di Laura Bruzzaniti

Tempo tre anni e potremmo ritrovarci a mangiare bistecche di mucca clonata. Secondo gli esperti, entro il 2010 la clonazione di animali da allevamento diventerà una pratica diffusa e ci si aspetta che latte e carne da animali clonati entrino nella catena alimentare. Ne è convinta anche la Commissione Europea, che la scorsa settimana ha chiesto all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) di pronunciarsi sui possibili rischi legati al consumo di prodotti derivati da cloni. L’Europa, insomma,si prepara a prendere una decisione sulla vendita di bistecche clone- derivate che si prevede arriveranno a breve sul mercato europeo. E arriveranno dagli Stati Uniti, perché mentre in Europa la clonazione di animali è ancora una faccenda da scienziati che si svolge al chiuso dei laboratori, negli Stati Uniti è un affare che interessa gli allevatori e sono già alcune centinaia le mucche e i maiali clonati che pascolano nei ranch americani. Un fenomeno ancora piccolo ma in rapida espansione soprattutto dopo che, lo scorso dicembre, la Food and Drug Administration (FDA) - ente del governo statunitense che si occupa della sicurezza del cibo – ha emesso un primo parere positivo sull’immissione sul mercato dei prodotti derivati dai cloni: secondo la FDA maiali mucche e capre clonate sono animali normali a tutti gli effetti e la loro carne e il loro latte possono essere consumati senza nessun rischio per la salute. Tanto che non ci sarà neanche bisogno di indicare in etichetta che di bistecca di clone si tratta.

In realtà quando arriverà il via libero definitivo, atteso entro la fine dell’anno, a finire nei piatti degli americani non saranno tanto i cloni, ma la loro prole. Clonare una mucca costa circa 15.000 dollari e non avrebbe senso farne bistecche. Ha senso, invece, clonare un maschio da riproduzione o la mucca che fa più latte per avere più seme e più embrioni da vendere, migliorare in tempi brevi la qualità genetica della mandria, e avere pronto un sostituto in caso di morte o malattia dell’animale. Sarà quindi soprattutto dai figli dei cloni che verranno il latte e le bistecche, mentre i genitori cloni saranno consumati solo quando non più utili per la riproduzione (leggi vecchi o malati).

Il parere della FDA ha scatenato le proteste di numerose associazioni di consumatori, gruppi religiosi, animalisti, e produttori biologici, che accusano l’ente americano di “forzare giù per la gola di consumatori restii il latte e la carne di animali clonati”e mostrano sondaggi secondo i quali oltre il 60% degli americani sarebbe contrario a consumare carne di clone. Già presentati al Congresso due progetti di legge che chiedono che sui prodotti in questione venga apposta un’etichetta obbligatoria che recita: “questo prodotto viene da un animale clonato o dalla sua prole”. Secondo le associazioni la decisione della FDA è poco scientifica, perché basata su dati limitati e studi di breve periodo e la presunta normalità dei cloni è messa in discussione.

La stessa FDA, in effetti, ammette che i cloni appena nati non sono per niente uguali agli altri: solo pochissimi embrioni si sviluppano, poche gravidanze vengono portate a termine e i cloni appena nati hanno livelli di ormoni e temperatura corporea anormali, soffrono per problemi cardiovascolari e renali e sono più grandi del 20% rispetto ai loro coetanei non cloni (Large Offspring Sindrome). Secondo gli studi, però, nel giro di due mesi i piccoli cloni sembrano normalizzarsi. I figli dei cloni, invece, sarebbero normali a tutti gli effetti.

Mentre in America i consumatori protestano, anche l’Unione europea si mette in allerta. La carne di clone potrebbe arrivare velocemente anche da noi, grazie alle importazioni di seme e di embrioni dagli Stati Uniti. Anche in Italia la maggior parte del seme utilizzato per l’inseminazione delle vacche viene proprio dal Nord America e in una fattoria in Gran Bretagna è già nata “Dundee Paradise”, la prima mucca nata dal seme di un clone americano. L’Unione Europea ha fatto sapere che la vendita sul mercato europeo di bistecche e latte di clone sarebbe regolata dalle norme sui nuovi prodotti alimentari e richiederebbe l’accordo di tutti gli Stati membri. Intanto si attende il parere dell’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, previsto entro agosto.

Che i cloni stessero per arrivare sulla nostra tavola il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca lo sapeva già nel 2004, quando ha finanziato (con 1.700.000 euro) il progetto TECLA- Tecniche di clonazione bovina e sicurezza alimentare del latte. Obiettivi di TECLA: “considerando la possibilità che derivati di animali clonati possano inserirsi nella catena alimentare umana”, il progetto vuole mettere a punto un nuovo metodo di clonazione “che garantisca il benessere degli animali clonati e la conformità ai principi di sicurezza alimentare dei loro prodotti derivati”. Lo studio è portato avanti su cloni tutti italiani (due vacche e tre tori che pascolano a Cremona e a S. Miniato) dal CIZ Consorzio per l’Incremento Zootecnico, società specializzata nella selezione genetica delle razze bovine. Il CIZ è di proprietà dell’Associazione Italiana Allevatori.


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