di Mariavittoria Orsolato

Quelle che circolano sono ancora voci di corridoio ma, stando a quanto una fonte interna alla Commissione Europea ha rivelato all'agenzia Reuters, Mediaset e Rai non potranno partecipare alla prossima asta per l'assegnazione di frequenze tv. Il perché è presto detto: la bozza di regolamento redatta dell'Autorità di garanzia per le comunicazioni (Agcom) prevede che siano esclusi dalla gara tutti gli operatori che dispongano già di cinque o più multiplex.

La bozza preliminare è stata trasmessa alle autorità europee per “un confronto tecnico”, prima dell’approvazione definitiva ma, sempre secondo indiscrezioni di stampa, l’Unione Europea aveva già espresso forti dubbi sulle regole, in particolare sui limiti antitrust e sullo scarso stimolo all’ingresso di nuovi operatori sul mercato. Pertanto, la Commissione avrebbe chiesto all'Autorità di garanzia per le comunicazioni che tre delle frequenze destinate all’uso televisivo a lungo termine siano riservate a nuovi operatori.

Nel consiglio tenutosi ieri, i membri dell'Agcom hanno esaminato lo schema di regolamento per la gara sui multiplex e, data la complessità del tema e i numerosi aspetti tecnici da approfondire, ha preso altro tempo per valutare al meglio la questione. Con tutta probabilità nella prossima seduta consiliare, prevista per il 14 novembre, licenziare lo schema di regolamento che sarà poi sottoposto a una consultazione pubblica della durata di 30 giorni.

Dopo la chiusura della consultazione pubblica ci sarà un nuovo passaggio in consiglio per l’approvazione definitiva del testo che sarà poi trasmesso a Bruxelles che trarrà le proprie decisioni, in questo caso formali per valutare se, una volta indetta la gara, possa decadere la procedura d’infrazione aperta contro l’Italia nel 2006, per l’insufficienza di spazio riservato ai nuovi soggetti entranti con il passaggio dal sistema analogico a quello digitale.

L’indiscrezione della clamorosa esclusione di Rai e Mediaset rischia quindi di capovolgere completamente lo schieramento di partenza dei vari contendenti per i multiplex che l’esecutivo tecnico di Mario Monti conta di assegnare nel prossimo anno, rispetto a quello previsto dal vecchio beauty contest del governo Berlusconi. Nella prima versione dell’assegnazione delle frequenze, infatti, sconfessata a inizio anno dal Ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, il beauty contest prevedeva l’assegnazione gratuita delle frequenze a tutti gli operatori: in ballo c’erano Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, l’Espresso e tutti i soggetti che sarebbero voluti entrare nella nuova piattaforma trasmissiva, come per esempio Sky, che però annunciò di uscire dalla contesa perché non convinta dei criteri messi a punto dal ministro dello Sviluppo dell’epoca, Paolo Romani.

A onor del vero, il limite sulle frequenze era già stato fissato anche dal regolamento Agcom ma faceva riferimento solo a quelli con standard di trasmissione digitale terrestre. Rai e Mediaset hanno quattro multiplex in trasmissione digitale e, in più, ne hanno uno a testa per altri tipi di trasmissioni: DVB-T2 (digitale terrestre di seconda generazione) per viale Mazzini e DVB-H ( sistema di trasmissione per smartphone, tablet e cellulari) per Cologno Monzese. Il Codice delle Comunicazioni elettroniche ha previsto una clausola per il cambio di destinazione d’uso che, se richiesto prima della gara, avrebbe portato a quota 5 i multiplex posseduti dai due broadcaster e li avrebbe esclusi dall’asta, diversamente sarebbero invece stati ammessi.

Ora però le cose cambiano, perché la Ue nel parere inviato all’Agcom non fa distinzione tra standard di trasmissione e il tetto massimo posto a 5 slot totali diventa quindi esplicito. Mediaset è sicuramente la società che ha maggiormente da perdere - i conti vanno male, si è vista annullare il beauty contest e la pay tv si sta dimostrando in buona parte un flop - ma anche per la tv di Stato l'esclusione dalla gara significherebbe un'ulteriore flessione negli introiti.

