi. Sfiancato dalle continue richieste d’intervento da parte del Palazzo, il direttore generale Rai si sarebbe deciso ad abbandonare una delle poltrone più bollenti d’Italia per sedere su quella di amministratore delegato della Consap, la concessionaria pubblica dei servizi assicurativi.

I motivi sarebbero racchiusi nelle tensioni con l’intero cda di viale Mazzini, dove da mesi ormai, quello che dovrebbe essere il capo dell’azienda, non riesce a godere della necessaria maggioranza. Non solo per varare nomine indispensabili per l’azienda, ma anche per portare avanti il piano industriale, ridurre il debito e recuperare quei margini pubblicitari necessari a ridare fiato alle magre casse dell’azienda; il bilancio trimestrale di Sipra, la concessionaria pubblicitaria della Rai, ha infatti segnato un meno 6,5% nei primi tre mesi dell’anno.

Insomma per ridare ossigeno all’azienda la testa di Masi deve essere espunta e ad attendere il baffuto Dg pare non ci sia nemmeno la lauta ricompensa che il premier pare elargire di default ai suoi fedelissimi. Nonostante il povero Mauro si sia prodotto in acrobazie spericolate pur di assecondare le bizze di Berlusconi, la poltrona che sembra spettargli sarà molto meno redditizia dei 700.000 euro all’anno pagati da mamma Rai. Pare che, appena annusata la possibilità di essere defenestrato dal settimo piano di viale Mazzini, il megadirettore abbia fatto presente direttamente al cavaliere le sue remore, affermando che con un curriculum come il suo non può assolutamente accettare una retrocessione in termini di danè.

Sono infatti mesi che i manager pubblici incaricati da Berlusconi si stanno letteralmente scervellando per trovare la poltrona adatta a Masi. Inizialmente il premier pensava di destinargli la vicepresidenza dell’Enel e, una volta ragguagliato sull’inesistenza statutaria di tale carica, avrebbe fatto pressioni affinché la figura venisse creta ad hoc. Dati i tempi biblici dovuti all’istanza di modifica, l’opzione Enel è stata scartata in favore dell’ipotesi Snam, il gestore nazionale della rete gas. Nel giro di pochissimo ci si è però resi conto che anche questa soluzione comportava non poche gatte da pelare, prima fra tutte quella che prevede che la figura deputata a tale incarico abbia la qualifica di ingegnere. L’indice di Berlusconi ha quindi puntato verso la Consap, una poltrona non troppo impegnativa che sulla carta dovrebbe soddisfare le richieste del fedele Masi.

Se il condizionale è d’obbligo è perché, al netto della prestazione, sia il presidente che il direttore generale della concessionaria dei servizi assicurativi prendono molto meno di 700.000 euro all’anno. Gli stretti limiti imposti da Giulio Tremonti agli stipendi dei dirigenti pubblici non permettono di ritoccare in eccesso gli assegni mensili e la soluzione più probabile per accontentare capra e cavoli sarebbe quella di un incarico “a chiamata”, l’unico in grado si aggirare i limiti imposti ai manager stipendiati dallo Stato. Stando a quanto riporta il sito Dagospia, Masi avrebbe firmato nei giorni scorsi la sua lettera di dimissioni ma non si avranno notizie certe fino al prossimo 11 maggio, data in cui si dovrebbe riunire l’assemblea dei soci.

Così, dopo tre anni di intensa attività, l’era Masi si appresta a tramontare e dall’azienda lasciano trapelare che il nuovo corso avrà tutt’altro segno. La favorita alla successione pare ad oggi essere Lorenza Lei, attuale vice-direttore generale della Rai e vicinissima alle gerarchie d’oltre Tevere. Se la nomina venisse confermata segnerebbe il ritorno dopo 17 di un cattolico dichiarato ai vertici di viale Mazzini – l’ultimo fu Gianni Pasquarelli,che lasciò nel 1994 – e darebbe una svolta pratica a quella che in ogni caso si annuncia come una direzione di transizione.

Il mandato del direttore generale scadrà infatti nell’aprile del prossimo anno ed ora come ora, la Rai ha soprattutto bisogno di un tecnico, un “interno” in grado di riavviare il carrozzone e di tamponare le perdite prodotte in questi anni da una dirigenza che definire poco assennata è un eufemismo.

