di Alessandro Iacuelli


La storia di YouTube inzia negli ultimi mesi del 2005, quando nasce come applicazione via web che permette agli utenti di scambiare filmati e garantirne un'ampia visibilità. Il successo è immediato: in pochi mesi inizia a viaggiare su una media di 9 milioni di visitatori al giorno. Il motivo del successo immediato è semplice: chiunque sia dotato di una telecamera digitale, può caricare i propri video sul server di YouTube e renderlo disponibile al pubblico, al mondo intero. Gli utenti, che oltre a usufruire del servizio spesso sono anche produttori di video, possono "valutare", dare un voto a quel che osservano; in tal modo, possono selezionare i contenuti migliori. I contenuti con punteggi più alti, sono più visibili, più evidenziati.
In pratica, con l'esperimento di YouTube nasce un concetto nuovo: quello di palinsesti televisivi decisi dagli utenti, che oltre ad essere utenti sono anche produttori di contenuti televisivi.
Nel giro di pochi mesi, i media tradizionali non possono che riconoscere questo successo, anche se lo vedono come un pericolo per la televisione tradizionale e decidono di cercare di arginare il fenomeno. Probabilmente, invece di lottare contro questa realtà emergente dovrebbero stabilire una relazione sinergica volta all'incremento dell'audience dei loro programmi. Nei mesi successivi, il servizio si evolve, e si apre anche a chi non ha una telecamera digitale: coloro che dispongono di un telefonino dotato di “camcorder” possono infatti registrare un video ed inviarlo a YouTube via MMS. Già nel luglio 2006, YouTube è diventato il più popolare motore per video in rete, registrando una media record di 100 milioni di videoclip cliccati quotidianamente. Nel solo mese di giugno 2006 sono stati visti più di due miliardi e mezzo di filmati da parte dei 20 milioni di visitatori giornalieri che, a loro volta, ogni giorno arricchiscono l'archivio di circa 65.000 nuovi filmati. In pratica, usando la piattaforma YouTube, milioni di cittadini hanno iniziato a farsi la televisione da soli.

L'azienda, nata dal nulla, ha appena 30 dipendenti, e detiene il 60% del totale degli "short movie" presenti in rete; non lascia molto spazio ai diretti concorrenti, tra cui figurano mostri del calibro di Google, Yahoo!, AOL e MSN.
Sommando le percentuali di visita degli altri network, non si arriva ad eguagliare il primato di YouTube. Tra le decine di migliaia di contenuti presenti, ricordiamo che non sono permessi contenuti pornografici, appaiono videoclip musicali, filmati comici, ma anche video di informazione. Fatta da comuni cittadini.

Proprio nelle ore in cui YouTube celebra i suoi risultati, arrivano puntuali le polemiche sul diritto d'autore. E' infatti facile collegarsi a YouTube e visualizzare filmati i cui contenuti sono protetti. C'è chi teme che questo provochi presto una "stretta" contro il sito da parte dei detentori dei diritti. Oggi Youtube si propone come fornitore di servizi internet che ha il solo obbligo di rimuovere dai propri server il materiale protetto in caso di segnalazione di una violazione. Ciò metterebbe al riparo l'azienda, o almeno così sperano i suoi promotori. A rafforzare questa posizione, il fatto che YouTube oggi non consente ai propri utenti di effettuare il download del file visualizzato, ma ne permette solo lo streaming.

L'estate 2006 per il portale californiano è caldissima: devono lavorare per ottenere dal proprio sito qualcosa che manca a molti servizi in rete, cioè una fonte proficua di reddito. In tutto questo le preoccupazioni sulle possibili violazioni al diritto d'autore assumono uno spessore essenziale per definire il futuro del progetto. C'è chi osserva come altri problemi potrebbero arrivare a YouTube dalla spregiudicatezza di certi utenti. Non è certo facile per l'azienda controllare ogni singolo filmato. Alcuni utenti usano un “trucco” abbastanza semplice: le prime sequenze di immagini sono davvero autoprodotte, ma poi c’è montato subito dopo un filmato protetto da copyright.

La prima grande svolta è del 19 settembre 2006: YouTube riesce ad assicurarsi un accordo speciale col colosso discografico Warner Music per la distribuzione di filmati coperti da copyright in modo legittimo. Il portale, che permette agli utenti di inviare e condividere sul web i propri videoclip preferiti, pagherà le royalty per tutti i prodotti Warner Music messi a disposizione. Ogni giorno, i prolifici utenti della comunità di YouTube condividono oltre 100 milioni di video. Secondo molti esperti, questo è il futuro della multimedialità e del broadcasting televisivo.

Meno di un mese dopo, il 10 ottobre 2006, scoppia la bomba nelle Borse USA: Google conferma l'acquisto di YouTube per 1,65 miliardi di dollari. Una notizia attesa dai media che, dal Wall Street Journal al Washington Post, hanno fatto a gara per raccontare l'attesa degli analisti e del mercato per una notizia che era nell'aria. Google ha atteso la chiusura della Borsa per annunciare l'acquisizione del portale dell'audiovisivo. Un'operazione che giunge tra gli applausi degli analisti che la vedono come una forte spinta propulsiva per il motore di ricerca. Google consente a YouTube di continuare ad operare come divisione "indipendente" del colosso di Mountain View, mentre insieme i due giganti svilupperanno una serie di nuovi servizi, alcuni dei quali indirizzati anche agli aspiranti registi.