Ovviamente siamo ancora alle battute iniziali del confronto sul tema, e per le regole di quella che sarà l'asta vera e propria bisognerà attendere almeno fine novembre, quando l'Agcom avvierà la consultazione pubblica correlata. Tempi non proprio brevi insomma e c'è quindi ancora margine per le trattative, sempre che non si mettano di mezzo i risultati delle prossime elezioni politiche.


di Mariavittoria Orsolato

Dice che di fare televisione in modo tradizionale si è stancato. Dice che preferirebbe dirigere docu-fiction, possibilmente per la RAI, e che già ha degli script pronti nel cassetto. Dice che questo sarà sicuramente il suo ultimo anno da conduttore. Eppure Michele Santoro c'è. Quasi come condannato ad un eterno ritorno, il giornalista salernitano non riesce a stare lontano dal piccolo schermo e giovedì sera ha debuttato su La7, riportando il suo personalissimo Servizio Pubblico sulle frequenze della tv generalista.

Concluso il positivo esperimento multipiattaforma dello scorso anno, la redazione del fu "Annozero" ha traslocato sulla rete principe di Telecom Italia Media riproponendo tale e quale lo show che, ormai da 25 anni  - il primissimo "Samarcanda" è del 1987  -  informa, intrattiene e fa battibeccare i polemici telespettatori italiani.

Quello che i manuali sicuramente definiranno a breve come “format Santoro” è infatti ormai un cliché: con i monologhi iniziali del conduttore, gli ospiti in quota fissa da par condicio, i servizi d'assalto, l'angolo vox populi, Travaglio, l'intervistona, Vauro e la giornalista carina a tastare il polso della gente online. Niente di nuovo dunque, non fosse per quell'incipit - l'inno di Forza Italia della prim'ora - con cui il giornalista salernitano ha consciamente deciso di aprire la puntata.

Berlusconi, la sua nemesi dichiarata, ha furbescamente annunciato di ritirarsi dalla vita politica e l'irriverente omaggio di Michele Santoro - oltre che essere autocelebrativo al limite dell'onanismo - si è rivelato un riuscitissimo Verfremdungseffekt, ovvero quell'effetto teatrale di straniamento e alienazione per cui lo spettatore si ricorda di assistere ad una rappresentazione e grazie al quale ne prende le doverose distanze.

Un momento topico in cui (almeno alla sottoscritta) è parso che il giornalista salernitano si accomiatasse dalla sua battaglia contro il Cavaliere, ponendo di fatto la parola fine a quello che negli annali televisivi verrà ricordato come IL duello epico della seconda repubblica.

Perché, come ha giustamente notato Riccardo Bocca sul suo blog all'interno del portale de L'Espresso, “non ha più senso, e logica, che Santoro torni per l’ennesima stagione con un programma ingessato in antichi schemi, brillanti e funzionali soltanto quando c’era un nemico enorme e pacchiano”. Lo stesso Santoro pare esserne consapevole e forse proprio per questo quello di abbandonare la conduzione per dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia di docu-fiction, più che un desiderio è una reale necessità.

Per il resto, l'esordio su La7 di Servizio Pubblico ha propinato sempre la stessa fuffa. Renzi che fa il rottamatore dimenticandosi di non usare un linguaggio vetusto. Fini che si discolpa ancora per la casa di Montecarlo e sbaglia continuamente il nome della fidanzata di una vittima della Camorra. Quindi Della Valle, che recita la parte dell'imprenditore illuminato senza rendersi conto di assomigliare paurosamente alla parodia (strepitosa) che Maurizio Crozza ha fatto di lui.

L'unica novità, se novità può davvero essere considerata, è quella del "Partito Liquido" che riprende la trita e ritrita formula del reality, consentendo al pubblico a casa di scegliere il candidato premier televotando, di volta in volta, per l'eliminazione di uno dei personaggi politici in gioco.

Con l'ottimo risultato del 12,9% di share, quello di Santoro è comunque un format che non stanca, un programma che, per quanto risulti fin troppo fedele a sé stesso e spesso noioso, ha avuto indubbiamente il pregio di fidelizzare il pubblico (anche di colore opposto), garantendo ampi margini di guadagno ai network che nel corso degli anni lo hanno ospitato e imperitura fama al suo ideatore. Michele Santoro infatti sarà anche (per sua stessa ammissione) un fesso ma di certo, come dicono dalle sue parti, televisivamente parlando non è nu strunz'.






di Mariavittoria Orsolato

Lo scorso 27 giugno il giornalista Aldo Forbice annunciava che a partire dal primo luglio non sarebbe più stato il conduttore di Zapping, fortunato programma radiofonico in onda su Radio1. Dopo 13 anni al timone, dal 2 luglio il programma, rinominato Zapping duepuntozero - probabilmente nel tentativo di segnare una rottura con la conduzione precedente – è stato dato in mano a Giancarlo Loquenzi, ex direttore di Radio Radicale e ora a capo della testata online L'Occidentale.