Nell’attesa del commiato ufficiale, Masi non vuole rinunciare alle prerogative del suo ruolo e lo scorso sabato ha fatto recapitare ai direttori di Tg3 e Tg2, Berlinguer e De Scalzi, una lettera ufficiale di richiamo in riferimento ai programmi di Lucia Annunziata, di Giovanni Floris e dell’immancabile Michele Santoro. La colpa imputata sarebbe la classicissima violazione della par condicio imposta in vista delle elezioni amministrative e, al solito, il suo intervento ufficiale ha scatenato il consueto vespaio di polemiche politiche in merito ai tentativi più o meno manifesti di censura da parte del Governo. Senza Masi la Rai tornerà anche a respirare ma che ne sarà dei deliziosi siparietti telefonici cui il baffuto Dg ci ha abituati?

di Mariavittoria Orsolato

Stasera si chiuderà l’undicesima edizione del "Grande Fratello", il reality show per antonomasia che 11 anni fa segnò l’avvio di quello che, allora, si pensava fosse il genere televisivo più amato dagli italiani. Da Taricone in poi sono stati a migliaia gli aspiranti famosi - o i non più famosi, nel caso ’"Isola dei famosi" - disposti a tutto pur di godere del celeberrimo quarto d’ora di popolarità. Ma, allo scadere del decennio, la formula del nuovo voyeurismo sembra ormai cedere ai brutali colpi dell’Auditel.

Se infatti nel 2000 gli spettatori del reality di Canale 5 sfioravano i 16 milioni, ora le grette liti e le improbabili storie d’amore della casa arrivano ad interessare poco meno di 6 milioni di spettatori, a dimostrazione che il format partorito dall’olandese Endemol è ormai trito e ritrito. Il fattore curiosità e una non trascurabile parte di morbosità avevano premiato le primissime edizioni ma ad oggi il sesso spiato, le bestemmie e le aggressioni verbali non possono competere con una cronaca politica se possibile ancor più becera.

Certo ad oggi siamo ancora ben lungi dal celebrarne il funerale, ma la formula del reality show è indubbiamente andata a picco, trascinando nel baratro gli utili pubblicitari che inizialmente trainavano queste colossali produzioni televisive. Anche il reality di punta del broadcasting nazionale, la famosa Isola di Simona Ventura, ha vissuto tempi decisamente migliori ed ora, arrivato all’ottava edizione, il suo futuro è nelle mani degli ad Rai, divisi (come sempre) sull’elargire una pietosa eutanasia oppure sul continuare l’accanimento terapeutico, nella speranza che “Super Simo” ne inventi un’altra delle sue.

La trovata di quest’anno, che l’ha vista lanciarsi da un elicottero per raggiungere i suoi naufraghi, ha fatto guadagnare al programma ben un milione e trecentomila spettatori. C’è però da dire che se l’incursione della Ventura non fosse stata strombazzata in prima pagina dal Chi di Alfonso Signorini, probabilmente l’evento sarebbe scorso nell’indifferenza generale.

Dalle colonne di La Repubblica la conduttrice piemontese spiega che la formula del reality “non è alla canna del gas” ma che è la televisione ad essere cambiata, con le tv generaliste che boccheggiano sommerse dalla concorrenza imposta dal digitale terrestre e dalla piattaforma satellitare. Sta di fatto che, concorrenza sleale o meno, in otto anni "l’Isola dei Famosi" è passata dai 10 milioni di spettatori della prima edizione ai 5 milioni dell’edizione 2011. Un calo del 50% che indica l’indubbio scollamento esistente tra i prodotti da tubo catodico e il paese reale.

Le immagini ripetute alla nausea degli alterchi tra i concorrenti - sia tra le palme che tra i mobili di design della “casa” - rimandano un’istantanea lontana anni luce dalla complessità dei problemi del cittadino medio italiano e la prova schiacciante di questa distanza l‘ha data come al solito Facebook. A maggio, infatti, Mediaset avrebbe dovuto lanciare un nuovo reality dal titolo “Non è mai troppo tardi”, uno show che avrebbe visto dei Vip, precedentemente istruiti da insegnanti precari, cimentarsi con la cultura generale. Il promo, andato in onda nelle scorse settimane, recitava testualmente: “Sei un insegnante precario della scuola? Sei disoccupato? Vuoi rimetterti in gioco e fare qualcosa di diverso? Contattaci, puoi vincere 10 anni di stipendio!”.

