di Elena G. Polidori

Rissa libera. Nonostante Silvio Berlusconi consideri ormai chiuso il capitolo che riguarda gli accordi presi con gli alleati per le amministrative, è lecito credere che la Cdl arriverà ancor più in ordine sparso all’appuntamento con le urne del prossimo maggio. Dietro alle liste ormai chiuse al 99%, simulacri di una coalizione che non c’è più, si intravedono distanze politiche siderali tra ex alleati che vanno ben oltre ”l’affaire” Casini e spaziano trasversalmente su tutti i temi caldi dell’agenda parlamentare, dalla politica estera fino ai temi etici passando attraverso gli equilibri possibili della nuova legge elettorale. Il leader di Forza Italia sfodera sondaggi che vedono la Cdl in netto vantaggio rispetto al centrosinistra, ma sono cifre che non significano più nulla perché riferite ad una coalizione che si è dissolta e che nessuna federazione potrebbe riprodurre come forza politica alternativa all’Unione se si dovesse votare domani per le politiche. La Cdl è a pezzi, ma Berlusconi non si arrende e persegue in modo maniacale ogni tatticismo che lo avvicini al suo, personalissimo, traguardo politico; la caduta di Prodi e l’immediata rivincita delle urne, una favola per il presidente di un “non partito” come Forza Italia e per il leader di un centrodestra sempre più evanescente.

di Agnese Licata

A spararla più grossa di tutti è Gabriella Carlucci che, per chi non lo sapesse, dal 2001 è deputata tra le fila di Forza Italia. “Forza Italia deve fondare una propria scuola di giornalismo e nominare Farina rettore perché è un giornalista vero e un modello per i giovani”, ha dichiarato orgogliosa all’Ansa. L’ex showgirl deve aver pensato che fosse questo il modo migliore per rilanciare la solidarietà a Renato Farina, espressa poco prima da Silvio Berlusconi in persona. In ballo, la decisione del consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti di radiare dalla categoria l’ex vicedirettore di Libero, ormai meglio conosciuto come “agente Betulla” anche fuori dai servizi segreti, a cui ha prestato i suoi servigi (discreti quanto illegali) sulla vicenda Abu-Omar.

di Sara Nicoli

E’ l’affondo finale di una battaglia sempre più di retroguardia e, per questo motivo, capace di radicalizzare lo scontro tra laici e cattolici ben oltre quelle fratture, mai ricomposte del tutto, già vissute sui referendum dell’aborto e del divorzio. La Chiesa ha sferrato l’attacco definitivo ai Dico dichiarandoli “inaccettabili” soprattutto per le coppie gay. Ma è sul fronte della politica che i vescovi hanno esercitato la pressione più robusta ribadendo con chiarezza il loro rifiuto della sovranità laica dello Stato. Quei politici cattolici che si trovassero a votare positivamente per i Dico saranno tacciati di incoerenza. Il loro voto in nome della laicità sarà considerato contro il magistero; nessuna vera scomunica, ma una bolla di inaffidabilità e di lontananza dai voleri del “partito di Dio” che certo peserà non poco sulle coscienze fragili dei parlamentari Teodem, ora ancor più legittimati a votare contro il progresso della società civile.

di Agnese Licata

Duecentosettantadue pagine per dare un significato a 425 milioni di lire. Per spiegare come una cifra del genere sia finita, da un giorno all’altro, tra le mani di un giudice della Repubblica. Per ribadire che in quel 1991 la corruzione all’interno di “un certo ambiente romano” era cosa frequente, tanto da delineare un “allarmante quadro d’insieme”, che coinvolge giudici, avvocati, imprenditori. Le pagine sono quelle depositate venerdì dalla terza sezione della corte d’Appello di Milano e rappresentano le motivazioni per la sentenza del “lodo Mondadori”, risalente a un mese fa. Il giudice - ormai ex - è Vittorio Metta, colui che con la sua decisione riconsegnò alla Fininvest di Berlusconi il controllo della Mondatori, ai danni della Cir di De Benedetti. Gli avvocati sono l’ancora deputato di Forza Italia Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Tutti già condannati in via definitiva per un’altra sentenza, per un’altra corruzione in atti giudiziari, quella della vicenda Imi-Sir. Sullo sfondo, “l’enorme interesse della Fininvest” e del suo patron Silvio Berlusconi, uscito definitivamente di scena nel 2001, grazie all’inspiegabile attribuzione di un reato meno grave rispetto agli altri imputati - corruzione semplice - e alla conseguente prescrizione.

di Fabrizio Casari

Vedremo stasera quali saranno le manovre parlamentari incrociate tra maggioranza e opposizione e quale esito avranno avuto, tanto sull’approvazione del Decreto di rifinanziamento delle missioni militari all’estero, come sulle sorti del governo Prodi. Non si può però non cogliere, nel merito della polemica politica, la vergognosa strumentalizzazione della destra, che mentre invoca maggiore sicurezza per i nostri soldati, ne chiede l’entrata in combattimento e cerca, contemporaneamente, di far cadere il governo. Il combinato disposto delle due cose (instabilità politica e trasformazione della missione da difensiva a offensiva) rappresenta di per sé il pericolo più grave per la sicurezza delle missioni e degli attori coinvolti. Ad evidenziare maggiormente il grado di strumentalità della richiesta della destra, si deve ricordare non solo che il “caveat” della missione Isaf è stato da loro voluto e votato dal 2003 ad oggi, ma che anche solo fino a dieci giorni fa, la stessa destra non riteneva di dover procedere ad una modifica della missione stessa. Cosa è successo, dunque, negli ultimi dieci giorni?


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