Inutile dire che i toni e i modi dell'addio di Forbice - una vita spesa a fare da conduttore senza mai dimenticarsi del suo furore ideologico, diventando tristemente megafono prima dei socialisti e poi dei berlusconiani - hanno immediatamente fatto strillare alla censura e all'epurazione.

Ufficialmente, l'allontanamento del radiogiornalista era da imputare esclusivamente all'età di quest'ultimo (72 primavere suonate) e alla circolare di viale Mazzini voluta dall'ex direttore generale Lorenza Lei, per cui i pensionati non possono avere nuovi ingaggi all'interno del servizio pubblico. Eppure Forbice crede che la ragione del suo allontanamento dalla Rai risieda tutta nella campagna “Sforbiciamo i costi della politica” lanciata nel novembre del 2011 quando, a suo dire, «ancora il tema non era di moda come oggi» e gioca a fare il martire di fronte all'opinione pubblica.
Che Aldo Forbice fosse un personaggio scomodo lo possono confermare i moltissimi ascoltatori cui ha sbattuto letteralmente il telefono in faccia mentre loro intervenivano a Zapping. La colpa dei malcapitati era sempre la stessa: criticare Berlusconi e non osannare il conduttore.

Se Forbice era famoso proprio per le sue campagne, c'è da dire che altrettante campagne erano state allestite affinché lui stesso togliesse il disturbo dalla frequenze di RadioRai1: famosa quella del 2006, promossa dal blog di Beppe Grillo (“Zappiamo Forbice”) o le svariate petizioni popolari giunte alla Commissione di Vigilanza proprio affinché la trasmissione di approfondimento giornalistico fosse condotta nel segno dell'imparzialità e della completezza d'informazione all'interno del servizio pubblico. Già infatti è seccante dover udire le opinioni del conduttore come mazze agitate sulla testa degli utenti, se poi si considera che lo stipendio ad Aldo Forbice veniva pagato con i soldi dei contribuenti tutti, allora la seccatura diveniva davvero insopportabile.

La RAI, infatti, almeno in teoria, è ancora servizio pubblico. Un servizio pubblico che Forbice non ha quasi mai rispettato, imponendo puntalmente il suo petulante punto di vista e mancando puntualmente di rispetto agli ospiti o agli ascoltatori che osassero contraddire il suo “verbo”. Autentiche intemerate contro gli ascoltatori che dissentivano, nel migliore dei casi risposte sprezzanti e brusche interruzioni di telefonate. Forbice, però, si ritiene vittima di censura, benché l’età avanzata è - purtroppo - il solo motivo del suo allontanamento.

Ma il fastidio di Forbice è nulla in confronto al fastidio provato da chi accendeva la radio durante la sua trasmissione. Solo in un paese come l’Italia e in una azienda radiotelevisiva come la RAI Aldo Forbice avrebbe potuto tenere per diciassette anni la sua rubrica senza essere messo - educatamente - alla porta.

 

di Mariavittoria Orsolato

Il tanto sospirato passaggio a La7 è stato ufficializzato ormai da tempo ma Michele Santoro non ha intenzione di privare la Rai della sua presenza. Ad annunciarlo lo storico collaboratore e produttore Sandro Parenzo, che ai cronisti di Avvenire ha presentato il nuovo progetto del giornalista salernitano. Un progetto del tutto nuovo che non ha nulla a che vedere con la formula talk che ha tenuto incollati milioni di spettatori anche con l'esperimento multimediale di Servizio Pubblico, ma che finalmente asseconda in toto la passione del conduttore per le docu-fiction.

I tempi non sono ancora definiti ma è ormai certo che Santoro tornerà a viale Mazzini, stavolta però in veste di regista per il film-documentario “Processo all'Olocausto”, in cui proverà a ricostruire una spinosa vicenda giudiziaria dove ad essere chiamati in causa sono i temi del negazionismo e della storiografia.