Com’è ovvio il lancio del format ha suscitato un vespaio di polemiche e gli ormai classici gruppi sul social network per definizione, con risultato che più di 2000 persone si sono pubblicamente dichiarate indignate ed hanno espresso la loro insofferenza nei confronti di un programma giudicato “offensivo nei confronti dei docenti precari e disoccupati“. Probabilmente allarmati da questa piccola ma importante insurrezione on line, i colletti bianchi di Cologno Monzese sono corsi ai ripari, cancellando il nuovo format la cui conduzione era stata affidata a Federica Panicucci e all’immancabile Alfonso Signorini.

Dalla redazione smentiscono che la decisione sia stata presa a causa della protesta on line ma è molto probabile che sia stata proprio questa mobilitazione a dissuaderli da quella che si annunciava già come l’ennesima gigantesca presa per i fondelli perpetrata da Mediaset ai danni di categorie penalizzate dalle riforme dello stesso Berlusconi.

Insomma, dai reality morti in fasce a quelli che invece sembra ci ammorberanno ancora per un po’, lo stato di salute del format non sembra buono. Ora come ora gli italiani non riescono più a rintracciare nelle immagini rubate da telecamere nascoste quel portentoso palliativo ai problemi quotidiani; un po’ perché la genuinità dei protagonisti si è persa man mano che crescevano i numeri delle edizioni e un po’ perché l’effetto catartico che si dovrebbe ottenere guardando quelli che a tutti gli effetti sono dei minus habens è ben poca cosa rispetto all’affanno di vivere nell’Italia del 2000. Come già detto è presto per celebrare le esequie del reality ma è un dato di fatto che agli italiani la realtà surrogata non basti più.

 

 

di Mariavittoria Orsolato

Credevamo di aver visto tutto, ma evidentemente ci sbagliavamo. Lo scorso 25 marzo sulla rete ammiraglia di casa Berlusconi, la trasmissione "Forum" è riuscita in un’aberrante impresa di sciacallaggio sulla tragedia degli aquilani: presenti ufficialmente in veste di coniugi in lite per soldi, due figuranti abruzzesi sono stati ingaggiati per produrre un malcelato spot elettorale pro-governativo. Venerdì all’ora di pranzo andava infatti in onda la finta causa della finta signora Marina de L'Aquila, che chiedeva un contributo una tantum di 25.000 al marito, da cui è separata, per far ripartire la propria attività commerciale - un finto negozio di abiti da sposa - gravemente danneggiata dal devastante terremoto del 2009.

La donna, che vincerà poi la causa, si premurava a più riprese di descrivere L'Aquila come una città ormai completamente ricostruita, tessendo spassionatamente le lodi di chi tale ricostruzione l'ha attuata: “Vorrei ringraziare, non lo so se posso, il presidente... Non ci ha fatto mancare niente”. Un’incensata magistrale, proprio a ridosso del secondo anniversario della tragedia che produsse 308 vittime e 65.000 sfollati. Una farsa in piena regola, spalleggiata da una Rita Della Chiesa che applaude pubblicamente l’ex capo della Protezione Civile Bertolaso, “perché ha fatto un grandissimo lavoro”. Una fiera di atrocità che tocca il suo momento topico quando la sedicente signora Marina afferma orgogliosa di aver donato gli abiti da cerimonia per il funerale di due promessi sposi morti sotto le macerie.

Tutto inventato, insomma, tranne lo spot per il proprietario di Canale 5 e il governo. Com’è ovvio scoppia un caso, ma la figlia del generale ucciso dalla mafia risponde piccata “mica posso controllare la carta d’identità a tutti!”. Certo Forum non è estraneo alla prassi del reclutamento di figuranti - Striscia la Notizia lo ha segnalato più e più volte - ma fin’ora gli autori non si erano mai imbarcati in si ardua impresa di propaganda politica.

Una mossa che, a guardar bene, è stata assolutamente controproducente e che, sebbene durante la puntata siano stati inseriti elementi di contraddittorio (vedi la volontaria che puntualizza sul fatto che le tendopoli sono ancora esattamente allo stesso posto di due anni fa), la chiosa finale della presentatrice ha spinto sul fatto che al momento L’Aquila è divisa tra i vittimisti come il marito che non vuole smollare i soldi all’ex moglie, e quelli che come la finta signora Marina, puntano tutto sull’ottimismo e la voglia di ricominciare.