L'acquisto offre soprattutto a Google la possibilità di recuperare posizioni in un settore, quello del multimedia e dell'IPTV, in cui è rimasto indietro perdendo posizioni non solo rispetto al suo nuovo acquisto ma anche da MySpace Videos, l'area video del portale di Murdoch.

Dopo l'acquisto da parte di Google, la strada per YouTube è spianata: dopo gli accordi con “Warner Music”, vengono strette intese anche con altre grosse case di produzione, in particolare “Universal Music” e “Sony BMG”. Non contenta, la società che gestisce YouTube ha anche firmato un accordo con la rete televisiva americana CBS.

Sempre nell'ottobre 2005, in Gran Bretagna YouTube scatenò addirittura un caso politico: Jack Straw, a capo della camera bassa del Parlamento britannico, decise di fare qualcosa per regolare la diffusione di video autoprodotti e pubblicati sul Web. "Sono preoccupato per gli atti di violenza che vengono registrati su cellulare", disse Straw, "e diffusi sul Web per essere mostrati al grande pubblico".
Tentare di regolamentare con norme ad hoc un flusso così vasto ed eterogeneo di informazioni multimediali, come nel caso di YouTube e di altri servizi simili, è un obiettivo estremamente difficile da realizzare. L'esempio della Cina è paradigmatico: eseguire controlli diffusi sulla natura dei contenuti autoprodotti dagli utenti è pressoché impossibile, specialmente quando si deve fare i conti con gli oltre 100 milioni di visite che YouTube totalizza ogni giorno. Il governo cinese reagisce al suo solito modo: censurando YouTube, che infatti non è raggiungibile dalla rete cinese. Il 7 dicembre, anche l'Iran vietò l'accesso a YouTube ai propri cittadini. Nel marzo 2007, anche se solo per pochi giorni, la Turchia censurò YouTube. In tutti questi casi, si è sempre trattato di censura di tipo politico, poiché sul portale apparivano filmati, interviste, riprese, in disaccordo con la linea dei governi.

Arriva il 2007, ed è ormai cosa accertata: Internet sta cambiando la TV e lo sta facendo in un modo irreversibile. Ogni settimana un nuovo studio, una nuova ricerca, sottolineano quanto questa rivoluzione sia già evidente nei numeri. Le nuove generazioni stanno progressivamente perdendo il contatto con la televisione, a favore di Internet. La televisione sta perdendo audience da tempo, sicuramente per colpa delle nuove forme d'intrattenimento che abbondano nel nostro mondo moderno e di un'offerta molto ampia che tende a frammentare il pubblico esistente. Ma sta perdendo spettatori anche per le tipologie di contenuti che propone, troppo ristrette, e la modalità di fruizione che generalmente viene imposta.

Invece, usando la rete Internet come antenna, accendendo la nostra "net TV", abbiamo già oggi una quantità di contenuti tale da poter soddisfare i gusti anche delle più piccole nicchie di spettatori. Il tutto al di fuori delle logiche conservatrici degli operatori televisivi attuali, che continuano a spacciare per Internet Television quelle che in realtà sono offerte chiuse all'interno di reti private, dove lo spettatore continua ad essere costretto a sottostare ad un palinsesto ristretto scelto da altri.

La televisione "classica" vive in un contesto di risorse scarse. Le frequenze sono poche, molto care e fortemente contese. Di fatto non molti canali possono permettersi di trasmettere su scala nazionale; a questo si aggiunga che i palinsesti, anche quelli satellitari, non possono che essere concepiti intorno alla necessità di sfruttare al meglio il poco tempo a disposizione, proponendo contenuti che possano piacere alla "maggior parte" delle persone nelle fasce orarie dove ci sono punte di ascolto.

Questi pochi concetti iniziano ad essere chiari anche in Italia, dove non solo aumentano giorno dopo giorno sia gli utenti sia i produttori di contenuti televisivi, ma addirittura dove un ministro decide, per la prima volta nella storia d'Italia, di sfruttare la popolarità dei sistemi di video sharing per comunicare con i cittadini e spiegare le proprie scelte. Un fatto inedito, che apre anche nel nostro paese nuovi scenari per la comunicazione politica e la trasparenza dell'azione di Governo.

Il 20 dicembre 2006, Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastrutture, sul proprio blog, presentò il video senza commenti o comunicati stampa: pubblicato su YouTube. Quel che è certo è che un ministro in carica che si rivolge al "popolo" tramite YouTube l'Italia ancora lo doveva vedere. Sperando che altri ne seguano l'esempio. Anche noi, su “Altrenotizie”, abbiamo iniziato ad usare YouTube il 2 agosto 2006, associando filmati autoprodotti ad un nostro articolo. Una nuova frontiera?

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