La sceneggiatura, di cui il giornalista è tra l'altro autore, ripercorrerà per intero il processo Irving contro Lipstadt tenutosi a Londra nel 2000, in cui il saggista britannico David Irving (storico dalle simpatie neonazi e autore de La guerra di Hitler) querelò per diffamazione la storica statunitense Deborah Lipstadt che lo aveva definito nel suo saggio Denying the Holocaust uno dei più pericolosi portavoce del negazionismo.

Un dibattimento nato come un semplice processo per calunnia, si trasformò in un acceso dibattito sul negazionismo che interessò il mondo intero e si concluse con il prevedibile rigetto della causa di Irving, definito nella sentenza finale dalla Corte stessa «attivo negatore dell'Olocausto, antisemita, razzista, associato con gli estremisti di destra che promuovo il neonazismo».

A conferma della sentenza britannica, Irving venne poi arrestato in Austria nel 2005 e  riconosciuto ulteriormente colpevole nel 2006 di «aver glorificato ed essersi identificato col partito nazista tedesco» rimanendo in carcere per 400 giorni.

«Si tratterà di una fiction che ha Michele come soggettista, regista e direttore artistico - spiega Parenzo. Una prima sceneggiatura è già pronta, ora va rivista. Eravamo partiti con due puntate, ma per dargli un po’ più di ritmo ci concentreremo a realizzarla in un unico film tv».

Un denso racconto storico alternato a parti di fiction, un esperimento narrativo che si annuncia, almeno sulla carta, molto coraggioso sia dal punto di vista della tecnica narrativa che dell'incandescente argomento trattato. Le riprese dovrebbero cominciare nella primavera del 2013, quando Santoro concluderà il suo impegno con La7, ma già da ora il team di giornalisti che affianca il conduttore è all'opera, così come i casting per gli attori.

La nuova Rai del duo Tarantola-Gubitosi non ha ancora ufficializzato la sua sottoscrizione ma, stando agli annunci di efficienza e sostenibilità fatti in passato dalla presidenza e dalla direzione generale, è probabile che il prodotto di Santoro e soci abbia uno sbocco nell'etere. Magari proprio su quella Rai2 orfana di Annozero e dei suoi ghiottissimi introiti pubblicitari.

È prevedibile infatti che viale Mazzini, tenendo presenti gli eccellenti risultati pubblicitari di tutti i “prodotti a marchio Santoro”, esamini con attenzione il progetto e dia il suo via libera prima dei tempi prestabiliti. Ad ogni modo, Sandro Parenzo ha fatto capire che quello di “Processo all'Olocausto” potrebbe non essere solo un banco di prova ma, anzi, se il pubblico lo dovesse premiare, sarebbe un trampolino di lancio per l'idea di giornalismo che Santoro paventa sin dai tempi della querelle con l'allora direttore Mauro Masi.

In attesa di scoprire le doti da cineasta del giornalista salernitano, tutto è pronto per la nuova serie di Servizio Pubblico, che dal 25 ottobre si alternerà ogni due giovedì con Piazza Pulita dell'ex pupillo Corrado Formigli.

 

di Mariavittoria Orsolato

E' un autunno caldo quello che si prospetta dinanzi al mondo dell'editoria televisiva italiana. La messa in vendita dell'intero slot di trasmissione di Telecom Italia Media - che comprende i tre canali di La7, i sette di Mtv e ha estensione sia sul digitale terreste che sulla piattaforma satellitare di Sky, in quanto proprietaria di Mtv Italia al 51% con Viacom - ha messo in subbuglio i tycoon dell'etere che, nel corso dell'estate, hanno gareggiato a suon di proposte.

La più clamorosa di tutte è stata quella di Mediaset che, evidentemente non paga della crisi di idee e liquidità che avvince Cologno Monzese, aveva manifestato l'intenzione di fagocitare il polo televisivo concorrente. Una mossa in evidente spregio dell'Antitrust che ha subito fatto impensierire gli investitori e ha allarmato non di meno i commentatori per la pericolosa concentrazione proprietaria che un'acquisizione del genere avrebbe comportato, soprattutto nello sventurato caso in cui il “padrone del vapore” dovesse candidarsi per l'ennesima volta alla Presidenza del Consiglio.