Inutile dire che il lessico utilizzato esulava di molto da quello giuridico che gli competerebbe: le parole con cui la contendente descriveva la “rinascita” del capoluogo abruzzese sembravano prese pari pari dagli opuscoli inviati in occasione delle elezioni regionali ed i toni erano talmente entusiastici da arrivare ad imbarazzare l’ospite di turno, l’attore Antonello Fassari.

Una sceneggiata, dunque, messa in piedi alla bell’e meglio per inculcare ai pensionati seduti a tavola per il pranzo la bontà dell’azione di governo. Il principio è più o meno lo stesso di quello che ha visto riunirsi davanti al palazzo di giustizia milanese un gruppetto di anziane signore imbellettate ed insolitamente agguerrite nella difesa del “loro” Silvio: l’importante è pagare. Lo ha svelato la stessa figurante di "Forum", che in un’intervista a La Repubblica ha confessato di essersi prestata alla messinscena per la modica cifra di 300 euro.

C’è crisi, come biasimarla? Un trucco collaudatissimo che avrebbe funzionato alla perfezione se la sedicente signora Marina, in realtà cittadina di Pepoli, un comune non toccato dal sisma del 2009, non avesse spinto troppo sull’acceleratore della fantasia e dell’ansia performativa. Gli aquilani, infatti, non hanno per nulla gradito le esternazioni entusiastiche fatte a Forum e persino l’ex presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, si è risolta a scrivere una lettera a Rita Dalla Chiesa mettendo nero su bianco cosa non le è piaciuto della puntata del 25 marzo. L’attuale assessore alla cultura del comune de L’Aquila si è sfogata poi con il Quotidiano d’Abruzzo: “Se avessero voluto raccontare storie vere, qui ne abbiamo tante. Il fatto che si sia voluto rappresentare un dramma con una storia finta la dice lunga sulle intenzioni di certi mezzi di informazione”.

La conduttrice replica sul Corriere di essere sempre stata equidistante: “Io di spot a Berlusconi non ne ho mai fatti”. Ma se la sua memoria è corta non lo è quella della rete, che per l’occasione ha ripescato una sua intervista del 1995, sempre al Corriere, in cui si dissociava pubblicamente dal suo partito di allora, il defunto Pds, per simpatizzare con la causa berlusconiana. In riferimento ad una puntata di "Tempo Reale" (programma di Michele Santoro in onda allora su Rai3) la Dalla Chiesa parlò così: “Giovedì sera Berlusconi si è battuto, ma gli hanno manipolato tutte le risposte e questo solo perché lui non è un politico intrallazzatore. Ci sono cecchini ovunque. Hanno perfino tirato in ballo suo padre e i sentimenti privati dell’uomo Berlusconi: indegno. Da quando è entrato in politica - continuava la presentatrice di Forum - subisce attacchi diretti alla sua persona, non ai programmi di Forza Italia. Un trattamento riservato a nessun altro politico, solo a lui”.  Insomma: un’autentica è dichiarazione d’amore. Lungo 16 anni, par di capire..

 

di Mariavittoria Orsolato

Il conduttore più osannato e pagato della tv torna stasera su Canale5 con il suo Il senso della vita e lo fa abbracciando una causa assolutamente anti-televisiva. Stiamo parlando del Venus Project - un'organizzazione no-profit fondata nel 1975 dal designer industriale e ingegnere sociale Jacque Fresco - e del suo braccio attivista, il movimento "Zeitgeist". Per coloro che ancora non lo conoscessero, il movimento è nato dopo la divulgazione dei documentari del regista statunitense Peter Joseph ed è un’iniziativa non profit a base sociale il cui obiettivo è quello di rendere consapevole la società del cambiamento necessario a livello globale per il bene di tutti gli esseri umani.

Il movimento sostiene che nazioni, governi, razze, religioni, credi e classi sociali siano distinzioni fasulle, e promuove invece l'unità fra le persone attraverso una concezione comune della natura e la fondamentale abolizione del denaro come mezzo di scambio. Una filosofia ad alto tasso utopico che è però riuscita a guadagnarsi in soli tre anni ben 452.000 sostenitori in 192 paesi del mondo.

