di Domenico Melidoro

È ormai da diverso tempo che la cronaca politica registra implacabilmente come soltanto l'esercizio del potere e la necessità di garantire una certa stabilità potessero rappresentare un'efficace garanzia dell'unità della Casa delle Libertà. Infatti, dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche la CDL si è sfaldata progressivamente, dimostrando ancora una volta quanto fragili fossero le ragioni politiche che tenevano insieme la coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Le tensioni tra quest'ultimo e l'UDC di Casini, Follini e Cesa durano da diverso tempo e in questi ultimi giorni si sono acuite. Tuttavia, fa molto più clamore lo strappo della Lega Nord, che finora aveva cercato (e ottenuto) un rapporto privilegiato con Forza Italia e il suo leader, tanto che molti commentatori parlavano dell'asse Lega-Forza Italia come della colonna portante del rissoso schieramento di Centrodestra.

Assistiamo a un ritorno quotidiano della violenza esercitata da uomini sulle donne. Con dati allarmanti anche nei paesi “evoluti” dell’Occidente democratico. Violenze che vanno dalle forme più barbare dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alla costrizione e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile. Una recente ricerca del Consiglio d’Europa afferma che l’aggressività maschile è la prima causa di morte violenta e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo. E tale violenza si consuma soprattutto tra le pareti domestiche..

di Domenico Melidoro

È da tempo che i rapporti tra i centristi dell'UDC e Silvio Berlusconi si sono logorati. Già nell'ultimo periodo della passata legislatura erano emerse tensioni tra l'allora Segretario Marco Follini e l'ex-Premier. L'UDC, nel tentativo di salvarsi dal prevedibile esito negativo delle imminenti elezioni politiche, chiedeva a gran voce discontinuità nell'azione di governo. Inoltre, il fatto che Casini potesse essere uno scomodo concorrente alla leadership berlusconiana, non poteva far altro che acuire i contrasti in una Casa della libertà che, priva di qualsiasi strategia di lungo respiro, implodeva in un fumoso vortice di polemiche. La sconfitta alle elezioni e la perdurante egemonia di Berlusconi (dato che di successione alla guida della CDL non si parla ancora come di un evento all'ordine del giorno) non ha certo consentito di appianare le divergenze tra il Cavaliere e il partito di Casini, Cesa e Follini. Anzi, da qualche giorno si è passati allo scontro aperto.

di Giovanna Pavani

Daniele Capezzone Stupisce l'attivismo dei Radicali italiani e, in primis, del suo segretario Daniele Capezzone, nell'alzare polvere intorno al disastrato panorama dell'informazione italiana, in special modo la Rai, nel tentativo di abbatterne ogni residuo di credibilità dei suoi operatori. Dopo la presentazione di un progetto di legge per l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti, vecchio pallino pannelliano, che ha sempre avuto in uggia le regole della categoria, nei giorni scorsi il giovane Capezzone è sceso in campo per ottenere una maggiore trasparenza delle nomine Rai, attraverso la denuncia, puerile nella forme e anche nella sostanza, di un fantomatico "pizzino" con l'elenco dei nominandi, ritrovato in maniera "del tutto casuale", sui divani del Transatlantico di Montecitorio. L'iniziativa, degna più di un Pierino di Alleanza Nazionale che di un parlamentare italiano che si muove sotto la bandiera del garantismo, ha sortito lo scopo di creare ancora più confusione intorno alla Rai e alla sua preoccupante paralisi politica. E anziché essere accolta con sorrisi condiscendenti da parte dei colleghi parlamentari di ogni colore, è stata cavalcata non a caso dalla destra come ennesima dimostrazione del tentativo del nuovo governo di lottizzare la Rai fino all'ultimo strapuntino libero.

di Sara Nicoli

Sembrava un'iperbole la frase con cui Romano Prodi ha voluto sintetizzare la questione Rai, chiarendo che si trattava di una faccenda talmente difficile da risolvere che, in confronto, l'organizzazione della missione di pace in Libano appariva quasi un gioco da ragazzi. Sembrava, appunto, solo una battuta. Poi, lo stallo del consiglio di amministrazione di mercoledì scorso e l'incapacità della struttura di governo aziendale di varare un semplice riequilibrio di forze attraverso qualche nomina mirata, ha reso evidente a tutti che la Rai è oggi più di ieri il laboratorio politico del Paese, l'interfaccia della capacità di governare di questa maggioranza e il punto di snodo della sua reale possibilità di incidenza sul cambiamento delle regole imposte da cinque anni di pressione berlusconiana sul Paese. La visione d'insieme è piuttosto sconfortante.


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