Lo stesso Enrico Mentana, transfugo del Biscione e ora a capo del tg di La7, si è sentito minacciato a tal punto da annunciare pubblicamente la sua defezione nell'eventualità che Silvio Berlusconi torni ad essere il suo editore di riferimento. Alla fine però anche questa boutade ha seguito il destino degli innumerevoli ipse dixit dell'ex premier e l'infausto matrimonio Mediaset-La7 è andato in fumo. A porre il veto è stato il comitato esecutivo del Biscione che, per ovvie ragioni di concorrenza, si è visto rifiutare l'accesso ai dati sensibili del pacchetto in vendita.

Stando alla “catena alimentare” capitalista, per un magnate che getta la spugna ce n'è sempre un altro pronto a lanciarsi sulla preda e così, dopo il ritiro del network di Silvio Berlusconi, si è subito fatto avanti quello di Rupert Murdoch. News Corp, che in Italia controlla Sky e il canale in chiaro Cielo, ha infatti presentato una manifestazione d'interesse ed è tra le società cui, diversamente da Mediaset, è stata data la possibilità di “vedere le carte” da parte degli advisor.

Anche qui però, passata la prima parte del processo di vendita - quella che appunto consente di andare a visionare i dati confidenziali di Telecom Italia Media dopo aver firmato un accordo di riservatezza - l'affare è sfumato. Il colosso dell'infotainment del tycoon australiano ha deciso di non presentare alcuna offerta lasciando intendere velatamente che il gioco non vale affatto la candela.

Eppure, stando alla perizia conclusa il 19 luglio da Ernst&Young, gli slot televisivi messi in vendita da Telecom Italia Media hanno un valore di base di 81,3 milioni di euro un prezzo certo abbordabile  in visione di un investimento importante nel panorama televisivo italiano. Il problema del polo di La7-Mtv sono purtroppo i debiti che, secondo quanto scrive il Corriere della Sera, ammontano a circa 122 milioni di euro divisi rispettivamente tra operativi (85 milioni), finanziari (27,5 milioni) e 9,6 milioni di fondi per il rischio cause. La scadenza per la presentazione delle offerte è stata fissata per il prossimo 24 settembre e l'amministratore delegato Franco Bernabè ha già spiegato che l'eventuale compratore verrà scelto sulla base del prezzo e del piano industriale: almeno a parole, dunque, Telecom Italia Media non verrà svenduta.

Resta quindi da capire chi si farà concretamente avanti lunedì prossimo con gli advisor Mediobanca e Citigroup, i due consulenti finanziari scelti da Telecom Italia per cedere la controllata. Tra i soggetti in gara resta il gruppo telefonico 3 Italia, controllato dai cinesi di Hutchinson Whampoa: l'interesse, che inizialmente era soltanto per i multiplex di Telecom Italia Media, si sarebbe successivamente esteso anche alle reti televisive, cioè La7 e Mtv. Al momento sembra però difficile capire se la società telefonica guidata da Vincenzo Novari farà o meno un'offerta concreta.

In campo c'è poi Urbano Cairo, l'ex manager Publitalia che è il concessionario di pubblicità per La7 ed è oggi a capo del gruppo Cairo Communication. Restano da verificare le strategie di alcuni gruppi industriali stranieri, come Rtl e come la Discovery Channel posseduta dal colosso americano Liberty Media, che già da subito avevano individuato l'affare come una ghiotta occasione per attestarsi stabilmente nel mercato televisivo nostrano in chiaro senza rimanere relegati al satellite.

In tutto ciò non poteva mancare la polemica che, in questo caso, arriva per bocca di Alessandro Proto, amministratore delegato del gruppo finanziario Proto Organization che, a fronte di un'offerta da 200 milioni rifiutata, si è sfogato così su Milano Finanza: “L'impressione è che questa sia la solita vicenda all'italiana dove per poter acquistare qualcosa di potenzialmente strategico bisogna essere "amico" di qualcuno. Le manfrine di questi giorni fanno solo pensare che La7 sarà ceduta ad uno di questi amici, il fatto stesso che non vengano forniti tutti i documenti necessari ad una valutazione la dice lunga sul ruolo dell'advisor che sta curando la vendita. Anche le voci fatte circolare in questi giorni sembrano fatte apposta per depistare una decisione in realtà già presa”.

Senza per forza dare adito ai complottismi il dato di fatto di questa vicenda è uno e lo ha mirabilmente riassunto il manager televisivo Gregorio Paolini, affidando le sue convinzioni sull’affaire La7 a un interrogativo, retorico e suggestivo, diffuso via Twitter: “Ma La7 è come Isabella di Castiglia?”.



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