I concetti che stanno alla chiave di questo nuovo “Spirito del tempo” sono mutuati dalle proposte di Fresco, che vede nella resource-based economy la soluzione all’economia monetaria orientata alla scarsità esistente oggi. L’idea è che il mondo è ricco di risorse naturali ed energia e che con le moderne tecnologie e un'efficienza equa, i bisogni della popolazione globale possono essere soddisfatti in abbondanza. Il presupposto è che la scienza e la tecnologia possono fornire tutti gli strumenti necessari all’eliminazione dei conflitti, delle prevaricazioni sociali e degli squilibri tra le diverse aree del mondo.

Un progetto di “social design”, come lo ha definito l’ingegnere americano, attuabile nel momento in cui si raggiunge la consapevolezza che l’attuale sistema monetario consiste per la maggior parte in aria fritta su cui è solo possibile indebitarsi.

Idee rivoluzionarie quelle dello "Zeitgeist Movement", da alcuni considerate solo l’ennesimo spunto per teorie complottiste ed antiamericane, a Paolo Bonolis paiono essere piaciute molto. Il conduttore è stato infatti intercettato alla proiezione romana del terzo capitolo dei lavori di Peter Joseph, Zeitgeist: moving forward e, avvicinato da un attivista stupito della sua presenza, ha replicato: “E mica so tutti cojoni!”. Da lì é cominciata la collaborazione tra Federico Pistono, coordinatore del movimento Zeitgeist Italia, Bonolis e Michele Afferrante, co-autore de Il senso della vita.

Come si legge nel comunicato divulgato dal sito del movimento “dall'idea iniziale di avere una breve citazione del "Movimento Zeitgeist" nel programma, man mano che parlavamo e discutevamo si è passati a rendere il Movimento un leitmotiv di tutta la stagione, mostrando delle clip in tutte le puntate, come un percorso formativo, per porci delle domande, dare spazio alla nostra immaginazione e al nostro spirito critico”.

Dicevamo appunto sopra che trattasi di roba totalmente anti-televisiva ed è quasi un miracolo che Bonolis sia riuscito ad imporre dei contenuti simili nel prime-time domenicale della rete ammiraglia di casa Berlusconi. Ma per il conduttore e co-autore del programma, quello in partenza domenica non è uno di quei format con l’assillo dell’auditel: “Non a caso andiamo in onda la domenica, che tradizionalmente non è una serata che paga molto negli ascolti di Canale 5, tra abitudine alla fiction di Raiuno e campionato di calcio. Insomma - sottolinea Bonolis - se devi andare basso con gli ascolti, almeno lo fai con qualcosa di dignitoso".

Certo non dobbiamo aspettarci una rivoluzione. Il senso della vita manterrà la sua solita struttura con la famosa foto-intervista al vip di turno - anche il 95enne Fresco è previsto come ospite per il gran finale di stagione - e le classifiche esistenziali, ma agli ormai proverbiali siparietti con la storica spalla Luca Laurenti si aggiungeranno anche miniconferenze tenute da persone che sono riuscite a realizzare progetti importanti: nella puntata di esordio ci sarà un giovane del Malawi che ha costruito un mulino con le sue mani partendo da un libello anni '60 trovato nella scuola di un villaggio vicino al suo.

Gli ospiti nazionali e non che si alterneranno sul palco saranno tutto fuorchè politici: per la prima volta Il senso della vita chiude le porte ai professionisti della poltrona, non tanto per questioni di principio ma, come spiega Bonolis, “un po' perché la par condicio per le amministrative e per il referendum ce lo impedirebbe comunque, e un po' perché non ci saranno dibattiti su nessun argomento, sennò finisce sempre che uno dice una cosa e l'altro dice che non è vero”.

Per chi dunque non cede ai furori del tifo calcistico o non indugia nelle fiction all’italiana, la domenica sera di Canale 5, scevra dalle creature transgeniche di Maria De Filippi, potrebbe rappresentare un’interessante diversivo. Certo Bonolis non può essere considerato un filosofo ma il fatto che il programma che va a condurre sia pensato per essere un crogiuolo di idee e spunti di riflessione ha certo il suo merito, soprattutto se si considera il fatto che la sua piattaforma è la probabile responsabile dell’imbarbarimento morale e culturale che stiamo vivendo oggi.

 


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